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Dipendenti si ammalano per l’amianto alla Firema di CASERTA. Prescritto il reato per lesioni

8 Aprile 2021 - 20:49

Troppo il tempo passato da quando hanno contratto, durante il lavoro, malattie legate all’esposizione…

CASERTA – E’ passato troppo tempo da quando hanno contratto durante il lavoro malattie legate all’esposizione all’amianto, e cosi’ decine di ex dipendenti della Firema, azienda casertana che produce carrozze ferroviarie, dal luglio 2015 denominata “Tfa” e di proprieta’ indiana, non potranno veder riconosciute le loro ragioni nel “processo bis” in corso al tribunale di Santa Maria Capua Vetere nei confronti di sette ex dirigenti dell’azienda; per questi ultimi il processo proseguira’ per il piu’ grave reato di omicidio colposo, concernente la morte di 19 lavoratori, il cui termine di prescrizione e’ maggiore. Oggi il giudice monocratico Valerio Riello, come era ampiamente prevedibile, ha separato la posizione degli imputati in relazione ai reati di omicidio colposo e lesioni colpose, quindi ha dichiarato con sentenza il non doversi procedere per intervenuta prescrizione per le ipotesi di lesioni, concernenti la situazione di 82 ex lavoratori Firema ammalatisi per esposizione all’amianto piu’ di sette anni e mezzo fa (in tale termine si prescrive il reato). Tra questi lavoratori solo alcuni si erano costituiti nel processo.

La prossima udienza e’ prevista per il 17 giugno, quando il dibattimento entrera’ nel vivo con l’esame dei testi indicati dal pubblico ministero Giacomo Urbano; si tratta di ex lavoratori Firema chiamati a testimoniare sulla presenza dell’amianto nell’azienda ferroviaria nel periodo in cui era di proprieta’ della famiglia Fiore. Quando e’ iniziato il processo – gennaio 2020 – gli imputati erano otto, ma nel frattempo l’ultranovantenne Mario Pasquali, ex direttore generale dell’azienda ferroviaria, e’ deceduto.

Sotto processo vi sono gli ex amministratori delegati della Firema Mario Fiore e Giovanni Fiore, gli ex alti dirigenti Enzo Ianuario, Maurizio Russo, Giovanni Iardino, Giuseppe Ricci e Carlo Regazzoni. Gli ex dirigenti Ricci e Russo erano usciti indenni per assoluzione nel 2017 dal primo processo, in cui la Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere aveva contestato il reato piu’ lieve di rimozione e omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro (articolo 437 codice penale). Poi l’ufficio inquirente ha aperto una seconda indagine, contestando l’omicidio colposo e indagando altri amministratori succedutisi negli anni.

Una strategia che ricorda quella seguita dalla Procura della Repubblica di Torino in relazione alla vicenda dell’Eternit, dove il proprietario dell’azienda, l’imprenditore svizzero Stephan Schmidheiny, era stato salvato in Cassazione dalla prescrizione dopo essere stato condannato in primo e secondo grado a 16 e 18 anni per disastro colposo in relazione a decine di decessi per amianto; l’ufficio inquirente aveva cosi’ deciso di aprire un nuovo fascicolo a carico di Schmidheiny per omicidio doloso (poi derubricato in delitto colposo), sfruttando anche la sentenza della Corte Costituzionale numero 200 del luglio 2016, che aveva dichiarato l’imprenditore processabile nuovamente nonostante la condotta fosse la stessa, e cio’ senza che venisse violato il principio giuridico del “ne bis in idem”. Tra le parti civili compare, oltre ai familiari del lavoratori deceduti, compare la Cgil (difesa da Sergio Tessitore).