ARSENALE DI CAMORRA nell’autoclave di un idraulico insospettabile: ora le condanne per il ras Corrado De Luca e per il 76enne Mario Pagano sono definitive

22 Ottobre 2022 - 12:16

Di questa storia, CLIKKA E LEGGI IL NOSTRO ARTICOLO PUBBLICATO IL 30 MAGGIO 2019, ci siamo occupati per diversi giorni a suo tempo, esprimendo una serie di motivate perplessità sulla versione che l’idraulico Davide Diana aveva esposto durante i colloqui carcerari con i suoi congiunti. Tutte quelle armi, infatti, prima di lui, le aveva custodite…

SAN CIPRIANO D’AVERSA – Per Mario Pagano, 76enne di San Cipriano la decisione della corte di Cassazione aveva solamente un significato morale o un non significato, se questo particolare aspetto del genere umano non sia stato e non sia neppure ora al centro dei suoi interessi e delle sue preoccupazioni. Questo perchè Mario Pagano, i tre anni e 2 mesi di reclusione subiti dalla sentenza, emessa dalla Corte di Appello di Napoli nel settembre 2021, li aveva già scontati per intero agli arresti domiciliari, dove era stato inviato anche in considerazione della sua età avanzata. Per cui, la conferma di queto verdetto da parte dei giudici della Suprema corte, non produrrà effetti pratici sulla sua vita attuale.

Diverso il discorso per Corrado De Luca, il quale, va aggiunto, non aveva in questo processo l’unico problema giudiziario affrontato e da affrontare. Trattandosi di uno dei più fedeli luogotenenti di Antonio

Iovine detto o ninno, il De Luca, oggi 55enne, è coinvolto in diversi processi. La Cassazione, circa 24 ore fa, ha messo in rete le motivazioni della sentenza che rigetta i ricorsi presentati dagli avvocati Raffaele Mascia, Domenico Della Gatta e Paolo Caterino e che, oltre a confermare la già citata condanna a tre anni e due mesi per Mario Pagano, fa la stessa cosa con quella a 6 anni e 8 mesi, che Corrado De Luca recava con sè quale eredità del verdetto della corte di appello di Napoli.

Si tratta di una vicenda di armi. Di armi conservate , custodite da persone che, quando lo facevano, erano considerati degli insospettabili. Questo è un caso smascherato, portato alla luce dalle indagini delle forze dell’ordine, degli uomini della polizia giudiziaria e coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, titolare dell’inchiesta compiuta sotto l’egida del sostituto procuratore Simona Belluccio. Ma vi garantiamo che questo fenomeno, questa disponibilità di persone apparentemente pulite, che hanno svolto e svolgono una vita normale, spesso e volentieri anche consumata dietro ad una scrivania di impiegato pubblico, hanno rappresentato per anni e anni, il prezioso punto di riferimento per boss e luogotenenti che hanno conservato le loro terribili armi, utilizzate o eventualmente da utilizzare in agguati di morte, nelle case di queste persone, di solito ben riposte all’interno di profondi armadi a muro con doppi e tripli fondi.

Nel caso specifico invece l’arsenale fu trovato nell’autoclave utilizzata nella sua abitazione dall’idraulico Davide Diana, il quale è stato già giudicato con il rito abbreviato e che espose, al tempo, una versione che giustificava la presenza delle armi con una sorta di tranello che gli avrebbe teso proprio Mario Pagano, il quale, con il pretesto di chiedergli di aggiustare un rubinetto della propria abitazione, gli avrebbe fatto trovare Corrado De Luca, il quale gli avrebbe chiesto di prendere in custodia le armi, evidentemente utilizzate dal gruppo di Antonio Iovine.

Davide Diana afferma che lui disse solamente per paura. Ma quella versione non convinse gli inquirenti anche perchè l’operazione consistette nel trasferimento di una pistola a tamburo marca Franchi, calibro 38 special, con matricola abrasa, di 7 cartucce marca Fiocchi, una semiautomatica Beretta calibro 6.35, di dieci cartucce marca Sellier e Belliot e di due caricatori per pistola Beretta 82 Fs Calibro 9 di provenienza militare dalla casa del fratello defunto di Davide Diana, che aveva custodito fino alla sua morte l’arsenale, all’autoclave della casa del suo germano minore.
Queste versioni furono raccolte durante i colloqui che Davide Diana ebbe in carcere con i suoi congiunti da cui saltò fuori anche il tentativo, sempre da lui realizzato, di aggiustare la versione con la cognata, nonchè vedova del fratello Maria Antonelli.