IL CASO ESCLUSIVO. Il processo al cugino-zio-padrino Nicola Schiavone “Monaciello” e agli imprenditori dei Casalesi finisce nel Triangolo delle Bermude. Ora da Napoli viene spedito ad Aversa

24 Settembre 2024 - 11:30

STAMATTINA la notizia di un cambio di corte, dopo lo spacchettamento deciso dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere tra i reati di camorra e quelli di corruzione (e simili). Il rischio di un procedimento che faccia la fine degli aerei nella zona marittima divenuta celebre

CASERTA – Già spiegare l’ordinanza sui presunti rapporti tra Rete ferroviaria italiana e clan dei Casalesi attraverso la figura per un certo periodo tracimante di Nicola Schiavone detto Monaciello, cugino di Francesco Schiavone Sandokan, zio e padrino di battesimo di Nicola Schiavone junior, è stato abbastanza complicato.

Pensiamo di averlo fatto bene, ma nel caso contrario, abbiamo fatto il possibile. E il processo credevamo sarebbe stato più semplice da spiegare. Niente affatto.

Tra riti abbreviati, spacchettamenti e contro spacchettamenti, è complicato capire a che punto siamo.

Alla sbarra sono finiti, oltre a Nicola Schiavone Monaciello, al fratello e ad altri soggetti ascrivibili alla loro cerchia imprenditoriale, anche alcuni manager di Rfi, colosso imprenditoriale, in quanto gestore dell’intera rete degli impianti, binari, dispositivi, eccetera, su cui viaggiano convogli di ogni genere della consociata Trenitalia, ex Ferrovie dello Stato, ma anche soggetti che utilizzano la rete in fitto, come ad esempio Italo.

La novità di stamattina complica ancora di più la lettura dei fatti attuali che rischiano di diventare materia commestibile solo per gli addetti ai lavori, ossia magistrati, avvocati e qualche giornalista folle come quelli di CasertaCe, che pretendono di essere meticolosi nei racconti di cronaca giudiziaria.

Parliamo solo di dibattimenti e competenze territoriali. Nella parte finale dell’articolo, con tanto di paragrafo dedicato, scriveremo del destino dei nove imputati giudicato con il rito abbreviato e lì, chi non ha seguito le vicende, scoprirà che tutto nasce da due ordinanze racchiuse un po’ artificialmente in una sola.

Da un lato quella di Nicola Schiavone e degli appalti Rfi, dall’altro lato quella imperniata sulla figura di Dante Apicella, imprenditore, costruttore, una sorta di ministro dei Lavori pubblici del clan dei Casalesi, pronto a concordare con Nicola Schiavone junior, quando era reggente, i nomi delle imprese da far partecipare alle gare d’appalto, ma anche qualche azione ardimentosa sui beni confiscati.

Ma andiamo con ordine. Il rito abbreviato è già concluso, mentre il rito abbreviato è stato spacchettato. La competenza territoriale è stata assegnata al tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in quanto la genesi, l’inizio del reati risale ad un periodo antecedente alla nascita di quello di Aversa-Napoli Nord. Santa Maria Capua Vetere, però, nella granuola di eccezioni presentata dagli avvocati difensori, ha deciso di tenersi la parte del processo riguardante la parte di camorra, quelli associativi, mentre l’altra parte, quella riguardante i reati di corruzione, falso ecc., l’ha spedita di nuovo a Napoli, in quanto lì, in quel distretto, si sarebbero consumati questi reati, secondo i giudici sammaritani.

Ebbene, stamattina il tribunale di Napoli ha completato questa sorta di giostra, spedendo per competenza territoriale questo processo al tribunale di Aversa Napoli Nord.

I motivi non li conosciamo ancora, ma sarà interessante leggerle il perché di questa decisione. Ma il motivo è sempre legato al mix di due storie totalmente differenti.

Ci sono, infatti, ancora diversi imputati appartenenti al filone di Dante Apicella. E in questo caso noi sappiamo bene, avendo letto le ordinanze, che tantissimi episodi si sono consumati effettivamente nell’area territoriale di cui è competente il tribunale di Aversa Napoli Nord. Ma anche qui bisogna lavorare con i tempi e bisogna cercare di spiegare ad un lettore neofita perché all’inizio si è scelto Santa Maria, che si è tenuto i reati di camorra, e non Napoli Nord.

Noi abbiamo azzardato una causa legata alla genesi dei reati antecedente alla nascita del tribunale normanno. Ora, invece, ci fermiamo qui, in attesa delle motivazioni. Possiamo dire, però, che stamattina è terminato una specie di tracciato del Triangolo delle Bermude tra Santa Maria, Napoli e Aversa Napoli Nord.

La speranza è che il processo, i dibattimenti, la certezza del diritto e dei suoi giusti tempi non facciano la stessa fine che hanno fatto gli aerei in quella celeberrima area marittima.

LE CONDANNE GIA’ INFLITTE NEL RITO ABBREVIATO

L’indagine è stata realizzata dalla Dda di Napoli. Per cui, i pochi tra gli imputati che hanno chiesto e ottenuto il rito abbreviato, sono stati giudicati da un gup del tribunale partenopeo. E almeno questo, tale competenza, nessuno l’ha potuta mettere in discussione per ovvi motivi

Nel dettaglio, hanno scelto e ottenuto tale procedura, il commercialista napoletano Guido Giardino, il dirigente Rfi Giulio Del Vasto, Luigi Russo, ingegnere dipendente di Rfi, direttore dei lavori nei cantieri della stessa società, l’imprenditore Pietro Andreozzi, che entrò in un affare in partnership con Nicola Monaciello. Tra questi, assolto solo Luigi Russo, mentre 3 anni e sei mesi sono stati inflitti a Giulio Del Vasto, 2 anni e otto mesi a Guido Giardino e 1 anni e dieci mesi per Andreozzi.

Per far capire bene la questione, va sottolineato che gli altri imputati sottoposti a rito abbreviato fanno parte della stessa ordinanza, ma di un filone totalmente diverso, dato che non c’entrano nulla gli appalti Rfi.

Un’ordinanza che la Dda ha voluto tenere insieme, utilizzando soprattutto il rapporto tra Vincenzo Schiavone, fratello di Nicola, con Dante Apicella, imprenditore e costruttore. Non a caso, la prima indagine su Rfi è stata portata avanti dai carabinieri del Nucleo investigativo del comando provinciale di Caserta, diversamente da quella su Apicella, realizzata dalla Direzione investigativa antimafia (o Dia, che dir si voglia) di Napoli.

Nel rito abbreviato, Dante Apicella è stato condannato a 16 anni e cinque mesi soprattutto per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, mentre 8 anni e 10 mesi per Antonio Magliulo, 4 anni per Augusto Gagliardo, 1 anno e 1o mesi per Antonio e Pasquale D’Ambrosca.