LA NOTA. Vanità di vanità. Il manifesto selvaggio di Rosaria Tramonti non le serve a nulla. Non un solo voto suo e di Zannini potrà mai dipendere da un’affissione

22 Maggio 2022 - 19:30

MONDRAGONE (Gianluigi Guarino) – “Vanità di vanità”, diceva e spiegava molti anni fa il grande menestrello della musica e della composizione lirica italiana, Angelo Branduardi, in una canzone che accompagnò una fortunata serie televisiva, dedicata a Filippo Neri, il santo dei bambini
A cosa servono, infatti, i manifesti elettorali, se non a sfamare l’umana vanità?
Oddio, in contesti elettorali in cui c’ è la necessità di far conoscere a più persone possibili il fatto della propria candidatura, si può anche associare all’intento effimero, quello più pratico e, almeno in parte, solo in parte considerate le alternative offerte dalle strutture della comunicazione e della socializzazione digitale del presente, funzionale a un’esigenza dell’organizzazione del consenso. Ma quando si vota in centri piccoli e, per di più, la disputa si risolve nel corpo a corpo del voto di prossimità e a conduzione familiare, la propaganda “ad affissione”, in special modo quando riguarda un politico già noto in quel dato paese e in quella data cittadina e che, per giunta, ha gestito il potere per anni, a cosa può servire mai l’affissione tradizionale? C’è lo dico io: non serve a nulla e non riguarda nulla che abbia a che vedere con la serietà.
Beninteso, il caso segnalatoci è identico a tanti altri . Per cui, nessun processo ad personam, sommariamente istruito e celebrato nei confronti della signora Rosaria Tremonti.
“Manifesto selvaggio” è, infatti, un consueto rito di rinnovamento dell’incivilta, è l’impassibile riproduzione periodica della relazione tra la vita delle genti di questi nostri sfigatissimi, arretratissimi territori e il valore delle leggi, degli ordinamenti, dello Stato di diritto Indignarsi perché la Tremonti, violando la ripartizione regolamentare degli spazi affissione, ha riempito di manifesti con la sua faccia, l’area del mercato domenicale di Mondragone, significa partecipare alla cerimonia, noiosamente collaterale, della solita, stucchevole denuncia “in remote” e del tutto inutile.
I manifesti della Tramonti, come del resto tutti quelli di chi fa politica come la fa lei, come la fanno, soprattutto, il marito e il loro comandante in capo, nonché amico del cuore, Giovanni Zannini, non servono a nulla, se non a rinnovare la manifestazione buffa e grossolana di una vanità, comunicata ai tanti, perché purtroppo sono proprio tanti, che, di fronte a quei manifesti illegali, ritengono che, tutto sommato, su chiamerà anche violazione nelle leggi italiane, ma nella prassi, nella legge non scritta, ma assolutamente ordinatrice, pardon, disordinatrice, violazione non è o, quanto meno, non costituisce un gran peccato l’ invasione degli spazi ( avremmo pagato per sederci a scompisciarci dalle risate nel guardare il signor mentre li consegnava ai suoi “guaglioni” ) e che, in realtà, quella “spasa” rappresenta il segno di potenza e di potere di un gruppo di persone, che ha trovato nello Zannini un interlocutore affine, omogeneo rispetto ai modelli di vita del signor e della signora Tramonti, rispetto a un modo di essere più che di un modo di agire, quintessenza di una mentalità, larghissimamente diffusa e accettata, di certo, non solo a Mondragone. Una mentalità, un orizzonte esistenziale grazie ai quali lo Zannini si avvia a vincere facilmente le prossime elezioni comunali.

Vanità e nulla più, dunque. Perché non c’è un voto un solo voto per la Tramonti, per il marito e, in scala esponenzialmente superiore, per Giovanni Zannini che possa dipendere da un manifesto elettorale , da un’empatia o da una curiosità iconiche, disinteressate o, quanto meno, dalla volontà di conoscere cosa la Tramonti, il marito e soprattutto Zannini, che si propongono in migliaia di manifesti elettorali affissi, abbiamo fatto per la comunità, per lo sviluppo armonico e omogeneo dei territori, considerando gli stessi i primi interlocutori, quali risultanti di una comunità a cui si chiede un voto di merito è di nobile riconoscimento. L’eccellenza della Tramonti, del marito e di Zannini è costituita dalla rara capacità e dal coraggio, perché di coraggio si tratta, di ridurre, sistematicamente e ogni santo giorno del calendario, il tesoro della corona, i beni pubblici, le risorse dell’A Regione, dei Comuni casertani, a partire da quelle del Comune di Mondragone, in un potente alimentatore, diretto e indiretto, di rapporti, costruiti singolarmente, individualmente, persona per persona, famiglia per famiglia, sindaco per sindaco, medico di base per medico di base, andando a rastrellare, a identificare nel territorio, con efficienza degna di ben miglior causa, ogni soggetto in grado di svolgere la missione della “moltiplicazione della ricotta e dei voti”.
Per cui, “vanità di vanità”. e null’altro. D’altronde, da che mondo è mondo, il parvenu è fatto così: i soldi, il benessere fanno.la loro felicità, ma, dopo qualche anno, neppure quelli bastano più. Il parvenu comincia a soffrire perché il suo potere materiale non si traduce nella gratificazione della reputazione, di un’affermazione sociale edificata sulla stima e non solo su un certo modo per conquistare voti. Ma la reputazione e la conquista di una stima disinteressata restano, fortunatamente, beni indisponibili, e non serviranno dieci, cento, mille manifesti elettorali per conquistarle. Quella, la reputazione della persona realmente rispettata e non solo temuta, si può conquistare, purtroppo per i parvenu, cominciando dai banchi della scuola, studiando e conquistando promozioni di merito, sostenendo esami in università severe ed esigenti e non allegramente ghermito nell’ universo munifico dei vari Pegaso proliferanti,, per colpa dei quali lo studio, la vera preparazione, la cultura del sapere come unico motore della civiltà e del progresso, sono in via di definitiva macellazione, nel momento in cui perequano, ogni giorno, titoli di studio universitari acquisiti grazie allo studio e al sacrificio, con quelli “pegasiani” , che sfornano tanti laureati che non sanno neppure “se sul se e su quale sé, ci voglia o meno l’accento.