GUARDA LE FOTO. Per il detenuto che ha parlato, S.MARIA C.V. carcere lager: la “camera zero” delle torture e l’ispezione anale con manganello

6 Luglio 2021 - 11:41

Il capo di imputazione provvisorio 5, che pubblichiamo integralmente in calce al nostro articolo e che vede indagati 32 componenti del personale tra cui i dirigenti Manganelli e Costanzo, più il capo del reparto speciale esterno, Pasquale Colucci, tutti accusati di lesioni personali aggravate e in concorso

 

SANTA MARIA CAPUA VETERE – A.F. detenuto dell’ormai famigerata sezione Nilo del carcere di Santa Maria Capua Vetere è uno dei testimoni principali sugli episodi capitati il 6 aprile 2020 all’interno del penitenziario casertano e su cui è inutile spendere parole di premessa, per le volte che tutti i giornali, noi davanti ma anche tutti i media nazionali, le hanno scritte. A.F. parla addirittura dell’esistenza di una “stanza zero” una sorta del luogo del rigore massimo, se non addirirttura delle torture, una descrizione che evoca in qualche modo certi luoghi del disonore dentro ai lager o ad altre strutture sempre e comunque accomunate da una caratteristica: appartenere a sistemi politici fondati su dittature e sulla repressione di ogni avversario o voce discorde.

A.F. fornisce dettagli precisi anche sul cartello che la indica proprio come cella zero e parla anche delle punizioni che avrebbe subito il detenuto M.R. anche lui recluso nel reparto Nilo all’interno del minilager.

Il testimone racconta anche di litigio di un detenuto italiano e uno straniero e dell’intervento, dice lui, di un centinaio di agenti della polizia penitenziaria che avrebbero picchiati entrambi e anche altri detenuti presenti e che non c’entravano assoutamente nulla con l’accaduto, ammesso e non concesso, specifichiamo noi, che due detenuti che litigano debbano essere puniti con pene corporali.

Il racconto dei fati del 6 aprile suscita, anche in questa circostanza, stupore e tristezza: A.F. dice di essere prelevato dalla sua cella. Confessa agli inquirenti di aver a disposizione un mini telefono, trovato dagli agenti, che però sostenevano che quello non fosse l’unico apparecchio, quando invece, secondo il racconto di A.F. lui non ne aveva altri. Di qui l’atto che diventa autentica sevizia, qualora gli esiti definitivi dell’indagine ma soprattutto i processi dovessero dimostrare che questo fatto sia accaduto veramente, certificando la genuinità della testimonianza di A.F. che sarebbe stato seviziato con un manganello.

Perchè, aggiungiamo di nuovo noi, l’ispezione anale è effettivamente un atto di sicurezza e di prevenzione esistente e ha a che vedere con la necessità di controllare se in questo orefizio venga nascosta droga o altre diavolerie. Ma l’ispezione anale non si fa con un manganello e se questo è successo, chi ha compiuto questo atto, ci dispiace per la sua famiglia, per le implicazioni di tipo sociale, dovrà pagare il proprio debito con la giustizia, dovrà essere cacciato dall’amministrazione e magari lo stato dovrà occuparsi, se proprio sarà necessario, del sostentamento suo e dei suoi familiari. Questo, senza se e senza ma, qualora, ripetiamo, gli esiti del processo, la presenza di documenti filmati, dovessero dar pieno riscontro al racconto del detenuto A.F.

Il resto lo potete leggere nello stralcio dell’ordinanza che pubblichiamo in calce.

 

QUI SOTTO GLI STRALCI DELL’ORDINANZA, IL CAPO DI IMPUTAZIONE PROVVISORIO E LE DICHIARAZIONI DEL DETENUTO A.F.