L’EDITORIALE. L’inchino a casa Della Ventura-Maravita. Francamente: i parroci don Franco Greco e don Giuseppe Di Bernardo hanno sbagliato, con loro la Chiesa ha dato un pessimo esempio. E di quell’indecente fascia tricolore parleremo ancora
5 Giugno 2020 - 13:54
Don Franco Greco, così come avrebbe dovuto fare il suo predecessore don Giuseppe Di Bernardo, doveva dire no a quella deviazione. Ancor di più, don Franco Greco non avrebbe dovuto accettare un solo euro di offerta per il campo di calcetto, perchè lui sapeva benissimo quell’euro da quale attività provenisse, da quale azione di distruzione sociale, da quale sofferenza inferta a tante famiglie che incubano spesso, in silenzio, al proprio interno, il dolore per un figlio o una figlia tossicodipendente.
di Gianluigi Guarino
Non sappiamo se Don Franco Greco, sacerdote della Diocesi di Caserta e parroco della chiesa di Santa Barbara, c’entri direttamente o solo indirettamente, con la deviazione della processione del 27 luglio 2017, quella dell’ormai famigerato “inchino alla casertana” della statua della Vergine delle Grazie, al cospetto dell’abitazione, niente popodimeno che di Michele Maravita, di professione apprendista stregone tendente al camorrista, soprattutto gagliardo telespettatore, pronto a riprodurre i format più cafonal-smargiassi, tipo questa cosa dell’inchino e soprattutto “se
Il problema di Maravita, trasposizione perfetta di molti casertani che invece non vivono da criminali, ma che perseguono lo stesso obiettivo di manifestazione di apparenza, non era quello di diventare un vero boss, ma, per l’appunto, di apparire tale, come si evince chiaramente dal passo dell’ordinanza che pubblichiamo in calce a questo articolo.
Il gip Emilia Di Palma che l’ha firmata, si sofferma, citando alcuni accoliti dell’organizzazione, sulla considerazione che questi aveva nei confronti del Maravita. “Si faceva chiamare boss” (Maravita), ma in realtà, sempre secondo ciò che diceva lo spetteguless dell’organizzazione, “Si è montato la testa dietro il nome di altri“, “è un chiacchierone che mette in giro inciuci“.
Insomma, niente di che. Però Maravita era e forse è ancora, un delinquente, come tutta Caserta ben sapeva. Non un insospettabile nella percezione comune ma anche nel casellario giudiziario, denso di precedenti.
Dall’ordinanza, si intuisce, ma non si comprende al di la di ogni ragionevole dubbio, che don Franco fosse sul posto quando la statua ha deviato verso casa Maravita-Della Ventura, in zona Petrarelle. Lo si deduce ma non è scritto in maniera chiara. La suocera di Maravita, cioè la moglie del boss Antonio Della Ventura detto ‘o coniglio, utilizzò, infatti, l’auto per bloccare, in qualche modo, il corteo e per ricordare, a chi lo guidava, la consuetudine, ormai consolidata, di quell’inchino che forse ai tempi del predecessore di don Franco Greco, cioè ai tempi di don Giuseppe Di Bernardo, titolare della parrocchia fino al 2014, poco più o poco meno, era stata codificata.
E’, non a caso, Concetta Buonocore a chiedere ed ottenere la deviazione e non Michele Maravita. Non si capisce se la donna parli direttamente a don Franco Greco o ad altri. Fatto sta che la processione devia, ribadendo la tradizione di don Giuseppe Di Bernardo e che dalla famiglia Maravita-Della Ventura arrivi un contributo per la ristrutturazione del campo di calcetto, attiguo alla chiesa di Santa Barbara.
Sul comportamento delle cosiddette autorità civili, torneremo ancora perchè ci si è accorti e tutto sommato lo prevedevamo, che il sindaco Carlo Marino fa, come si suol dire, “il pesce in barile”, fingendo di non capire quale sia il problema da noi sollevato nella nota di ieri (CLIKKA QUI PER LEGGERLA); qui invece dobbiamo concentrare le nostre energie sulla pigrizia e su questa necessità di quieto vivere di un clero che, pur sapendo con chi sta parlando, pur sapendo chi fosse quella donna, abbassa la testa e docilmente obbedisce.
Il racconto di Alessandro Manzoni riguarda un contesto sociale vecchio di 4 secoli, quando l’iconografia di don Abbondio aveva senso in una situazione in cui il quieto vivere si traduceva molto spesso semplicemente nel “vivere”. Dopo 400 anni, il problema della prevaricazione, del sopruso, dell’arroganza, della pretesa della criminalità di ottenere finanche una legittimazione nei contesti religiosi, è diventato tema centrale nel dibattito socio-politico nazionale.
Beninteso, non è che noi pensiamo e non siamo tanto stupidi ed irrealisti da pretendere una chiesa popolata da 10, 100, 1.000 don Puglisi. E figuriamoci se si possono dispensare condanne morali a chi mette la conservazione della propria vita al centro del suo agire. L’istinto di sopravvivenza è, in partenza, nel dna dell’uomo e delle altre specie animali. Però, oggi, esiste uno spazio praticabile per evitare che queste cose succedano ancora, per dire no alla pretesa, alla costrizione inflitta attraverso l’ipoteca della paura.
Don Franco Greco, così come avrebbe dovuto fare il suo predecessore don Giuseppe Di Bernardo, doveva dire no a quella deviazione. Ancor di più, don Franco Greco non avrebbe dovuto accettare un solo euro di offerta per il campo di calcetto, perchè lui sapeva benissimo quell’euro da quale attività provenisse (…) , da quale azione di distruzione sociale, da quale sofferenza inferta a tante famiglie che incubano spesso, in silenzio, al proprio interno, il dolore per un figlio o una figlia tossicodipendente. Lo sapeva, eppure l’ha preso quell’euro intossicato dall’odio, dall’oltraggio alla ragione e dalla violazione alla legge di Dio.
Nessuno, men che meno noi, colpiti da orticaria quando vediamo schierati i professionisti dell’anti camorra dietro ai tavoli di insulsi convegni auto referenziali e finalizzati solo a conservare i privilegi di uno status, ci saremmo sognati di biasimare don Franco o don Giuseppe per essere stati troppo vicini a don Abbondio e troppo lontani da don Puglisi. Quel no poteva essere silenzioso, anzi, doveva essere silenzioso, magari anche diplomatico, ma doveva essere no.
In caso di ritorsioni ci sarebbe stata, a differenza di quel che succedeva ai tempi di don Abbondio, quando don Rodrigo era l’autorità costituita, la possibilità di rivolgersi a certi uomini delle forze dell’ordine, in certi uomini e in certe donne della magistratura e anche a noi di CasertaCe, luogo di denuncia e di tutela rispetto a quelle ritorsioni.
Prima don Giuseppe Di Bernardo, poi don Franco Greco, non si sono limitati a preferire il quieto vivere. Sono andati al di la, perchè hanno legittimato, loro, insieme a quella fascia tricolore, indegnamente indossata da un assessore fessacchiotto, un potere reale di un gruppo criminale che grazie agli strumenti utilizzati per emergere economicamente, otteneva il riconoscimento di un prestigio da ostentare davanti alle centinaia e centinaia di persone che a quella processione partecipavano e che a quel punto, non hanno capito veramente più nulla su chi fosse lo Stato, su chi fosse Dio e su chi comandasse veramente sulla faccia della Terra.
QUI SOTTO LO STRALCIO DELL’ORDINANZA