MARCIANISE. Firme false. È ufficiale: Velardi indagato per falso materiale e ideologico in concorso con Ovaletto, Bellopede e altri. Ma con questi tempi si viaggia verso la prescrizione

13 Novembre 2020 - 16:31

In calce all’articolo il testo integrale delle 7 pagine dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari firmato il 29 maggio 2010, che avrebbe dovuto essere seguito da una richiesta di rinvio a giudizio o di archiviazione.
Al momento, invece, non si sa dove si trovi questo fascicolo

 

 

MARCIANISE – È stato ineccepibile il lavoro dei Pm della Procura della Repubblica di S.Maria C.V. Alessandro Di Vico e Vincenzo Quaranta nella messa a fuoco della vergognosa falsificazione delle firme della lista Orgoglio Marcianisano, quella proposta dall’allora candidato sindaco Antonello Velardi.
In sette pagine, che costituiscono l’avviso agli indagati di conclusione delle indagini, i due magistrati, anche sulla scorta di precise e dettagliate indagini compiute dai Carabinieri della Compagnia di Marcianise, hanno dimostrato di avere le idee chiarissime sulle firme che sicuramente, secondo il costrutto accusatorio, sono state falsificate.
Ci fa piacere leggere anche che la Procura ha perfettamente compreso la gravità ancora più inquietante della presenza, tra quelle firme, di Aniello Bruno, uno dei riferimenti principali del clan Belforte, soprattutto in relazione al traffico degli stupefacenti, che quella lista non avrebbe mai potuto firmare, visto che nel 2016, all’epoca della presentazione delle firme, si trovava (come ancora si trova, del resto) recluso in un penitenziario.
Per tutti gli indagati il reato ipotizzato dalla Procura è quello di falso materiale e falso ideologico.
I due funzionari del Comune di Marcianise a cui vengono imputati questi reati sono Raffaele Tartaglione e Assunta Foggia, entrambi impiegati all’Ufficio Anagrafe.
Le contestazioni riguardano due differenti autenticazioni a cui corrispondono altrettanti capi d’imputazione.
Il primo è imperniato su Tartaglione e non riguarda la Foggia. Fu lui, infatti, ad autenticare le firme presentategli da Lorenzo Ovaletto e promotore materiale della lista Orgoglio Marcianisano, che ovviamente è pure lui indagato per gli stessi reati.
Chiusura indagini, dunque informazioni di garanzia, anche a carico di Alberto Tartaglione e di Pasquale Bellopede, imparentato con Velardi, noto per la rinomata “Sagra della Rana”.
Dulcis (si fa per dire), in fundo, Antonello Velardi. Anche per lui i due magistrati ipotizzano i reati di falso materiale e ideologico in concorso, in quanto candidato sindaco della coalizione della quale la lista faceva parte, secondo noi illegalmente.
Questo primo capo di imputazione è relativo all’autenticazione degli elenchi 1, 8, 9, 10, 11, 12, 14, 15.
All’interno del documento potrete leggere tutti i nomi delle persone che mai hanno apposto la firma e che invece, stando a ciò che i magistrati ipotizzano, di cui noi invece siamo sicuri, Velardi, Ovaletto, Bellopede, Alberto Tartaglione e altri due tre autentici miracolati.
All’autenticazione di Assunta Foggia, invece, si deve il via libera agli elenchi 6 e 7.
Stavolta sono indagati tutti fuorché Raffaele Tartaglione.
La differenza tra il primo e il secondo capo d’imputazione non è costituita solo dalla presenza di uno o dell’altro funzionario comunale, ma anche dall’esistenza, nella prima, dell’aggravante ai sensi del comma 2 dell’articolo 476 del Codice Penale, cioè il già citato falso materiale.

Scrivono al riguardo i magistrati: “Il pubblico ufficiale, che, nell’esercizio delle sue funzioni, forma, in tutto o in parte, un atto falso o altera un atto vero, è punito con la reclusione da uno a sei anni.

Se la falsità concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso, la reclusione è da tre a dieci anni”.

Come appena detto, l’aggravante presuppone la possibilità di una condanna molto più pesante, addirittura fino a 10 anni.
Ciò si verifica proprio in relazione alla firma di Aniello Bruno, rispetto alla quale ci sarebbe veramente poco da processare, perché è talmente chiaro e inoppugnabile che quella firma Bruno la mise nel 2013, cioè alle precedenti elezioni quando era a piede libero, sulla lista civica presentata da Paride Amoroso.
Fino a qui siamo alla parte ineccepibile di questo atto giudiziario.
Ora veniamo a quella eccepibile.
Leggiamo da esso che i Pm lo hanno firmato il 29 maggio 2019.
Mettiamo che la notifica sia avvenuta qualche giorno dopo, all’inizio di giugno.
Da quel momento è iniziato il decorso dei ben noti 20 giorni entro i quali ogni indagato ha la possibilità di chiedere di essere sentito dai Pm o da loro delegati della polizia giudiziaria in modo da poter esprimersi a propria discolpa.
Sempre entro 20 giorni si può chiedere di depositare documentazione di difesa.
Tale facoltà i sei indagati l’hanno potuta presumibilmente esercitare entro e non oltre, vogliamo essere abbondanti, la fine di giugno 2029.
Ora mettiamo pure che con la feriale in mezzo gli indagati siano stati convocati a settembre/ottobre.
Stiamo parlando di tempi molto larghi, e ve lo dice uno che di interrogatori, a fronte dei molti 415 bis ricevuti (sempre e solamente per un solo reato, quello di opinione della cosiddetta diffamazione a mezzo stampa) se ne intende.

Da ottobre fino alla dichiarazione di lockdown avvenuta il 9 marzo successivo sono trascorsi 5 mesi.
Ora mettiamo che per tutto il periodo della reclusione domiciliare nazionale nulla si sia potuto fare dopo gli interrogatori.
Ma da giugno l’attività giudiziaria è ufficialmente ripresa.
Da allora ad oggi sono trascorsi altri 5 mesi e non si ha ancora notizia di una richiesta di rinvio a giudizio per Velardi e soci o, perché no, magari negli interrogatori – se li hanno fatti – e nella documentazione depositata, hanno persuaso i Pm della loro innocenza, nè di una richiesta di archiviazione.
Va da sé che questo diventa tutto grasso che cola rispetto a termini di prescrizioni su cui, nei prossimi giorni, saremo più precisi.
Ed è un peccato per la giustizia.
Da parte nostra non c’è stata mai un’enfatizzazione dei fatti, né le persone che abbiamo chiamato in causa hanno potuto confezionare una smentita nel modo in cui loro prediligono, cioè attraverso l’uso del post senza contraddittorio posizionato su Facebook.
Insomma, le condizioni per un processo piuttosto spedito, che magari potrebbe anche chiudersi con l’assoluzione, c’erano tutte.
Molto meglio, infatti, un’assoluzione che la prescrizione.
Molto meglio per noi, non certo per i soggetti coinvolti, che considerare come immersi mani e piedi nella gelatina appiccicosa del relativismo etico è poco, a dir poco.

 

Firme false