Due case famiglia di S.MARIA C.V. e CASAPESENNA trasformate in villaggi vacanze per rampolli di camorristi e apprendisti spacciatori

11 Gennaio 2019 - 18:10

CASERTA – Le vere buone notizie non sono solo quelle retoricamente utilizzate per l’esercizio ipocrita di un’informazione alternativa a quella dei giornali, pochi in realtà, come il nostro che denuncia quotidianamente i fenomeni di illegalità attraverso un’esposizione mai assertiva ma sempre costruita su una solida espressione documentale.

Perché le buone notizie non sono solo una manifestazione di buonismo a buon mercato, che di solito viene sbandierato da chi non ha la capacità e neppure la possibilità in quanto fortemente compromesso con il potere maneggione, di estrinsecare il tentativo di esercitare la cultura della verità, che è valore supremo e che mette d’accordo sia la cultura laica che quella cristiano-cattolica.

E allora, una buona notizia è anche costituita dal fatto che una giornalista dall’autorevolezza riconosciuta qual è Rosaria Capacchione abbia trovato la voglia di alzare il velo che copre un’autentica fogna, un verminaio, in cui il riciclaggio di ambienti storicamente legati alla malavita organizzata avviene grazie ad una legislazione soft, alla possibilità di muoversi in una zona franca in cui le leggi e i controlli sono molto più blandi rispetto alle altre grandi aree della spesa pubblica.

Lungi da noi l’idea di generalizzare e di sparare nel mucchio.

Ma quando si legge un articolo come quello firmato oggi da Rosaria Capacchione, non puoi non provare un po’ di sollievo.

La firma, di per sè, è autorevole in quanto è quella di una professionista che per 30 anni e più si è occupata di criminalità organizzata, facendo precedere ogni suo articolo da un’attenta attività di analisi e di studio documentale.

Come ha dimostrato anche nelle due puntate andate in onda sul canale Nove (gruppo Discovery) del lungo documentario sulla cattura di Michele Zagaria, la Capacchione sa in quanto conosce e, conoscendo, sedimenta il suo sapere negli anni nelle possibilità che le fornisce la sua intelligenza, diventando, oltre che narratrice, anche coscienza critica e interprete autentico di quello che c’è stato nel fenomeno ma soprattutto dietro al fenomeno della camorra casertana.

E allora se una professionista di questo lignaggio scrive che ci sono delle cooperative finanziate dagli enti locali e dunque attraverso il pubblico danaro che si “mettono a disposizione” di fronte ai desideri di famiglie di camorra, affinché i rampolli delle stesse, alle prime esperienze del proprio cursus criminale abbiano dei trattamenti di favore all’interno delle strutture, allora c’è da crederle senza se e senza ma.

La Capacchione fa nomi e cognomi: parla della coop. Serapide con sede a Casagiove, che attraverso l’opera della sua principale titolare, Eufrasia Del Vecchio, eroga servizi di accoglienza di casa-famiglia per i minori detenuti nei carceri minorili a partire da quello dei Colli Aminei.

Bracci operativi di Serapide sono l’Incontro di Santa Maria Capua Vetere e la comunità-alloggio Sant’Elena di Casapesenna, dove a pochi metri di distanza dalla casa di Michele Zagaria, un ragazzo impastato di mentalità criminale dovrebbe grazie, agli insegnamenti e all’assistenza di educatori, cambiare la sua mentalità.

La Capacchione cita due esempi: “Il minore – scrive la Capacchione – era un nipote di Salvatore Dragonetti ucciso al Borgo Sant’Antonio Abate assieme al cognato. La famiglia Dragonetti è storicamente famiglia di camorra. Imparentata con i Giuliano di Forcella, è organica al clan Mazzarella“.

Il secondo caso è quello di un minore dell’agro aversano, affidato alla comunità Sant’Elena di Casapesenna, con tanto di telefonino a disposizione, con il quale scriveva messaggini che avrebbero trovato sicuramente posto in uno dei tanti film e filmetti su gomorre più o meno probabili o assortite: «Buona nott, puzzat e famm. Ti posso solo piscare in testa»; «La morte arriva quando arriva, mi basta solo morire libero», giusto per citare qualche passaggio dell’illuminato pensiero del ragazzotto.

Per entrambi, la prima collocazione era stata quella della casa famiglia di Telese Terme Altrove, di cui sono stati titolari Roberto Giuliano e Patrizia Tubiello.

Sono stati perché non lo sono più. Oggi, racconta ancora Rosaria Capacchione, la struttura sannita ha chiuso i battenti perché evidentemente si era illusa o aveva capito male.

Pensava, infatti, che ci si dovesse attenere alla legge e, conseguentemente, ai protocolli previsti per l’attività di recupero di questi minori che non prevedono certo un soggiorno da villaggio vacanze.

La famiglia di un nipote di cotanto zio, essendo stata privato il loro ragazzo del telefonino et similia, hanno aperto un contenzioso formale con la casa famiglia di Telese.

Una protesta che ha determinato il trasferimento del giovanotto in quanto l’assistente sociale ha avallato tutte le tesi esposte da un gruppo di persone che, nel meccanismo complessivo del processo di detenzione e rieducazione del minore, non era stato chissà perché, identificato e valutato per il suo autorevolissimo albero genealogico.

Per quanto riguarda il ragazzo dell’agro aversano, anche lui aveva beneficiato di un trasferimento, riteniamo grazie alla stessa procedura, come la vogliamo chiamare…compiacente?

Fatto sta che nelle comode strutture casertane griffate Serapide, la vacanza è iniziata e i due virgulti hanno potuto scansare il pericolo di una redenzione, rimettendosi sulla retta via pretesa dai loro nuclei familiari della solida formazione criminale: libertà di movimento, telefonino in camera, wifi libero.