CASALESI e gli affari miliardari delle Ferrovie. L’ombra della Massoneria ma anche di alti prelati nell’indagine della Dda su Nicola Schiavone “zio” che a Roma comanda

23 Dicembre 2021 - 13:54

Ci ha un pò sorpresi in verità vedere che a difendere da avvocato il cugino di Sandokan sia l’ex sottosegretario proprio ai Trasporti, il sannita Umberto Del Basso De Caro che magari lo Schiavone ha potuto anche incrociare nel periodo in cui era al governo in considerazione del peso che l’uomo di Casal di Principe aveva all’interno di RFI. I regali e la montagna di mozzarelle di bufala comprate in un caseificio di Aversa

 

CASERTA – (Gianluigi Guarino) Abbiamo assistito con interesse al servizio, andato in onda lunedì scorso durante la trasmissione Report, di Raitre, sulle relazioni tra Rete Ferroviaria Italiana o RFI che dir si voglia e Nicola Schiavone che in questo caso, non è il figlio di Francesco Schiavone Sandokan, bensì lo zio che molte fortune ha scalato nella Capitale e che noi, insieme ai lettori di CasertaCe, ben conosciamo perchè, magari a Roma tutte queste cose non si sanno, ma chi lavora all’informazione, con le modalità da noi adottate, sa bene chi sono, soprattutto chi sono stati a Casal di Principe, Nicola Schiavone e il fratello Vincenzo.

Con un pò di ritardo rispetto alle notizie da noi fornite a suo tempo sulla perquisizione che i carabinieri di Caserta eseguirono a Casal di Principe nell’ambito di un’inchiesta sui rapporti tra clan dei casalesi e RFI, in pratica l’azienda di lavori pubblici più importante del paese, Report ha sviluppato un buon lavoro televisivo, utilizzando verbali, documenti giudiziari, probabilmente acquisiti da ambienti vicini alla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli che opera, ricordiamo, dentro alla Procura della Repubblica del Capoluogo partenopeo.

Una serie di informazioni ben confezionate, ma tutto sommato non originalissime, a partire dall’ormai famoso fine settimana vissuto dal manager di RFI Massimo Iorani nel relax e negli agi non certo dozzinali, dello storico hotel San Pietro di Positano con conto da 6mila euro, pagato, con tanto di ripresa delle telecamere interne alla super hall del san Pietro, dallo stesso Nicola Schiavone.

Interessante, quand’anche non originalissimo, il richiamo a quello che Giuseppina Nappa, moglie di Francesco Schiavone Sandokan, ha dichiarato quando è stata chiamata a discutere dei due cugini di Sandokan: “Mio marito ha preparato il lievito madre e loro hanno consumato il prodotto”. Parole amare che fanno eco con quelle messe a verbale dall’altro Nicola Schiavone della situazione, cioè il figlio di Francesco Schiavone e Giuseppina Nappa, divenuto da qualche tempo collaboratore di giustizia e che a gli inquirenti ha dichiarato che i soldi avuti a disposizione da suo zio Nicola, partendo però dal fratello di questi, cioè Vincenzo, erano quelli del clan dei casalesi.

D’altronde, il rapporto era strettissimo al punto che Nicola Schiavone battezzò e quelle non erano decisioni che si prendevano a cuor leggero, il nipote omonimo. circostwana quest’ultima che l’imprenditore faccendiere ha smentito rispondendo trafelato a duna domanda postagli dal giornalista di Report.

Lo Schiavone faceva in pratica il bello e il cattivo tempo nella sede di quelle che in passato si chiamavano Ferrovie dello Stato. Imponenti uffici localizzati nella parte più lussuosa della Capitale. Il servizio di Report ha detto, ovviamente, quello che è stato ricavato dalle carte giudiziarie messe a disposizione dei suoi giornalisti che a quanto ci risulta, però, non sono nemmeno il 10% degli atti di un’indagine mastodontica, che ha evidenziato tantissimi altri risvolti assolutamente top secret. Va comunque sottolineata una focalizzazione importante riguardante l’identità dei due soggetti economici che Nicola Schiavone senior avrebbe sponsorizzato e che potrebbero riprodurre il solito schema alla casalese delle aziende gestite da prestanome: Consorzio Imprefer e Macfer.

Mi ha fatto piacere rivedere, dopo qualche anno l’ottimo Umberto Del Basso De Caro, mio conterraneo e anche da beneventano di adozione, per un lungo periodo mio concittadino, nonchè interlocutore stabilmente raggiunto dal sottoscritto al tempo in cui dirigevo, dopo averlo in pratica fondato, Il Sannio Quotidiano, grande occasione persa in una provincia che pur essendo profondamente diversa da quella di Caserta, avrebbe comunque bisogno come il pane di sviluppare verità, di liberare risorse ancora oggi controllate da un modello politico saldamente, graniticamente clientelare come d’altronde dimostra il fatto che il pur intelligente Clemente Mastella, deputato della Repubblica già dal 1976, ha appena ricevuto il secondo mandato da sindaco di Benevento e che in passato ha intrattenuto strettissimi rapporti politici con personaggi finiti poi in carcere con accuse e condanne pesantissime per reati di camorra, a partire da Nicola Ferraro consigliere regionale dell’Udeur e proseguendo in un’altra fase con Angelo Brancaccio che alla regione fu eletto nel 2005 con i Ds, salvo trasmigrare negli anni successivi nel partito con l’effige del campanile.

L’ultima volta che abbiamo sentito al telefono, con modalità abbastanza veloce e fugace, Umberto Del Basso De Caro, per gli amici Umbertino, è stato quando lui era sottosegretario alle Infrastrutture e alla mobilità sostenibili, con delega ai Trasporti, con il marchio del partito democratico, all’interno del governo presieduto da Matteo Renzi.

Mi ha rallegrato averlo visto in tv, al fianco del suo noto collega napoletano Giovanni Esposito Fariello intervistato da Danilo Procaccianti. Prima mi sono rallegrato, poi mi sono sorpreso, perchè non mi risultava che Umbertino Del Basso De Caro avesse in passato patrocinato la difesa di esponenti del clan dei casalesi, o di persone che in qualche modo oggi sono indagate anche perchè consanguinee, strettamente affini alla famiglia del capo dei capi, cioè di Francesco Schiavone Sandokan.

Va bè, si sarà scocciato di godersi la pensione dorata che poi Umbertino, di tutto ha bisogno, fuorchè dei soldi essendo lui titolare un solidissimo patrimonio ereditato dal papà, un pezzo da 90 della politica beneventana a partire dal dopoguerra, quel don Guido De Caro che sostenne, dandogli ancora forza ed autorevolezza, il vessillo del partito liberale a cui associò ogni sua idea e del quale testimoniò ogni espressione culturale, a partire da quelle riguardanti l’associazionismo laterale di molti che votavano al tempo quel partito, nato comunque dalle ceneri del partito che fu soprattutto il partito di Giolitti dominante nell’ultimissima parte del diciannovesimo secolo e nei primi venti anni del secolo scorso.

Evidentemente Del Basso De Caro deve aver avvertito degli stimoli, delle ragioni di passione professionale, non riusciamo infatti a trovarne altre, per impegnarsi in quella che potrebbe essere una difesa complessa. Complessa non solo perchè patrocinare gli interessi di un esponente della famiglia Schiavone di Casal di Principe non è facile di per sè, ma perchè questa indagine è corroborata da tantissime note a margine, fatti che sono dentro alle informative, al lavoro durissimo svolto dai magistrati della Dda di Napoli, ma che, volendo utilizzare una metafora adatta all’argomento di cui ci stiamo occupando, sono finite su un binario morto.

Non è improbabile che l’ottimo Umberto Del Basso De Caro abbia potuto apprezzare le qualità per indubbia intelligenza di Nicola Schiavone. Ed è anche naturale che, essendo diventato quest’ultimo un punto di riferimento, improprio finchè si vuole, ma comunque operante ed operativo ai tempi in cui la holding di Trenitalia era guidata dallo stagionatissimo boiardo di stato, parola utilizzata proprio in onore del credo liberale, a proposito di liberali, Moretti, Del Basso De Caro, da sottosegretario ai Trasporti, abbia potuto incrociare il proprio estro con quello speculare di un soggetto di cui, in tutta evidenza, l’avvocato beneventano non conosceva la provenienza e le parentele illustri, magari sarà successo in una cena a tre, all’interno di un accorsatissimo ristorante romano.

In quell’occasione, ma si tratta di una sorta di simulazione di un possibile format, il componente del governo riteneva di parlare evidentemente con un consulente, con un esperto di RFI, capace di spiegargli dinamiche tecniche che il sottosegretario avrebbe catalogato nel suo bagaglio cognitivo, per affrontare meglio i problemi complicatissimi della rete ferroviaria del nostro paese.

Va riconosciuto però a Nicola Schiavone senior di non aver perso mai una parte della sua identità. A Casal di Principe, il regalo a Natale, a Pasqua (Ferragosto no, quella è un’altra cosa), è sacro. Dal caseificio Costanzo di Aversa sono partiti negli anni quintali e quintali di mozzarella di bufala. Specialità del territorio ma per i manager di RFI, per i suoi amici influenti e anche, particolare tutt’altro che trascurabile, per le segretarie in servizio negli uffici e attorno agli uffici dell’azienda di lavori pubblici più importante d’Italia.

Se l’è tenute buone, Schiavone. Magari per garantirsi la comodità di essere costantemente aggiornato su chi fosse presente negli uffici, in modo da sapere quando lui poteva entrare senza destare sospetti, infilandosi nelle stanze dorate dei manager suoi amici, a partire dal Positano man il già citato Massimo Iorani che, per la cronaca, RFI ha licenziato.

Nicola Schiavone è diventato un potente negli ambienti che contano a Roma. Stando alle informazioni a nostra disposizione e non a disposizione di Report, avrebbe soddisfatto le sue curiosità culturali venendo a contatto anche con ambienti molto influenti, associati in una o addirittura più logge massoniche.

E si sa che in Italia, quando di mezzo c’è la Massoneria, bisognerebbe sempre alzare il livello di attenzione. Magari poi l’eccitazione te la fai passare quando incroci dei nomi di persone talmente potenti da essere praticamente impossibile la loro messa in discussione. Ti dai una calmata perchè ti rendi conto di toccare dei sancta sanctorum con tutti i rischi del caso. Però, all’inizio, leggi o ascolti la parola Massoneria e avendo vissuto, da infante, e avendo poi letto tante cose su quello che è stato e su quello che ha fatto la Massoneria o meglio una certa Massoneria in Italia, ovviamente ci riferiamo alla P2, sei portato a pensare che l’enorme disponibilità economico finanziaria del clan dei casalesi di cui, come fa capire nella frase già citata prima Giuseppina Nappa, Nicola Schiavone ha avuto piena disponibilità, si possa sposare benissimo con le intenzioni, non sempre commendevoli, non sempre pacifiche, non sempre lecite di chi ancora oggi adora in segreto e di cappuccio munito, l’antico e celeberrimo stemma del compasso, della riga e di simboli naturali come il sole, la luna che hanno dato alla Massoneria anche un’impronta esoterica, anti cristiana, anti religiosa, di un positivismo clandestino ed estremo, in grado di contribuire, da un lato, alla sua pessima reputazione, dall’altro lato, al suo fascino che promana dalla segretezza, dalle trame oscure che le hanno garantito l’adesione di fior di professionisti, i quali, stando nella Massoneria e utilizzando, quindi, quel vincolo di fratellanza, hanno fatto carrierr strepitose e oggi stanno lì a tenere in mano le leve più importanti del potere. della nazione.

Ma Nicola Schiavone, pur ripulitosi, pur rivestitosi della grisaglia e di abiti firmati che costano decine di migliaia di euro, sempre un casalese è. E lo diciamo in maniera non necessariamente censoria. Casalese in questo caso per sottolineare una specialissima attitudine alla praticità di quel popolo di cui anche Nicola Schiavone senior si è dimostrato ampiamente dotato. E allora, se la Massoneria può essere un centro di interesse perchè dentro alla stessa ci possono stare personaggi importantissimi, di ogni categoria professionale, ma anche politici, ministri, vice ministri, sottosegretari, deputati, senatori eccetera è anche vero che a Roma non ti puoi accontentare solo di star coperto con i senza Dio del compasso e della squadretta.

La cupola di San Pietro, infatti, si vede quasi da tutta la città. E Schiavone qualche opera di bene l’ha fatta anche dall’altra parte della barricata e dall’altra parte del Tevere, collegando questa sua generosità allo spirito eletto di qualche cardinale di origine sarda che, attenzione, non è quello lì dei palazzi a Londra eccetera, ma un altro che avente a che fare con certi candelabri preziosissimi trovati nel famoso attico super lux del cardinale allora segretario di stato, Tarcisio Bertone.

A dimostrazione della estrema delicatezza di questa indagine che Report ha reso pubblica (noi giornalisti non dobbiamo preoccuparci delle conseguenze del nostro lavoro, quando questo viene fatto nel rispetto della legge), andando probabilmente anche a sottrarre qualche elemento costitutivo che potrebbe giustificare l’adozione di misure cautelari limitative della libertà personale, il procuratore capo della repubblica di Napoli Giovanni Melillo ha voluto affiancare personalmente i due magistrati Antonello Ardituro e Graziella Arlomede, che hanno dato il la all’indagine, condotta dai carabinieri, al tempo in cui Ardituro, reduce dagli anni trascorsi da membro del CSM, era ancora in servizio presso la Dda, prima di passare ad altri uffici della procura della repubblica di Napoli.

Vedremo cosa succederà. Sono due anni che teniamo d’occhio questa vicenda, sicuramente paragonabile ad una montagna di monnezza. E si sa che nella monnezza proliferano i topolini. Per cui, magari qualcosa in meno, molto in meno di quello che ci si aspetta potrebbe dar contenuto al risultato finale della stessa.