Finge di essere stato rapito dal clan dei Casalesi per estorcere 500mila euro alla sorella, la Cassazione conferma la condanna

10 Marzo 2025 - 11:20

La Suprema Corte si è pronunciata sul ricorso presentato da Fedele Marotta finito a processo per aver messo in piedi un piano laborioso e complicato, simulando il suo rapimento soltanto per chiedere un riscatto alla famiglia

NON DIMENTICARTI DI SEGUIRE CASERTACE NELLA COMMUNITY WHASTAPP
CLICCA QUI -> https://chat.whatsapp.com/DAgb4AcxtG8EPlKwcTpX20

CASAL DI PRINCIPE – La seconda sezione della Corte di Cassazione, presieduta da Giovanna Verga, si è pronunciata sul ricorso presentato da Fedele Marotta, 42enne di Polla coinvolto in una inchiesta della Dda di Potenza accusato di estorsione aggravata, simulazione di reato e calunnia, avverso l’ordinanza del tribunale di Potenza che ha rigettato l’istanza di riesame proposta nell’interesse del 42enne contro il provvedimento del gip che aveva applicato nei confronti di Marotta la misura cautelare della custodia in carcere, ravvisando gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di tentata estorsione, calunnia, falsa testimonianza aggravati dal metodo mafioso.

Il provvedimento cautelare segue una complessa attività investigativa che ha accertato come Marotta in concorso con un altro soggetto, alla fine di novembre 2023, avrebbe simulato un rapimento a scopo di estorsione, per ottenere un ingiusto profitto economico ai danni dei familiari, in particolare di suo cognato, Angelo Pinto, imprenditore residente in provincia di Parma, e di sua sorella, Preziosa Marotta.

Il 42enne avrebbe simulato il suo rapimento da parte di alcune persone appartenenti, a suo dire, al clan dei Casalesi e farsi consegnare così 500mila euro dal marito di sua sorella. Per rendere credibile il finto rapimento Marotta ha fatto credere alla sorella di essere in procinto di incontrare, a Padula, nel Salernitano, alcuni soggetti legati al clan, che intendeva dissuadere dal rapire i figli della donna e del marito, un imprenditore residente nella provincia di Parma.


Il giorno del presunto rapimento, Marotta ha telefonato alla sorella, pregandola di allertare le forze dell’ordine perché, in vista dell’incontro, aveva paura per la sua incolumità. Secondo quanto ricostruito dalle indagini, da quel momento è stato simulato il finto rapimento: l’auto di Marotta è stata abbandonata in aperta campagna, con i fari accesi e il cellulare all’interno; poi, per 8 giorni, i finti rapitori hanno fatto credere alla famiglia di tenere Marotta in in luogo segreto, telefonando costantemente alla moglie e alla sorella del 42enne, al fine di costringere quest’ultima e suo marito a versare i 500mila euro del riscatto, denaro mai ottenuto per la reticenza della famiglia a pagare.

Nell’istanza alla Suprema Corte il legale di Marotta ha evidenziato vizi di motivazione ritenendo “sproporzionatala misura adottata in relazione alla personalità del ricorrente ben consapevole delle conseguenze del suo gesto e che difficilmente potrà reiterare il reato”.

Per La Cassazione il ricorso è inammissibile poichè “il tribunale ha apprezzato il profilo del periculum visto che il provvedimento ha insistito sulla spiccata propensione criminale di Marotta evincibile dalla spregiudicatezza con cui costui mosso da un movente economico non aveva avuto alcuno scrupolo a simulare un rapimento del tutto incurante dei riflessi anche di carattere psicologico ricadenti sui familiari”.