LA NOTA. MADDALONI. Cecilia D’Anna assolta “Per non aver commesso il fatto”. L’unica colpevole è Rosa De Lucia. Questa cosa vi torna?
27 Novembre 2019 - 17:48
MADDALONI (g.g.) – Cecilia D’Anna, già assessore comunale di Maddaloni, è stata assolta “per non aver commesso il fatto” in relazione ai reati a lei ascritti nella nota vicenda della Tangentopoli maddalonese, le cui indagini partirono grazie ad un’inchiesta giornalistica di casertace.net. Per affrontare un ragionamento che porti a considerazioni valutative, occorre partire da punti cardine del ragionamento, come si suol dire, punti di principio: la verità processuale, almeno per quanto riguarda il processo di primo grado che probabilmente rimarrà anche l’ultimo dei gradi di giudizio, visto che né la procura, né la parte civile del comune di Maddaloni sembrano orientati a sprecar tempo a presentare Appello, è stata sancita e la verità processuale, piaccia o non piaccia, condivisa o non condivisa, va rispettata e va considerata struttura obbligatoria in tutte le relazioni formali tra il neo non colpevole, in questo caso, la neo non colpevole e le altre agenzie private o pubbliche dell’espressione sociale.
Ciò, però, non vuol dire che occorra tacere. Perché se così fosse non saremmo più in uno stato di diritto, ma dentro una dittatura. Le sentenze si rispettano, si applicano ma si è liberissimi di affermare che si condividono o non si condividono. Non dubitiamo che nella costruzione della verità processuale, il giudice abbia pronunciato un verdetto obbligato. Gli elementi di valutazione morale, politica o di opportunità non sono infatti determinanti nell’accertamento della verità processuale. Ma fuori dal processo, che riassume in sé i fatti presentati dall’accusa e quelli esposti dalla difesa, tutti gli altri addendi della somma di situazioni e circostanze possono essere validamente utilizzati per creare una propria verità. Una verità che conta meno sul piano del’incidenza giuridico-sociale rispetto a quella processuale, ma non è certo irrilevante. Tutte quelle parti dell’ordinanza chiesta e ottenuta a suo tempo dal pubblico ministero Giacomo Urbano, dopo un’attenta e appassionata indagine condotta dai carabinieri di Maddaloni, coordinati investigativamente dall’allora maresciallo, oggi tenente, Diego Montella, diventano oggi materiale bagattellare per la verità processuale, restando però ispirazione per quanto concerne la costruzione della “verità personale”, soggettiva, del punto di vista, dell’opinione che ognuno di quelli, come noi, che hanno partecipato nel proprio ruolo alla costruzione di quell’indagine, vogliono formarsi magari inserendo il fatto nuovo, cioè la sentenza, in tutto ciò che era maturato fino ad oggi. Questa si chiama democrazia. Democrazia è incolonnare verticalmente ordinatamente i diritti e i doveri di un cittadino, metterli in relazione limpida e reale tra di loro e con l’espressione delle strutture costituzionali a partire dalle sentenze giudiziarie, dunque la verità processuale, che di queste strutture fondamentali di uno stato di diritto sono architrave irrinunciabile, senza scomodare la “testata d’angolo”, la biblica “testata d’angolo”. Questo ragionamento, che riconosco essere un po’ complesso, è necessario proprio perché ogni cittadino ha il dovere di tutelare, di difendere e di riconoscere le verità processuali, a partire da quelle che non si condividono. Questo è uno dei tanti modi per essere un meraviglioso liberale. Cecilia D’Anna dunque è stata assolta “per non aver commesso il fatto”. Anche i neofiti del diritto e della procedura penali sanno bene che si può essere assolti per non aver commesso il fatto o anche perché “il fatto non sussiste”. Ma qui il fatto deve sussistere per forza, perché ci sono imputati che hanno patteggiato o chiesto il patteggiamento e/o comunque sono ancora sotto processo. Dunque, la D’Anna non poteva essere assolta se non “per non aver commesso il fatto”.
Stabiliti i fatti e gli antefatti, cosa ci racconta questa sentenza? Che i reati li hanno commesso, sostanzialmente, solo due persone: la sindaca Rosa De Lucia, unica diabolica manovratrice del tutto, e Alberto Di Nardi, imprenditore che aveva intrapreso la strada della corruzione della sindaca per garantirsi il mantenimento dell’appalto dei rifiuti di Maddaloni. Questo e solo questo (hai detto cazzi!) dice e spiega la sentenza di oggi che, dunque, scioglie nel solvente dell’indifferenza e dell’irrilevanza tutte le telefonate e tutte le conversazioni in cui l’allora assessore Cecilia D’Anna, compagna di vita della sindaca Rosa De Lucia, conversava con quest’ultima, dandole consigli, fornendo dritte, riprendendo i fili della durezza del rapporto, da subordinare alle mazzette, tra la prima cittadina e gli imprenditori che bazzicavano intorno al comune. In poche parole, quelle erano iniziative, proposizioni strategiche, strutture di azione decise solo e solamente da Rosa De Lucia che, patteggiando la pena di 4 anni, ha in pratica ammesso la sua colpevolezza. Mentre la Cecilia D’Anna, pur conoscendo i fatti, perché questo nessuna sentenza potrà negare, ne era totalmente soggiogata dalla sindaca, al punto di diventare una sorta di automa, impostato a fare determinati discorsi, a pronunciare determinate parole in maniera inconsapevole, come se si trattasse di una persona che in quel momento era incapace di intendere e di volere. Dunque, Cecilia D’Anna, arrivata a Maddaloni da Castellammare di Stabia ed entrata nel cuore e nel sentimento di un puro, tenero e sincero amore della sindaca De Lucia (il post su Facebook di oggi, che pubblichiamo in calce, lo dimostra ancora una volta), è stata una sorta di marionetta plagiata in pratica da quest’ultima.
Non dobbiamo aggiungere altro, se non una domanda indirizzata alla popolazione di Maddaloni. Di fronte a questa verità processuale, che magari, ribadiamo, era l’unica che il giudice poteva erogare con gli elementi a disposizione, voi che conoscete i vostri polli (e non decliniamo anche il femminile che poi ci tacciano di sessismo) che ne dite, cosa ne pensate di questa verità processuale? Siccome si tratta di due persone pubbliche, che hanno svolto per un lungo periodo, una la funzione di sindaco, l’altra di assessore, nonostante l’inopportunità legata al fatto che le due convivessero (cosa che a un eterosessuale non sarebbe mai stata consentita), voi maddalonesi ritenete che il quadro, a questo punto definitivo, uscito fuori dal processo, con il patteggiamento a 4 anni della sindaca e l’assoluzione per non aver commesso il fatto di Cecilia D’Anna, esprima una corrispondenza della verità processuale, rispetto a quella effettuale?