MOZZARELLA DI BUFALA FARLOCCA. Sulla strage dei capi nelle stalle casertane, De Luca, Limone e Postiglione snobbano Gennaro Oliviero e continuano a fare i negazionisti sul vaccino
17 Dicembre 2020 - 17:30
A quanto ci risulta, il presidente del consiglio regionale che ha scritto il 25 novembre la lettera da noi pubblicata in calce, non ha ricevuto risposta. E lettera morta è rimasto l’ordine del giorno approvato dal consiglio regionale. IN CALCE ALL’ARTICOLO ANCHE IL GRAFICO CHE PARLA DA SE’: LA BRUCELLOSI E’ LETTERALMENTE ESPLOSA E NEL 2020 BATTERA’ IL RECORD DI SEMPRE. QUESTO GRAZIE ALL’INAMOVIBILE MISTER LIMONE
CASERTA – (Gianluigi Guarino) Che nella Regione Campania viga, sostanzialmente, un regime di democrazia autoritaria, ossimoro ma fino ad un certo punto, è opinione di molti. Non a caso, il piglio del governatore Vincenzo De Luca piace molto più a destra che a sinistra, molto più alla massa di persone che non si interessano minimamente di come venga gestita la “cosa pubblica” nei palazzi napoletani e che dunque si fanno bastare il piglio autoritario dà loro la sensazione di essere guidati da una mano sicura, che, al contrario, non è affatto gradita a coloro i quali prediligono la democrazia rappresentativa e l’autentica divisione dei poteri, con pesi, controppesi e tutte quelle robe lì, ci siamo capiti…
Come accade sempre quando c’è un solo uomo al comando, l’apparato della propaganda fa risaltare pochi, ma efficaci messaggi, da cui si trae la sensazione che De Luca sia una sorta di padre di famiglia, quand’anche burbero, che però decide sempre, sa decidere e ci mette pure la faccia.
In realtà, ogni potere monocratico ha tante sfaccettature e un numero di degenerazioni non inferiore a quello che accompagna le cosiddette democrazie compiute. Una di queste consiste nella scelta di un autentico cerchio magico di persone che vengono valutate, selezionate e premiate, non in base alla preparazione, all’efficienza, ma in ragione del loro grado di fedeltà acritica al capo.
Va da se che questi, per mantenere il pieno controllo della macchina, debba munificamente concedere qualche spazio in cui i galoppini governativi possano sviluppare e realizzare i loro interessi personali.
Queste nostre affermazioni ci consentono ora di entrare nel vivo dell’argomento di cui ci vogliamo occupare ancora una volta. Solo i lettori di CasertaCe sanno, che esiste un problema molto grave all’interno del settore della produzione della mozzarella di bufala campana in provincia di Caserta e in generale nell’intera regione, colpita da una vera e propria strage di animali da latte, a questo punto, circa 40mila bufale abbattute nell’arco di due anni.
Decisioni assunte dai dipartimenti di veterinaria delle varie Asl che agiscono su direttiva della Regione Campania e del piano straordinario del controllo delle malattie infettive della bufala mediterranea italiana, relative agli anni 2019 e 2020.
In questo documento che in passato abbiamo definito scellerato e anche un bel pò sospetto, abita tutta la filosofia dell’ineffabile Antonio Limone, il quale, più che un Limone, è un mandarino, in verità un pò andato a male, paragonabile agli inamovibili burocrati che governavano la mastodontica macchina amministrativa dell’impero del Dragone sin dai tempi della dinastia dei Ming.
Neppure l’imperatore poteva disporre pienamente del destino di questa potentissima casta, che conosceva come nessuno tutte le complessità di quel territorio sterminato ed era in grado di rendere la vita difficile al monarca che, dunque, doveva mantenere gli equilibri.
E allora, un pò limone e un pò mandarino: l’inamovibile direttore (l’ultima conferma nella primavera scorsa) dell’Istituto Zooprofilattico della Campania oltre a dedicarsi agli animali, si è occupato infatti, anche un pò degli uomini, finendo sui giornali per una vicenda non ancora chiarita che ha portato allo scoperto un’operazione non autorizzata attraverso cui l’Istituto Zooprofilattico, incaricato di processare i tamponi al tempo del primo lockdown, delegava carinamente l’incombenza ad un laboratorio privato della provincia di Napoli, il quale, manco a dirlo, qualche mese prima, si era aggiudicato un super affidamento Soresa.
D’altronde, quando Limone fa il….limone, cioè quando si dedica agli animali, il danno è garantito. E non lo diciamo solo noi che ci occupiamo di questa problematica da anni. A mettere la penna su carta, lo scorso 25 novembre, è stato infatti il neo presidente del consiglio regionale Gennaro Oliviero, il quale ha sollecitato “lorsignori”, cioè Antonio Postiglione ed altri mandarini, pardon, questi qua sono proprio mandaranci, a dare seguito, com’è dovrebbero fare, senza se e senza ma, all’Ordine del Giorno approvato quasi all’unanimità dal consiglio regionale nell’ultima seduta, datata 5 agosto, della precedente legislatura.
Il quadro analitico delle richieste che Oliviero ribadisce e che indirizza alla giunta regionale, allo stesso De Luca e al suddetto Postiglione, lo potete consultare leggendo il testo integrale del documento firmato dal presidente del consiglio regionale, che pubblichiamo integralmente in calce.
Sinteticamente, vi diciamo in pratica o meglio vi ripetiamo, il punto essenziale di questa storia che non si tratti argomenti importanti, come se la mozzarella di bufala mangiata da migliaia e migliaia di casertani e da milioni di persone nel mondo intero, fosse un tema di poco conto.
In cosa consiste la dottrina di questo Limone che, con tutto il rispetto per la persona, noi siamo liberissimi di considerare non all’altezza del compito che svolge. E menomale che lo consideriamo così, perchè se al contrario lo considerassimo all’altezza, la spiegazione del dolo premeditato rappresenterebbe l’unica strada, l’unica chiave di lettura per la follia in atto nel settore bufalino.
Limone sostiene, in pratica, che la vaccinazione contro la brucellosi (non sappiamo se lo stesso discorso lo faccia anche per la tubercolosi), non serva e che renda più difficile, rischiosa la produzione di latte di bufala. Diciamocela tutta: siccome si tratta di una tesi buttata un pò lì e non supportata dalla stragrande maggioranza degli esperti, non suffragata da un’idea speculare, adottata a livello di organismi dell’unione europea, possiamo tranquillamente affermare, tra il serio e il faceto, che Limone, oltre ad essere un mandarino, è anche un mandarino negazionista.
Parola che di questi tempi va anche molto di moda.
In poche parole, Bassolino prima, Caldoro dopo cioè tutti quelli che avevano dato il via libera, che avevano incoraggiato la vaccinazione delle bufale da latte nell’ambito di due piani settennali, sono dei coglioni. Nell’anno 2008, la percentuale di incidenza della brucellosi sui capi bufalini in provincia di Caserta era dell’11,3%. Le campagne di vaccinazione, hanno fatto sì, come si vede chiaramente dal grafico, che questo tasso scendesse decisamente, fino ad arrivare ad un minimo nell’anno 2015, quando i capi bufalini, allevati nelle stalle casertane e ammalitisi di brucellosi sono stati solamente lo 0,8% dell’intera popolazione.
Da quando è arrivato De Luca, le cose sono cambiate: nel 2016 siamo tornati a salire all’1,6%, fino ad arrivare all’anno in corso, quando, fino ad agosto, la percentuale di capi bufalini ammalatisi di brucellosi è stata pari all’8,4%. Per cui, se la matematica non è una opinione, negli ulteriori 4 mesi del 2020 e fino al prossimo 31 dicembre, si varcherà la soglia del 12%, battendo il record storico dell’epidemia.
Per questi motivi e non certo per amore della gratuita polemica, ci piacerebbe a questo punto aprire un contraddittorio di contenuto con Limone. Ma il direttore dell’Istituto Zooprofilattico non vuol confrontarsi con nessuno, tanto è vero che va a carroarmato spedendo nelle stalle le falangi dei suoi veterinari, che coccola non poco, come ha dimostrato nella scorsa primavera quando li chiamò tutti insieme in due giorri per sottoporli, in anticipo rispetto ai normali cittadini, agli allora rari tamponi molecolari.
Le falangi arrivano, diagnosticano la brucellosi e conseguentemente l’abbattimento del capo. Questo avviene senza alcun formale contraddittorio con l’allevatore, nonostante che questo istituto, questa procedura sia esplicitamente prevista dalle normative europee.
Ma allora, a chi giova questo eccidio? Chiaro che con l’aumento dei capi abbattuti, si riduce drasticamente la produzione di latte di bufala. Ma si riduce qui, in provincia di Caserta, ma non in Romania, in Bulgaria, dove, sin dai tempi d’oro di Cicciariello, cugino di Francesco Schiavone Sandokan non a caso catturato in Polonia, sono stati insediati decine e decine di allevamenti nei quali, invece, la vaccinazione si fa.
Quanti camion, quanti tir partono da quelle aree per portare la cagliata congelata o “tenuta in fresco” per due o tre giorni nei caseifici casertani? E chi è che muove i fili di questo lucrosissimo traffico, questo lucrosissimo commercio? Dalla risposta a tali domande dipende, probabilmente, anche la spiegazione, all’altrimenti inconcepibile, incomprensibile scelta di De Luca e di Limone, di sterminare la maggior parte delle bufale da latte delle stalle casertane, che poi sono la magna pars della produzione complessiva di mozzarella.
Chiudiamo questa prima puntata del quinto o sesto ciclo di articoli dedicati al tema della produzione lattiero-casearia della provincia di Terra di Lavoro, con un nostro antico cavallo di battaglia che si valse anche la solita querela, nell’occasione presentata dal presidente del consorzio mozzarella di bufala dop, un salernitano di cui non ricordiamo neppure le generalità. Querela peraltro persasi totalmente, riteniamo per archiviazione.
Se i produttori casertani di latte di bufala che per un pò di tempo sono stati tacitati con rimborsi, risarcimenti buoni per tamponare il danno ma non certo per ricostituire un parco bufalino decimato dagli abbattimenti, ora la rabbia ribolle letteralmente: meno bufale casertane, più latte dalla Bulgaria, dalla Romania, dalla Polonia eccetera. Questo latte che magari sarà anche buono, dove va a finire?
Nei caseifici o nelle parti dei caseifici che producono mozzarella di bufala generica? Oppure, magari per sbaglio, in aree confinanti degli stessi caseifici che producono la mozzarella dop, molto più costosa e molto più remunerativa, quella che noi peraltro esportiamo all’estero? Come abbiamo scritto decine e decine di volte, anche questi interrogativi sono molto più importanti di quanto li si voglia far passare: il marchio dop, infatti, è legato o meglio dovrebbe essere legato, al rispetto di un disciplinare rigoroso, riconosciuto e certificato dal governo, attraverso il Ministero delle Risorse Agricole, che prevede l’utilizzo di latte proveniente da stalle vicine ai caseifici, in modo da evitare che il prodotto, tenuto in sospensione troppo tempo, perda quelle caratteristiche che danno pregiatezza alla cagliata e quindi alla mozzarella.
E’ come se tu facessi il vino, lo vendessi come doc e al posto di un certo tipo di uva coltivata in un certo modo, ci metti quella generica o addirittura more e lamponi. Il vino di casa è buono, ma non è vino col marchio doc che costa, non a caso, dieci volte tanto.
Questa si chiama frode commerciale che nessuno, se si eccettua un concreto sforzo, compiuto a suo tempo dall’allora ministro delle risorse agricole Luca Zaia, oggi governatore del Veneto e da un valentissimo colonnello dei carabinieri che lo affiancava come consulente, ha voluto correttamente, profondamente, in poche parole, adeguatamente indagare in provincia di Caserta, nonostante il dato di fatto di un giornale, stiamo parlando naturalmente di CasertaCe, in grado di documentare, in più occasioni, anche attraverso la pubblicazione di video, le strane cose che succedevano attorno e dentro a certi caseifici nelle notti in cui entrava ed usciva un tir dietro l’altro, certo non proveniente da una stalla della piana dei mazzoni.
A presto rileggerci.
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