MARCIANISE. La restituzione della scorta a Velardi è un atto iniquo, sbagliato e ingiusto. Come mai non ha raccontato della sua casa abusiva, di Gennaro Spasiano e dell’obbligo di dimora chiesto dal procuratore D’Amato?
26 Giugno 2020 - 17:13
Siccome sono “parole grosse”, rispetto alle quali, come sempre, pur riconoscendo di non avere la verità in tasca, Casertace non arretra nella sua funzione democratica, beccatevi questo articolo, perché, quando si scrive di cose serie, è serio spiegare dettagliatamente le proprie argomentazioni
MARCIANISE (Gianluigi Guarino) – Secondo il Tar Campania esistono fondati motivi per emettere un provvedimento di sospensione dell’atto amministrativo che ha portato alla revoca della scorta attribuita ad Antonello Velardi.
In poche parole, esiste, secondo il Tar della Campania, il fumus boni iuris, ovvero quella “parvenza di buon diritto” che, siccome “appare”, merita un congelamento di quello status quo che il provvedimento amministrativo, in questo caso la soppressione della scorta, aveva modificato.
Su questo, l’ottimo avvocato Chicco Ceceri, che ha assistito Antonello Velardi in questa vicenda, non potrà non essere d’accordo, dato che siamo allo stadio di una mera asserzione definitoria.
Come si suol dire, questa fase della procedura non entra nel merito della questione, che poi sarà trattata alla presenza di tutte le parti, dell’attore che è appunto Velardi, e del convenuto, che non è un pinco palla qualsiasi, ma l’avvocatura dello Stato, in sede di udienza dibattimentale, la cui data crediamo sia stata già decisa, ma che non siamo in grado di comunicarvi, non avendo ancora davanti a noi il dispositivo di sospensiva.
Come si suol dire, perché poi la realtà, soprattutto nel processo amministrativo, disegna delle evidenze sostanziali che decidono le sorti dei vari momenti processuali in base a suggestioni che non possono non riguardare l’aspetto del merito della questione affrontata.
Se non fosse così, cioè se veramente, al di là della solita ipocrisia assertiva di tipo italiota, la prima fase, cioè quella relativa alla decisione sull’eventuale esistenza del citato fumus, sarebbe ispirata solamente da motivazioni tecnico-procedurali.
Ma non è così e gli avvocati di Velardi, che si muovono come pochi, anzi come pochissimi, tra le stanze del Tar campano, hanno costruito l’istanza di sospensiva interamente sulle questioni di merito.
Certo, il ricorso è quello e viene presentato sia per la sospensiva che per la sentenza finale.
Ma in questo caso appare chiaro che il Tar abbia deciso in base soprattutto alle suggestioni di una narrazione a senso unico.
Per carità, l’attore ha scritto quel che doveva scrivere, autocelebrando se stesso e la propria esistenza, disegnando un quadro a tinte foschissime di Marcianise, nel momento in cui ha collegato le storie della camorra militare, quella che provocò il cosiddetto “coprifuoco” del 1998, all’attuale condizione, che non sarebbe cambiata, perché oggi, scrive Velardi nel suo ricorso, ci sono i parenti dei camorristi a piede libero, e dunque Marcianise è una città infestata dalla criminalità organizzata esattamente come lo era più di vent’anni fa.
E questo porta già a una considerazione di implicita critica nei confronti degli organismi dello Stato che hanno lavorato per 30 anni sul teatro marcianisano, arrestando centinaia e centinaia di persone e sequestrando patrimoni dal valore vertiginoso.
Eppure, come si legge nel ricorso, oggi i figli, i nipoti, gli affini e i consanguinei, forniscono a Marcianise il marchio di infamia di “Camorra City”.
Dunque, quando leggeremo il dispositivo del Tar, proveremo a farlo in controluce, perché al di là della ortodossa compostezza lessicale, si capirà in che misura i giudici amministrativi, che di diritto penale si sono occupati l’ultima volta all’università, così come della procedura penale, così come della criminologia, così come della balistica, abbiano subito la fascinazione narrativa di una ricostruzione dei fatti che è una mera, quand’anche legittima, autobiografia, che non tiene assolutamente conto di possibili altre situazioni, e non si pone il problema dell’autenticità totale o parziale di un racconto che non è erogato da un perito del tribunale, non è supportato da elementi documentali seri, che non siano le solite stupidaggini che si leggono su Facebook, che compaiono e scompaiono, che non siano improbabili lettere che possono essere spedite da chiunque e che non rappresentano, solo in quanto esistono, la prova che Velardi viva in situazioni di pericolo tale da giustificare una scorta.
Già immagino la confutazione: “Non è così, le questioni di merito non sono state ancora trattate”. E chi ha detto il contrario?
Noi stiamo ponendo il problema della suggestione che induce dei giudici di diritto amministrativo che, ripetiamo, hanno contatti con le cose della criminalità organizzata solo guardando dei film o delle miniserie in tv, a schierarsi dalla parte di una presunta vittima, di un presunto target della criminalità organizzata.
Ma cosa c’era, dall’altra parte?
Cosa è stato sospeso dal Tar della Campania? Un provvedimento firmato dal prefetto di Caserta, Raffaele Ruberto, che nella sua vita ha svolto le funzioni di poliziotto per anni e anni, fino a guidare a lungo le diverse questure e assumendo il ruolo di massima autorità per la tutela di ordine pubblico nelle provincie in cui ha ricoperto questa carica.
E su cosa si è basato questa decisione di Ruberto?
Ve lo diciamo noi: su una consultazione con i vertici delle forze dell’ordine impegnate da sempre nella repressione dei fenomeni di criminalità organizzata in provincia di Caserta, veri mastini anticamorra, che del fenomeno criminale sanno giusto una “ntecchia” di più di un qualsiasi giudice amministrativo che dai tempi dell’università sviluppa la sua relazione cognitiva con questi fatti davanti alla tv, sorseggiando un bicchiere di latte di mandorla.
Sarebbe molto grave, ma questo ve lo diremo quando avremo letto con attenzione la decisione, se la sospensiva fosse arrivata non per aver rilevato un vizio procedurale di tipo amministrativo, come sarebbe giusto e serio, ma da un sindacato, magari implicito, magari non dichiarato, che ha portato un paio di giudici che operano al Tar di Napoli a dire, in sostanza, che il prefetto di Caserta Ruberto, che i comandanti dell’arma dei Carabinieri, succedutisi negli ultimi tempi, che il comandante della Guardia di Finanza, che il Questore di Caserta, non sono in grado di valutare, di soppesare l’esistenza di condizioni di autentico pericolo, al contrario di quello che, invece, sarebbero in grado di fare dei giudici amministrativi.
Ci potremmo anche fermare qua nel racconto di questa ennesima storiaccia, che si verifica in un contesto che lega la politica, i poteri forti, le varie consorterie e qualche volta anche la magistratura.
Un contesto che non emerge dalla mente di un mitomane, prigioniero della cultura complottistica, dei servizi segreti deviati, ossessionato dalle doppie o triple verità che vede in ogni dove, ma dalla cronaca di queste ore, che ci racconta quello che a noi non stupisce, dato che ci siamo pronunciati in tempi non sospetti in proposito, e cioè che i magistrati sono “Italians”.
Né buoni, né cattivi. Si potrebbe dire buoni o cattivi, valutandone l’operato, se questo nostro Paese si chiamasse Germania o Svezia.
Ma siccome non ci chiamiamo così, né buoni e né cattivi. Semplicemente, immancabilmente, irreversibilmente Italians.
E allora un passaggio lo dedichiamo anche a questa agiografia che Velardi si è scritto insieme ai suoi avvocati, roba da libretto dei santi. Ha dimenticato, per esempio, di omettere che magari la sua posizione processuale potrà anche risolversi, ma c’è stato un magistrato importante, cioè Antonio D’Amato, procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di S.Maria C.V., oggi e, va detto, da pochi mesi, membro togato di un Csm meno puzzolente di un anno fa, il quale in scienza e coscienza, presentando un’istanza di applicazione di misure cautelari tra carcere, domiciliari e altro, ha chiesto ad un giudice dello stesso Tribunale di allontanare Antonello Velardi dalla città di Marcianise con un divieto di dimora, in modo che lui non potesse più svolgere le funzioni di sindaco che al tempo svolgeva.
Capitolo abusivismo: Velardi dice che ha abbattuto di qua e di là, che ha messo mano a strutture nelle mani della camorra.
Due cose: siamo disposti, in ogni momento, a fare un inventario di manufatti abusivi, appartenenti a soggetti certo non iscritti al club dei sostenitori delle suorine del buon consiglio, che non sono stati neppure sfiorati da una procedura amministrativa finalizzata al loro abbattimento, al contrario di certi luoghi abitati da persone che forse hanno svolto attività delinquenziale, nella propria vita, ma che se sono stati delinquenti, sono anche stati i criminali più sfigati e incapaci, i peggiori esponenti della camorra marcianisana, viste e considerate le condizioni in cui erano ridotti i tuguri in cui vivevano.
Seconda cosa, che andrebbe comunicata ai giudici del Tar: tra i manufatti impuniti c’è anche, guardate un po’ quello di Velardi, che ultimamente è stato di nuovo iscritto nel registro degli indagati, perché la sua casa, autorizzata per fare 3, ha fatto in realtà 10, allargandosi a dismisura al di fuori del consentito e grazie a titoli autorizzativi dati disinvoltamente, e oggi sotto indagine, da quell’Ufficio Tecnico, da quelle burocrazie comunali che oggi Velardi indica come il male assoluto, come il simbolo di una camorra ancora regnante.
Come se poi il dirigente da lui scelto, cioè Spasiano, arrestato (ha dimenticato di scrivere anche questo) e sotto processo per la vicenda Interporto che ha coinvolto anche Velardi, fosse un cherubino dell’anticamorra, a differenza di Fulvio Tartaglione e di quell’Angelo Piccolo, anche lui arrestato qualche anno fa, che carinamente – così si evince dalla narrazione di Velardi – tra un favore e l’altro elargito ai Mazzacane e ai Quaqquarone trovava il tempo per dargli la concessione edilizia, nonostante il parere negativo pronunciato dall’allora dirigente del Settore Urbanistica.
Che faccio, continuo? Per il momento no. Ma questa cosa del Tar è un’altra ingiustizia, un altro atto di iniquità che abbiamo il dovere di contestare con gli strumenti della democrazia e di contrastare nei limiti della libertà di espressione così come questa è sancita dalla Costituzione Italiana.
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