L’EDITORIALE. La meravigliosa incredulità de “Le Iene”. La comprensibile pazzia del medico Nazario Di Cicco e un sistema immorale di gestione della sanità ancora vincente

29 Ottobre 2018 - 14:55

di Gianluigi Guarino

La prima parte dell’inchiesta televisiva che “Le Iene“, curata dall’eccellente giornalista Gaetano Pecoraro, stanno conducendo sullo stato della sanità casertana, ha reso pubblica, ieri sera, una storia che, vista da Roma, da Milano, dalla redazione di un programma nazionale di successo, qual è senz’altro quello che da anni viene programmato nel palinsesto di Italia1, è definita come “incredibile”.

E per una volta, CasertaCe può trovare concreto riscontro, un piccolo sollievo, quantomeno morale, a quella locuzione, da noi utilizzata frequentemente, più come sfogo fine a se stesso, che come strumento per risvegliare almeno qualche sezione dell’un’opinione pubblica locale. Quante volte avete letto nei nostri articoli che quel determinato caso, quella determinata vicenda non si svilupperebbero nel modo in cui si sviluppano qui da noi, in nessuna altra parte del mondo?

Lo scriviamo e da diverso tempo sappiamo di far solo il nostro dovere perchè queste valutazioni non smuoveranno alcun animo sopito. Qui, infatti, non esiste un’opinione pubblica, è totalmente assente, in quanto assente è il concetto fondamentale che la informa, cioè quello etico, sociale, storico, di “cittadinanza”, che prima di essere “Attiva”, deve essere semplicemente tale.

Insomma, ribadiamo, ci fa piacere che l’autorevolezza e le medaglie de “Le Iene” abbiano definito come incredibile il caso del medico ortopedico Nazario

Di Cicco, il quale essendo uno capitato per caso dalle nostre parti, si è scontrato con un problema molto grande: quello di essere un lavoratore dipendente.

Perchè, parafrasando l’opera di Ennio Flaiano da cui fu liberamente tratto anche uno spassoso film con Pippo Franco, da vero e proprio “marziano ad Aversa“, ha osato dire a suo tempo che per compiere degli interventi chirurgici appena accettabili, per standards di sicurezza e per qualità del servizio prestato dentro, ma anche fuori dalla sala operatoria, occorrevano gli strumenti previsti per legge e non era possibile fermare gli arti delle persone traumatizzate con un attaccapanni, così come era costretto a fare nel folle ospedale Moscati.

In presenza di queste sue rivendicazioni, non di tipo personale, ma tese alla realizzazione di un obiettivo di “bene comune”, Di Cicco ha avuto, ripetiamo, il problema di essere un lavoratore dipendente di una pubblica amministrazione. Problema ancor più acuito dal fatto che questa amministrazione fosse l’allora asl Caserta2, ai cui vertici c’era, nella veste di direttore sanitario, quel Mario De Biasio, che oggi indossa la casacca di lider maximo di tutta la sanità provinciale.

Da lavoratore dipendente, Di Cicco ha dovuto confrontare quello che lui sosteneva rispetto al disastro dell’ospedale in cui operava, con le valutazioni, i punti di vista, i modi d’essere, osiamo dire, la biologia di chi lo dirigeva.

In poche parole, Di Ciccio sarebbe stato considerato oggi, figuriamoci a fine anni 90 e nei primi anni del 2000, “un cacacazzo” da mettere a posto, di cui sbarazzarsi.

Scrivere della storia del dottore Di Cicco è importante per il sottoscritto perchè io, avendo piena consapevolezza che mai e poi mai avrei potuto testimoniare quello che testimonio con questo giornale, nato letteralmente dal nulla, mi sono trovato di fronte ad un bivio: o da qui me ne dovevo andare oppure dovevo creare una cosa mia, di mia proprietà, da proteggere, con la caratteristica umana, con la scorza solida e resistente di un’etica che non mette al centro dell’esistenza la conquista del denaro e della ricchezza ad ogni costo, ma la testimonianza di principi e di valori che, altro che un “marziano ad Aversa“, sono quelli che stanno scritti nella Costituzione, nei codici penale, civile, amministrativo, nei testi unici e in migliaia di leggi “sfuse”.

Di Cicco non ha capito immediatamente che in un luogo in cui la legge è considerata un nemico, al più un incomodo fastidioso, insomma la legge è una gran “cacacazza”, tutti coloro che si ispirano ad essa, che si arrabbiano quando non è applicata, vengono trattati come venivano normalmente trattati i dissidenti all’interno dei regimi totalitari, a partire da quello sovietico: se non cammini lungo la corrente torrentizia del senso comune, dell’ipocrisia diffusa, dell’inciarmo istituzionalizzato, dell’aggiustamento, dell’apparamento, della raccomandazione intesa come sistema globale di costruzione degli organici del settore pubblico, allora sei pazzo.

E lei, Di Cicco è pazzo da legare nel momento in cui si è permesso di dire, dentro al Moscati, che lì mancava tutto. Affermandolo, infatti, ha disturbato la quiete e il tran tran della eterna poltiglia consociativa che mette insieme da sempre, gli oligarchi nominati dai partiti che, a turno, comandano in Regione e che da questi oligarchi si attendono la costante coltivazione dei loro orti clientelari, e i sedicenti sindacati, i quali si rappresentano come quintessenza di un potere forte che non guarda, quale prospettiva della sua opera, agli interessi collettivi dei propri iscritti, ma lavora incessantemente, instancabilmente per puntellare, consolidare i poteri di altri oligarchi che stanno lì da decenni e che, prima di tutto, hanno “sistemato” (vedi il caso, questo sì, iper-incredibile, della famiglia Stabile) figli, parenti, generi, consanguinei e chi più ne ha, più ne metta.

Di Cicco non è stato quindi sottoposto ad una verifica delle sue capacità professionali, relative alla chirurgia ortopedica, ma ad una verifica delle sue facoltà mentali, a visite psichiatriche, ordinate, udite udite, dal mitico Danzi, l’uomo che Pasquale Giuliano volle alla direzione sanitaria dell’asl unificata in uno dei tanti riti lottizzatori, al tempo orientato dalla giunta di centrodestra, capitanata, a Napoli, da Stefano Caldoro, e da uno psichiatra, al quale devono dare il premio Nobel perchè ha inventato, novello Freud, una nuova malattia, la mobbing sindrom. Della serie, io ti dico di stare buono e di non cagare il cazzo chiedendo cose impossibili, tipo quella dell’attaccapanni, e tu, imperterrito, continui a far casino e, per l’appunto, a cagare il cazzo.

E continuando a farlo, continuando a dire che la legge dice così e noi facciamo colì, dimostri di essere un perseguitato immaginario e quindi uno che soffre della sindrome del mobbing. Cioè che non è mobbizzato ma dice continuamente di esserlo.

Due giudici della Repubblica Italiana hanno sancito che Nazario Di Cicco ha pienamente ragione, che non è pazzo, che deve avere un risarcimento di mezzo milione di euro, e che deve essere reintegrato nelle mansioni di chirurgo ortopedico, cosa che non è successa visto che, come svela il servizio de “Le Iene” lo hanno messo a inserire numeri e schede in un computer facendo un lavoro che nulla ha a che vedere con la chirurgia ortopedica, esercitata realmente.

Tiriamo le somme: invece di abbassare la testa davanti alla legge, il De Biasio, il Danzi, questo spassoso psichiatra hanno mantenuto il punto, ribadendo la validità della scelta di sottoporre l’ortopedico a due visite psichiatriche. E tutto sommato, meglio così, quantomeno sono stati coerenti con la loro vita di interpreti fedelissimi e doviziosissimi di una controcultura, quella che ha sotteso il bene comune, gli interessi dei poveri cristi che non potevano andare in clinica privata quando si spaccavano una gamba e dovevano rischiare la pelle in quello schifo del Moscati, alla messa in opera, al consolidamento e all’auto celebrazione di un sistema di potere che ha fatto, della sanità casertana, un unico, immenso ricottificio, puttanificio, raccomandatificio.

Post Scriptum: ritornando al discorso sulla sfortuna che l’ha colpita di essere un dipendente di una pubblica amministrazione, rivelo perchè di sfortuna si tratta. E utilizzo la mia esperienza come elemento di paragone: al sottoscritto, caro dottor Di Cicco, quelli là dicono, un giorno sì e l’altro pure, trovando anche terreno fertile nel mio impresentabile ordine professionale, che sono un pazzo da legare.

Però la definizione rimane lì. Non determina conseguenze, com’è successo con lei, perchè avendomi dato il Padre Eterno un talento, sono riuscito a creare una piccola azienda, la cui esistenza e la cui sopravvivenza non dipendono da nessun direttore generale, da nessun direttore sanitario, da nessun editore ricottaro, da nessun parlamentare nazionale, da nessun consigliere regionale, da nessun politico.

 

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