MONDRAGONE. LE FAMIGLIE DI CAMORRA. Il Tar conferma l’interdittiva antimafia all’impresa del compagno di Melissa D’Alterio
9 Luglio 2019 - 19:58
MODNRAGONE (red.cro.) – E’ una lunga storia quella che si intreccia tra il mondo dei grandi mercati ortofrutticoli e la criminalità organizzata. Lo scorso settembre i carabinieri hanno arrestato sei persone tra Fondi, Terracina (Latina) e Mondragone accusati di estorsione, illecita concorrenza con minacce e violenza, impiego di denaro di provenienza illecita, trasferimento fraudolento di valori, autoriciclaggio e intestazione fittizia di beni. L’indagine in questione aveva portato alla luce una vera e propria consuetudine di Giuseppe D’Alterio, conosciuto anche come Peppe O’ Marocchin, e del suo gruppo familiare, di imporre un pagamento alle ditte presenti al mercato di Fondi, “tassando” ogni transazione.
Peppe o’ Marocchino finì dietro le sbarre, mentre altri componenti del suo nucleo, come la figlia Melissa, vennero arrestati e confinati ai domiciliari. Una decina di giorni dopo questa serie di arresti, ad una società operante al mercato di Fondi, la Carol Mediazioni, l’informativa interdittiva antimafia, proprio per il rapporto che intercorreva tra la famiglia che gestiva la Carol mediazioni, la famiglia Pinto, e Melissa D’Alterio. Come segnalato dai giudici, la D’Alterio è infatti la convivente di Crescenzo Pinto, ex socio di maggioranza della società, dopo aver venduto le quote, 95% della società, nel giugno 2018, a Luigi Pinto, suo consanguineo.
Su questo rapporto tra Crescenzo Pinto e la figlia di Giuseppe D’Alterio, ritenuto punto di riferimento per il clan dei Casalesi e della famiglia mafiosa dei Rinzivillo di Gela, si basava l’interdittiva antimafia che faceva quindi perdere il controllo della società, passata tra le mani dei commissari straordinari e la decisione del Mercato di Fondi di escludere la Carol dall’elenco dei mediatori ammessi. Come spesso accade, i soci della società colpita da informativa antimafia, hanno fatto ricorso al Tar per vedersi annullare la decisione presa dalla Prefettura e conseguentemente quella adottata dal MOF.
I Pinto si difendono dalle accuse di un controllo di D’Alterio sulla loro società, affermando che non esiste nessuna notizia o indizio del coinvolgimento di Melissa D’Alterio, di Giuseppe D’Alterio o, ancora, di Pinto Crescenzo, nella gestione, o anche solo nelle ordinarie attività, della Carol Mediazioni e che la società non vede tra i soci quest’ultimo, mai destinatario di interdittiva antimafia.
Nella decisione del Tar del Lazio, che ha ritenuto il ricorso presentato infondato, i giudici spiegano che la presenza di Crescenzo Pinto è svanita solo il 4 giugno del 2018, quando Crescenzo è uscito dalla società cedendo le proprie quote (95% del capitale) a Luigi Pinto (1961). Una cessione ritenuta “artefatta” dalla Prefettura, effettuata con l’obiettivo di dimostrare che non sussistono più collegamenti tra la famiglia D’Alterio e la Carol Mediazioni. Si legge nella sentenza che il socio subentrante appartiene anch’esso alla famiglia Pinto, per cui “non risulta possibile escludere il collegamento tra questi e Pinto Crescenzo, e quindi il pericolo di condizionamento della società“. Quindi, i giudici sezione staccata di Latina del Tar del Lazio hanno deciso che il ricorso deve essere respinto, poiché mancante di giuridico fondamento, posto che sulla base della regola causale del “più probabile che non”, appare verosimile che i soci della Carol Mediazioni s.r.l. siano esposti al pericolo di condizionamento della criminalità organizzata di stampo mafioso.