L’EDITORIALE. La pornografica e perversa scelta di Carlo Marino di ufficializzare la sua candidatura nel giorno peggiore per la vita dei casertani. Ma in un ballottaggio perderebbe sempre, eccetto in un caso

9 Ottobre 2020 - 13:52

Secondo me, non è casuale che mentre la città capoluogo era totalmente paralizzata e affogava la sua rabbia in chilometri e chilometri di ingorghi inestricabili, il Marino, emblematicamente, riproponeva se stesso. Ma non si tratta solo di relativismo, ma di un calcolo ben fondato

 

di Gianluigi Guarino

Ci furono una volta, e forse ci sono ancora, le “truppe cammellate” collegate al tempo ormai andato di campagne militari complicate, che necessitavano dell’uso di soldati indigeni in grado di muoversi agevolmente in groppa ad un cammello, che non è la cosa più semplice del mondo, in una condizione climatica ipercritica. L’utilizzazione metaforica di questa definizione è tarata, invece, in tempi più recenti e si deve fondamentalmente all’estro del grande giornalista Gianpaolo Pansa che utilizzò questa particolare forma di presenza nei teatri di guerra del primo e del secondo conflitto mondiale per cazzeggiare deliziosamente un pò, dentro al suo “Bestiario”, storica rubrica tenuta per decenni nelle pagine de “L’Espresso”, sui pullman che, a decine e decine, sciamavano alla volta di Roma, organizzati da

Clemente Mastella in occasione dei congressi nazionali della Democrazia Cristiana.

E dunque, le truppe cammellate divennero “truppe mastellate“, visualizzabili in quella infinita teoria di autobus che invadevano letteralmente il tratto autostradale che da Caianello, raggiunta da tutte le contrade del Sannio al tempo mastellian-demitiano, conduceva alla Capitale e a quello che si chiamava ancora, in quel periodo, PalaEur, oggi PalaLottomatica, teatro della maggior parte dei mega congressi della Balena Bianca.

Le truppe cammellate che oggi possono essere associate alle leadership esclusivamente clientelari, attraverso una ispirazione speculare alla politica di quegli anni, funzionano molto bene quando scendono in campo direttamente. Non ci giriamo troppo intorno. Ciò che Carlo Marino ha fatto in questi 4 anni e mezzo, è almeno davanti ai nostri occhi, evidente: non si è limitato all’inerzia, ma ha distrutto completamente la città di Caserta, come può ben constatare uno che possiede il pelo sullo stomaco, il coraggio per entrare in quell’autentico girone dei dannati, così divenuto dopo la folle apertura di cantieri che hanno letteralmente paralizzato il centro cittadino.

Dall’altra parte, però, come rovescio inconfessabile della stessa medaglia, ha rafforzato una particolare caratteristica della consistenza elettorale di un politico.

Se andate in giro per Caserta, parlando orizzontalmente con qualche commerciante, con qualche ristoratore, con qualche comune cittadino, su mille, ne troverete forse mezzo che vi darà un giudizio positivo sul sindaco Carlo Marino.

Ma qui da noi, nei nostri contesti socio-economici, questo non si traduce in una matematica, certa sconfitta in una eventuale contesa elettorale. E questo Marino lo sa bene e ha ben donde di ritenere di avere ottime chance per essere riconfermato.

Rifletteteci un attimo: mentre la città l’altro ieri affogava letteralmente nella disonorevole melma della disamministrazione, con gente costretta a stare imbottigliata anche un’ora e mezza nel periplo infernale che contiene l’area che va da via Renella a Corso Trieste, passando per la super folle via Roma, lui tranquillamente, con il solito sorrisetto, una cosa simile a quello con il quale Crozza scherza sempre citando Vincenzo De Luca, annunciava la sua ricandidatura a sindaco. Non l’ha fatto in un giorno ordinario, ma nel peggiore giorno dell’anno 2020, in cui il livello di invivibilità ha toccato autenticamente il fondo.

Marino dunque ha voluto sottolineare, innescando questa coincidenza temporale, la sua totale indifferenza al tema del buon governo. L’ha voluto addirittura ostentare. Non gli è passato nemmeno per l’anticamera del cervello che dare quell’annuncio proprio in quel determinato giorno, potesse apparire come una sorta di provocazione. Ed ha ragione lui.

Attenzione, perchè Caserta, ancor prima di essere distrutta materialmente dalle sue buche, dalla sua sporcizia, dal suo traffico, dall’inciviltà di chi parcheggia e potremmo continuare per ore, si è auto-demolita moralmente perchè la popolazione indigena, almeno la maggior parte di essa, non sa neppure lontanamente cosa significhi la parola “cittadino”, inteso come soggetto attivo e, senza arrivare alle vette di un pensare in musica che proprio l’altra sera ci ha portato a incrociare e a riascoltare il grande capolavoro di Giorgio Gaber “La libertà“, che è tale, che c’è, che esiste solo se è accompagnata, o meglio ancora, se corrisponde geometricamente alla partecipazione di ogni persona alla corretta determinazione di una democrazia compiuta attraverso un processo che non può stare in mano a 4 furbetti, i quali fanno la politica solo e solamente per alimentare i propri interessi personali di tipo economico e le proprie ambizioni di potere. Non serve arrivare alla forma di sublimazione, declinata da Giorgio Gaber in quella sua canzone. Basta erogare una traccia di dignità personale che possa portare l’indigeno casertano a dire, va beh, cazzo, ma almeno una volta “non voglio essere portato per capezza”.

Ecco perchè Carlo Marino si può permettere di maramaldeggiare, di vincere facile e di impermeabilizzare totalmente l’annuncio della sua candidatura dal disastro di un’amministrazione  non valutata dai casertani, in quanto semplicemente non percepita quale momento unico, attraverso il quale si stabilisce, se un politico sia o meno abilitabile per l’amministrazione della cosa pubblica.

E questo, ripetiamo, Marino lo sa bene. E anche se non lo sa, è talmente intriso, è talmente parte attiva di questo relativismo etico-collettivo da considerare quello che è successo l’altro ieri mattina, un problema passeggero che gli “smaddonanti” casertani, prigionieri delle loro auto, dimenticheranno subito grazie ad un sorriso, ad una pacca sulle spalle per dirla in gergo locale, per un “piacere” ricevuto dal Biagio Esposito, dal Lorenzo Gentile, dal Nicola Garofalo, dall’Emilio Caterino, dall’Andrea Boccagna di turno.

Un ragionamento luciferino, quanto ineccepibile. Se Marino, infatti, non ha, non possiede una sola parola da poter restituire alla città come autentico contributo, nè come proposta, nè come contributo materiale di governo, possiede invece un kit infinito di offerte e di profferte per tenere vicini i soliti domatori di cammelli che se staranno con lui al primo turno delle prossime elezioni, schiereranno anche le loro truppe cammellate che votano e fanno votare in base a valori e a motivazioni completamente estranei rispetto a quelle dell’efficienza amministrativa, di un governo appena decente, in grado di schierare l’altro ieri mattina almeno 10 vigili urbani nelle strade.

Però, come si suol dire, c’è…un però. Se la possente forza d’urto delle truppe cammellate che comunque di qualche defezione, soffrono rispetto al turno elettorale del maggio 2016, non dovesse risultare sufficiente a Carlo Marino per vincere al primo turno, si porrà un problema di identità e di caratteristiche operative delle citate truppe e dei citati cammelli. Mentre, infatti, un Domenico Guida è in grado perfettamente di entrare, magari facendosi accompagnare dal suo amico di sempre Angelo Polverino, in una casa di contrada Santa Barbara per chiedere il voto per se, ottenendolo magari per debito di riconoscenza ma non più per adesione entusiastica (perchè anche le clientele dopo un certo periodo di tempo si deteriorano), non potrà ritornare in quella casa al ballottaggio per chiedere il voto per un’altra persona.

Se poi questa persona corrisponde a chi ha governato la città negli ultimi 5 anni, la medesima persona, naturalmente stiamo parlando di Carlo Marino, su cui magari il Mimmo Guida di turno ha trovato comodo scaricare qualche responsabilità, quando il suo “cliente” di Santa Barbara protestava per le buche, diventa praticamente impossibile riprodurre,  quel voto personale, frutto di una clientela di prossimità in un ballottaggio a favore di Carlo Marino e di cui lo stesso Marino si è avvantaggiato al primo turno solo grazie ad automatismo elettorale.

Questi, se dovesse raggiungere il 46, 47, il 48 o anche il 49% al primo turno, avrebbe, a quel punto, una sola possibilità, la stessa che gli ha consentito di diventare sindaco nel 2016: che contro di lui ci sia un competitor, seppur autorevole, non considerato dalla gente un’alternativa credibile.

Dovrebbe succedere, dunque, come capitò nel 2016, che solo una esigua minoranza di casertani, si rechi alle urne per la seconda volta in 15 giorni, mentre i 4/5 della città se ne sta beatamente a casa, ritenendo che i due concorrenti siano entrambi pessimi. In quel modo, Carlo Marino potrebbe vincere come vinse nel 2016, cioè con il voto del 21% dei casertani, con l’altro 79% per la stragrande parte astenuto e per una piccola parte, proprio piccolissima, a favore del suo avversario Riccardo Ventre.

Se appena appena, dunque Marino andasse al ballottaggio con una persona che respira, “basta che respiri“, lui perde, perchè se la percentuale di affluenza va al di la dell’incredibile 32%, un vero e proprio record italiano negativo del ballottaggio 2016, entrano in gioco tutti quelli e sono tantissimi, che magari solo mossi dalla demagogia, dato che cittadini veri non sono per i motivi che abbiamo ampiamente spiegato prima, andrebbero a votargli contro e non a favore, rendendo inutile, irrilevante ciò che invece nel 2016 fu decisivo, cioè il contributo del 21% dei casertani che poi non sono altro che i rimasugli delle potenti truppe cammellate, schierate al primo turno.

Alla prossima.