CORONAVIRUS. AVERSA. Ospedale Moscati: si parla di un focolaio tra medici e infermieri, ma non è così. Ci sono due “forse positivi oppure no”. Vi spieghiamo come funzionano l’IgG e l’IgM
9 Aprile 2020 - 16:37
Che dobbiamo fare, ci tocca. Ci tocca spiegare il meccanismo di analisi per far capire che al momento l’allarme non è fondato
AVERSA (gianluigi guarino) – Con il passare dei giorni, il tipo di lavoro realizzato da CasertaCe e NapoliCe nel raccontare e interpretare le vicende del coronavirus, ha trasformato molte persone che ci seguono da anni o che sono a vario titolo nostri interlocutori, da oggetti a cui si riferivano le nostre richieste di informazioni utili a costruire gli articoli, a soggetti che, oltre a leggerci, ci hanno anche investito del ruolo, che di solito non ci piace interpretare fino ad infastidirci ma in questo caso, per carità, massima disponibilità, di ufficio informazioni.
Tra le varie richieste di notizia formulateci ultimamente, diciamo così, nelle ultime 48 ore, ce n’è stata una a cui non abbiamo saputo dar risposta ma che è divenuta per noi una traccia utile per capire cosa stesse succedendo nel secondo ospedale per importanza della provincia di Caserta. Ci chiedevano se
Dunque, la notizia non è una bufala, ma non è neppure vera. Un’affermazione, questa, apparentemente sconclusionata, apparentemente contraddittoria. Non è così. Qualcosa, infatti, è successo, ma non si è sviluppato alcun focolaio. Per noi è stato facile, dopo aver introitato l’informazione, interpretarla, perché, tra le tantissime cose che abbiamo messo a disposizione gratuitamente (a differenza tanti quotidiani nazionali online, che hanno approfittato e stanno approfittando dell’occasione per proporre le loro offerte a pagamento, non ci sono solo gli sciacalli delle mascherine) ci sono anche tre articoli di un focus, che quando di test rapidi ne parlavano solo pochissimi virologi, noi abbiamo realizzato, lavorando duramente nel ginepraio di fonti, non tutte affidabili. Ciò ha consentito a chi lavora in questo giornale di capire bene, già quindici giorni or sono, cosa fossero questi benedetti test rapidi e perché la comunità scientifica non li considerava affidabili, nonostante venissero realizzati con procedure corrette.
La Regione Campania, per motivi che poi magari in futuro capiremo meglio, ha, invece, puntato molto su i test rapidi. Questi servono solamente ad una cosa: offrire un’indicazione di massima, ad accendere eventualmente una spia, in modo che poi la prova del tampone, cioè dell’asportazione diretta, dal naso e dalla gola di materiale biologico, possa accertare la reale e direttamente riconoscibile presenza del virus. Quindi, a nostro avviso, si dovrebbe investire sui tamponi, sui reagenti e non sui test rapidi, almeno fino a quando non ne uscirà qualcuno realmente affidabile.
Nell’ospedale di Aversa vi si sono sottoposti gli operatori sanitari che ci lavorano. Senza tediarvi con troppe nozioni scientifiche, vi diciamo che attraverso il tampone e il reagente utilizzato, si individua direttamente, si guarda in faccia al virus, al suo doppio involucro, soprattutto quello interno, contenente a sua volta la pericolosissima proteina e la particella biologica di RNA, che sta, come si insegna nel primo anno di scienze negli istituti superiori, per acido ribonucleico, parente stretto dell’acido desossiribonucleico, più conosciuto con la sua sigla DNA. Con il cosiddetto test rapido, invece, che si fa analizzando il sangue, il virus non si vede, non esiste. E’ un’operazione deduttiva, che avviene attraverso l’eventuale individuazione di due anticorpi indicati con altrettante sigle scientifiche con cui dovremo imparare a familiarizzare nei prossimi mesi. La prima si chiama IgM, la seconda IgG. L’inaffidabilità è dovuta, in parte a una gamma molto ampia e composita di possibili risultati, ma anche all’incertezza, all’impossibilità di fornire un univoco, matematico significato ad ognuno di questi risultati. Pensate un po’ che neppure l’assenza contemporanea dei due anticorpi, garantisce la certezza della negatività. Infatti, il fatto che nel sangue non siano presenti i due anticorpi, fa diventare la negatività solo una significativa probabilità. Perché potrebbe anche essere che ci troviamo in una fase precoce dell’infezione, quando l’organismo non ha ancora prodotto anticorpi, muovendosi in quello stadio che i virologi definiscono “periodo finestra”. E non è finita qui, perché è anche possibile che gli anticorpi nel sangue ci siano ma il test non è riuscito ad evidenziarli, creando una condizione definita come di “falsi negativi”.
Insomma, facendo il test rapido e non individuando nessun anticorpo, al 60/70% sei negativo, al 30% no.
IgM e IgG, ormai meglio noti come Anticorpo Cattivo e Anticorpo Buono, nel senso che se quando fai il test rapido e si colora la linea IgM è probabile (attenzione, solo probabile, per i motivi appena detti) che l’organismo l’abbia contro le proteine virali e che quindi ci troviamo nella fase iniziale della malattia. Siamo infettati e anche contagiosi. Dicevamo “probabile”, perché questo test sugli anticorpi, nel momento in cui determina la presenza di uno dei due, non ti dà la garanzia che quell’anticorpo sia presente per far fuori le proteine appartenenti al SarsCov-2, ma stia operando su altre proteine. Questo vale per l’IgM, quello che indica la malattia in atto, ma può riguardare anche l’IgG perché non si può escludere al 100% che questo si sia insediato come presidio di immunità rispetto a malattie diverse dal coronavirus. Nel primo caso, cioè quando in ballo c’è la presenza dell’IgM, si può incorrere nell’errore opposto a quello dei falsi negativi, cioè i cosiddetti “falsi positivi”, persone apparentemente malate che invece stanno bene.
E passiamo ad un altro caso che esprime la stessa cifra di inaffidabilità, si tratta di quello in cui vengono individuati anticorpi IgG, che si insediano in una fase successiva, intermedia dell’infezione, per poi durare anche a virus debellato. In questa situazione, gli anticorpi IgM sono già scomparsi, ci troviamo forse in una fase già avanzata della malattia, oppure siamo già guariti. Ma siamo sempre nell’ambito delle probabilità, perché il tampone risulterà molto più probabilmente (ci scusiamo per la ripetizione ma in certi casi, soprattutto quando si parla di scienza, l’uso dei sinonimi non è corretto) negativo, ma si è già registrato qualche caso in cui il tampone è risultato positivo. E quindi persone in cui si è insediato questo anticorpo possono ancora contagiare.
Pensate un po’ che esiste anche un ulteriore caso: quello in cui si registra una contemporanea presenza di anticorpi IgM e IgG, ciò può avvenire in una fase mediana in cui si passa da una condizione iniziale, segnalata dagli IgM, a una condizione di regressione, segnalata dalla presenza degli IgG. Ma può anche non significare tutto questo, perché magari gli anticorpi stanno lì per assolvere ad un’altra missione estranea a quella del coronavirus.
Insomma, per l’ennesima volta, entrando ancora più nel merito della spiegazione empirica, speriamo di avervi fatto capire perché, in attesa di quei test rapidi che, a quanto dicono, l’Organizzazione mondiale della Sanità starebbe testando per certificarli, è meglio mettere in pratica il metodo del governatore del Veneto Zaia, cioè tamponi a go-go per tutti, oppure quello del sindaco di un paese del nord Italia che ha deciso di sottoporre al tampone ognuno dei 6mila residenti. Perché il tampone non è una deduzione sierologica, ma un sistema che ti permette di guardare fisso negli occhi del virus.
Però, l’avremmo scritto centinaia di volte, De Luca, forse per gli stessi motivi o per motivi simili rispetto a quelli per cui l’Istituto Zooprofilattico ha spedito i tamponi, dal 26 marzo in poi, all’Ames, laboratorio privato di Casalnuovo, provocando anche l’interesse della procura della repubblica di Napoli (LEGGI QUI), ha puntato su questo tipo di test, spendendoci anche una barca di soldi.
Ora, tornando alla notizia, è successo che un cardiologo e un’infermiera hanno effettuato il test rapido e all’interno del loro sangue è stato individuato una traccia dell’anticorpo IgM, può darsi che oltre all’IgM abbiano trovato qualcosa di IgG. La notizia, complice la diffusa incompetenza su questa materia, è uscita fuori con un racconto diverso. Quello che è solo un sospetto, si è trasformato in certezza del contagio per questo cardiologo e questa infermiera. Quel minimo di utilità che il test rapido possiede è stato comunque, doverosamente (avremmo pure voluto vedere), sfruttato, sottoponendo i due operatori sanitari al tampone, test che è stato praticato anche su tutti gli altri medici, sugli altri infermieri e sul resto del gruppo di lavoro dei due.
Al momento, ma verificheremo bene le cose, non si hanno ancora notizie sull’esito, anche se nulla ci viene segnalato su eventuali sommovimenti interni al Moscati, finalizzati a riorganizzare l’attività di assistenza.