7 ARRESTI. CLAN DEI CASALESI AL NORD. “Sei un morto che cammina”, così minacciavano un creditore

19 Dicembre 2018 - 11:49

CASAL DI PRINCIPE – Nell’ambito dell’operazione eseguita ieri mattina che ha portato 7 persone all’arresto, risultano indagati anche un 63enne di Treviso (R.F.) un 56enne di Milano (B.S), un uomo di 61 anni residente a Udine e domiciliato a Trieste (M.G). Un 48enne di Portogruaro è invece finito nel registro degli indagati per abuso d’ufficio e favoreggiamento (C.R.) assieme a un uomo di 49 anni di Udine.

L’operazione (denominata “Piano B”) fa parte di articolate indagini che vedono indagate, come scritto ieri, complessivamente 13 persone. Sedici sono state le perquisizioni eseguite nella notte nelle province di Udine, Treviso, Milano, Padova, Napoli e Modena, a cui hanno fatto seguito anche alcuni avvisi di garanzia.

Tutto parte dalla figura chiave di Gaiatto. Sembra che il presunto intermediario finanziario di Portogruaro avesse investito circa 12 milioni di euro provenienti da ambienti vicini al clan camorristico dei Casalesi. Lo stesso Gaiatto aveva realizzato un complesso sistema di investimenti di capitali utilizzando alcune società con sede in Croazia, Slovenia e Gran Bretagna. Il colonnello Moroso, della Direzione investigativa antimafia di Trieste, ha spiegato che «le attività delle società in Croazia lo vedevano sempre all’interno del trade finanziario. Dapprima Gaiatto aveva costruito uno staff di imprenditori italiani che volessero investire in Croazia. Si crea così un gruppo di persone che diversifica gli investimenti di quanto lui aveva truffato o promesso alla gente».

Come lo fa? «Acquistando immobili per garantirsi la possibilità di ridare i soldi alla camorra».

È in questo contesto che si inseriscono i soldi sporchi dei clan dei Casalesi. Fiutano l’affare, contattano l’intermediario finanziario veneto attraverso le famiglie che dal Veneto chiamano “a valle” e affidano i 12 milioni di euro da investire. Il colonnello Moroso ha dichiarato che «queste persone chiamano e dicono che non solo Gaiatto dava gli interessi ma anche ritornava i soldi a quel punto puliti». Niente di strano fino a qui, se non fosse che nei primi mesi del 2018 accolgono la denuncia di un commercialista di Pola al quale si sommano le istanze di altri creditori che volevano rientrare in possesso delle somme destinate a Gaiatto che nel frattempo non se la passa molto bene.

Le autorità croate passano così al contrattacco e, sulla base delle denunce acquisite, iniziano a pignorare i conti correnti delle società dell’imprenditore di Portogruaro e, contestualmente, li bloccano. Gaiatto in questo modo non ha più possibilità di rientrare in possesso del capitale che il clan dei Casalesi aveva a lui affidato per effettuare gli investimenti. La camorra vuole che i soldi tornino in suo possesso ed è così che affidano ai sei arrestati il compito di eseguire il lavoro sporco.

«Non arriva l’amico della camorra che abita al nord – ha commentato il colonnello Moroso – ma arriva la squadra da giù». Il primo viaggio verso il nordest è datato febbraio di quest’anno. Arrivano con intenzioni decise ma non se la prendono con Gaiatto, bensì lo utilizzano come “chiavistello” per aprire le casseforti dell’illegalità. Due persone arrestate vengono posizionate a casa dell’intermediario finanziario «garantendogli una sorta di protezione» da altri creditori, esasperati nel frattempo per la perdita del capitale investito. «A presidiare la casa di Gaiatto era solito essere Cozzolino», ha precisato il procuratore capo di Trieste Carlo Mastelloni. Il “commando” composto da più persone invece lo accompagnava negli spostamenti.

All’ombra dell’arena di Pola si consumano alcuni atti volti ad estorcere, nei confronti di professionisti italiani e croati, non solo denaro, ma anche assicurazioni scritte che nessuno di loro avrebbe vantato crediti nei confronti di Gaiatto. Questo per arginare interferenze esterne nell’operazione di riscossione dei soldi che la “mala” aveva investito. Per persuadere i creditori del Gaiatto a rinunciare, i sei arrestati costringevano le vittime a cedere beni mobili e immobili del valore di svariati milioni di euro, «nonché a fare consistenti prestiti che poi avrebbero dovuto far confluire sul conto di società del faccendiere» di Portogruaro. In alcune occasioni sono stati utilizzati metodi mafiosi e «espressioni lessicali di stampo camorristico». Ad un uomo avrebbero fatto vedere le foto dei suoi familiari, mentre lo stesso era a cena in compagnia di un’altra persona, proferendo nei suoi confronti una frase di minacce: «Sei un morto che cammina».

Risultano essere circa 3000 le persone coinvolte nelle “manovre” di Gaiatto. L’importo in questione è di svariate decine di milioni di euro. «Se fosse andato tutto bene probabilmente l’intermediario finanziario faceva rientrare la camorra dei soldi che aveva investito». Ma qualcosa è andato storto. La giustizia ha messo a segno un colpo alla criminalità organizzata targata Casal di Principe. Quello di oggi è il primo passo di un’indagine che andrà avanti anche nei prossimi mesi. Dalle dichiarazioni emerse in conferenza stampa tutto ciò che ha a che fare con le attività in Croazia verrà approfondito e nel frattempo gli inquirenti stanno acquisendo la documentazione bancaria. Nessun sviluppo della vicenda è al momento escluso. Nell’operazione “Piano B” sono state impiegate circa 100 persone. «Le indagini – ha aggiunto il procuratore Mastelloni – sono andate avanti per più mesi e tutto ciò ci consente una mappatura che ci fa parlare neanche più di infiltrazioni, ma di insediamenti insidiosi del clan dei Casalesi. Questo è un caso evidente di insediamento di uno dei clan più agguerriti della storia della camorra».