DECÒ CASERTA. La squadra c’è ed è viva, il pubblico no: eppure basterebbe un semplice passo
11 Dicembre 2018 - 18:38
CASERTA – Certo, negli ultimi anni eravamo abituati male, con circa 3.000/3.500 presenze medie al PalaMaggiò ad ogni partita. Ovvio, c’era la Serie A ad avere un appeal totalmente diverso: americani di grido, campioni da Eurolega, giocatori della Nazionale.
Impossibile porre sullo stesso piano quel palcoscenico e quello attuale, ma al netto di ciò c’è una squadra ferrigna, ben costruita, con una precisa scelta tecnico-tattica che si sta perseguendo.
Tanto tiro da fuori, gioco in transizione, difesa attenta. La squadra guidata da Max Oldoini sta dando esattamente quel che può senza mai tirarsi indietro, capace di vincere partite su campi ostici come quelli di Napoli, Palestrina e Salerno contro roster di pari livello.
Un traguardo importante se si considera che questo gruppo è nato solo pochi mesi fa.
Siamo onesti, questa squadra meriterebbe più supporto. Meriterebbe forse un pubblico più copioso, ma all’interno di una società non è sempre facile dividere area tecnica ed area dirigenziale. Difficile criticare una e sostenere l’altra o viceversa.
Al di là del mero conteggio numerico (che siano 500, 600 o anche 1.000, le presenza sarebbero comunque poche) non si può mai dimenticare il recente passato. Certo, non ci si può aspettare un palazzo pieno, ma è anche lecito chiedere di non sentirsi in un teatro in cui udire le urla degli allenatori e lo stridere delle scarpe sul parquet.
Inutile girarci intorno, il fatto che dietro a questa società ci sia ancora colui che ha ucciso la precedente Juvecaserta a molti non è andato giù. E non basta metterci un Maggiò
L’impresentabilità di certi soggetti è certificata oltremodo dal comportamento stesso di questi ultimi che, da maggiori (ed unici) finanziatori del progetto al netto dello sponsor Decò, non hanno avuto il coraggio di farsi vedere neanche una singola volta al PalaMaggiò. Paura di fischi? Timore di insulti?
Le scelte prese da ogni singolo tifoso casertano sono insindacabili. Su questo punto vogliamo essere chiari. Ognuno ha il diritto di fare ciò che sente.
È però abbastanza evidente che per un tifoso che accore al PalaMaggiò (no, PalaDecò non lo chiameremo mai), ce n’è almeno uno (più probabilmente due) che resta sul divano di casa.
E come biasimarlo? Perché questo tifoso dovrebbe arrivare la domenica pomeriggio a Pezza delle Noci per andare a sostenere una società costruita dallo stesso soggetto che ha fatto fallire la squadra del suo cuore? È onestamente difficile potergli obiettare qualcosa.
Così come non si può obiettare nulla a chi basta una canotta bianconera, il PalaMaggiò ed un pallone che rimbalza su quel parquet per identificare in quella squadra la prosecuzione della Juve che fu.
Qui non c’è uno che ha ragione ed uno che ha torto. Ci sono due modi di vedere la stessa cosa da prospettive antitetiche.
Ma ci chiediamo, e ce lo chiediamo oramai da molto: c’è qualche cosa che potrebbe finalmente rimarginare una rottura e rimettere insieme i pezzi di una tifoseria oramai disgregata? Sì, c’è eccome.
Basterebbe chiedere scusa per quanto fatto. Delle spiegazioni oramai non le vogliamo neanche più. Ognuno, durante questi due anni, si sarà dato delle risposte a determinate domande.
Ma il chedere scusa resta. Errare è umano, ed è vero che solo chi non fa non sbaglia, per ci si sarebbe forse anche pronti a mettere una pietra sul passato.
È però facile ritenere che il non voler ammettere, dinanzi alla città, le proprie innegabili ed oggettive colpe, denoti quantomeno atteggiamento arrogante che certamente non faciliterà la ricostituzione di una piazza che, dopo tanto tempo, è ancora spaccata.
Ruben Romitelli