PAZZESCO. Dopo 13 anni di via Crucis e 4 anni di carcere, revisione del processo e assoluzione piena per il maresciallo Alfonso Bolognesi

21 Luglio 2021 - 16:42

La sentenza della Quarta Sezione della Corte di Appello di Roma. Una vicenda incredibile, che ci permette di ribadire quello che noi riteniamo uno dei difetti della stagione dell’anticamorra campana, quando le luci della ribalta obnubilarono qualche buon cervello al punto che un gruppo di ottimi magistrati cominciò  a soffrire di vertigini, sentendosi una vera e propria generazione di fenomeni. Ora, giustamente, il maresciallo Bolognesi, che ci ha dato la possibilità di assistere a molti momenti del suo dolore, chiede un risarcimento record, la reintegrazione dell’Arma dei Carabinieri e l’assegnazione del ruolo di comandante di Stazione

 

 

 

 

CASTEL VOLTURNO – Sono in tanti, vivendo comprensibilmente in maniera iper-emotiva le proprie vicissitudini giudiziarie, ad affermare costantemente, durante gli anni dei processi che li riguardano, che la loro storia è talmente unica nel suo genere da aver definitivamente rovinato la propria vita al punto che, nel momento in cui arriverà ineluttabilmente la sentenza di assoluzione definitiva, loro ne racconteranno tutta la trama in un libro.
Il più delle volte l’assoluzione non arriva, e anche quando arriva, lo scampato pericolo rasserena l’animo concitato, che non ha più bisogno, dunque, di placare ed esorcizzare la sua tensione immaginando un futuro da vittima della malagiustizia riconosciuta da qualche talk-show di grido grazie ad una pubblicazione best seller.

Questo preambolo è fondamentale perché la storia delle vittime o delle presunte vittime della malagiustizia è costellata di casi che si sviluppano in un numero tale da diluirne la portata.
E allora occorre impugnare la matita blu e inquadrare bene il campo di azione di un ragionamento che si sviluppa su questi temi, prima di citare un caso che a nostro avviso meriterebbe – quello sì – un libro, per tutti gli elementi di specialità e di originalità che contiene.
Un caso in cui la punizione del reo è stata spinta alle estreme conseguenze per effetto di sentenze che, dalla prima all’ultima, si sono dimostrate sbagliate o non sufficientemente avvedute, perché capita spesso che i magistrati, uomini e donne in carne ed ossa (dunque fallibili), pur negandolo, siano condizionati da un pregiudizio che li porta a pesare, in maniera originale e soggettiva, elementi processuali che avrebbero invece bisogno di essere valutati con maggior prudenza.
Della triste storia del maresciallo dei Carabinieri Alfonso Bolognesi ci siamo occupati più volte.

Nel periodo di massimo fulgore di quella stirpe di buoni pubblici ministeri in opera nella Dda partenopea, anche il maresciallo Bolognesi fu colpito dagli strali di un’accusa infamante di connivenza se non diretta, quantomeno connessa agli interessi del Clan dei Casalesi, il cui tacco criminale è stato impresso con violenza all’area di Castel Volturno e dintorni, letteralmente egemonizzata dalla fazione largamente più violenta, cioè quella fondata e alimentata dalla famiglia Bidognetti.
Quei magistrati erano buoni magistrati e nel tempo sono diventati ottimi magistrati.
Ma un difetto lo mostrarono. Nel periodo dei grandi blitz anticamorra, quando la Dda sembrava essersi dimenticata la criminalità organizzata napoletana, considerando tale solo quella casertana, a cui si dedicava full time, le luci della ribalta finirono, comprensibilmente e umanamente, per alimentare o meglio per sovra-alimentare un format operativo fondato solo e solamente su una tensione finalizzata ad inchiodare coloro i quali erano considerati rei da questi magistrati in carne e ossa, e che magari apparivano tali anche (o solo) perché il fragore di quelle giornate, lo sberlucicchio delle interviste, delle telecamere, delle comparsate televisive (quella che in molti, non a torto, definiscono la “spettacolarizzazione” delle inchieste giudiziarie), inebriò soprattutto i più giovani.
Quell’azione valorosissima ebbe tra le sue punte di diamante l’attuale candidato sindaco della città di Napoli Catello Maresca, Antonello Ardituro, e prima ancora Curcio, coordinati da Federico Cafiero De Raho, oggi capo della Direzione Nazionale Antimafia, organo di coordinamento di tutte le Dda italiane nato per volontà di Giovanni Falcone e che Falcone avrebbe diretto sicuramente se il 23 maggio del 1992 non gli fosse capitato quello che purtroppo gli capitò.

Alfonso Bolognesi stava nel mucchio delle seconde schiere, di quelli che non avevano un nome né come criminali né come servitori dello Stato. Attenzione: le indagini sui camorristi eccellenti o sugli imprenditori di camorra eccellenti (cioè sui soggetti che a differenza del Bolognesi di turno, erano rinomati)  furono realizzate bene e tennero sostanzialmente davanti ad ogni giudice, a quelli cosiddetti di prime cure e a quelli della legittimità, dunque Corte d’Appello e Cassazione. Chi rimase invece travolto da teoremi, più che da prove, da deduzioni logiche che si svilupparono frettolosamente e superficialmente, attaccando col vinavil dichiarazioni rese da pentiti che poi si sarebbero anche dimostrati inaffidabili, fu gente come Alfonso Bolognesi, un maresciallo dei Carabinieri che vi garantisco, avendo avuto la possibilità di accudire in certi momenti la sua sofferenza, era ed è persona che ha vissuto frugalmente del suo stipendio.

Mi consta perché ho elementi concreti per affermarlo, per cui non sono mai stato convinto delle accuse mosse ai suoi danni, peraltro emendate nei vari gradi di giudizio, visto che il povero Bolognesi i 4 anni di carcere definitivi con 1 di affidamento in prova, scontati duramente nel penitenziario militare di S. Maria C.V., li ha subiti per l’accusa di corruzione.
Corruzione e basta, visto che l’aggravante dell’articolo 7, cioè l’aver favorito con la sua attività di comandante della Stazione Carabinieri di Pineta Mare il Clan dei Casalesi, era caduta, se non andiamo errati, già in sede di sentenza di primo grado.
Abbiamo sempre avuto la sensazione che la Dda, avendo inquisito un sottufficiale dei Carabinieri, cioè una persona di rilievo soprattutto per il rango rappresentativo-istituzionale che ricopriva, abbia fatto di tutto per ottenere la condanna almeno per il reato ordinario.
Un’assoluzione, infatti, avrebbe gettato un’ombra su quella stagione in cui, ripetiamo, una stirpe di buoni, anzi ottimi magistrati, si pensò e si atteggiò come una vera e propria generazione di fenomeni.
Sapete quante sono, in Italia, le sentenze che ribaltano quelle definitive e che, essendo tali, non possono non essere frutto della cosiddetta “revisione del processo”?
Pochissime.

Affinché un processo, e di conseguenza una pena definitiva, possano essere rivisti, occorre che si sviluppino fatti nuovi, clamorosamente nuovi, non valutati precedentemente.
L’eccezionalità di questo istituto è legata anche alla particolare struttura della nostra procedura penale, fondata su ben tre gradi di giudizio.

E allora, se la Procura Generale presso la Corte di Appello di Roma ha accolto l’istanza presentata dal cocciutissimo avvocato Raffaele Crisileo, il quale è stato vicino a Bolognesi per tantissimi anni anche dal punto di vista umano, significa che nelle sentenze a carico del maresciallo sono stati rinvenuti degli elementi abnormi, come strutture costitutive di quelle condanne.
Badate bene, Bolognesi tra misure cautelari ed esecuzione della pena ha già scontato tutti i 4 anni.

Una varco di speranza, un piccolo spiraglio su cui fondare la comunque difficilissima istanza di revisione del processo, lo ha aperto recentemente la Prima Sezione del Tribunale di S.Maria C.V., presieduta dal giudice Giovanni Caparco, il quale lo ha assolto in un altro processo, in cui Bolognesi (in una continuazione logica e anche fattuale degli avvenimenti che gli erano costati la condanna definitiva) era stato accusato ancora una volta di corruzione per gli omessi controlli con cui avrebbe agevolato il famoso “Bar Tropical” di Castel Volturno, che deteneva delle macchinette di videopoker che secondo la pubblica accusa erano illecite e il cui esercizio sarebbe stato coperto proprio da Bolognesi, che avrebbe chiuso un occhio in cambio di alcune utilità materiali.

È stata quella sentenza completamente assolutoria ( prima della quale Bolognesi aveva rinunciato al beneficio della prescrizione) che ha aperto la strada alla sentenza del processo di revisione pronunciata dai giudici della Quarta Sezione Penale della Corte d’Appello di Roma. Un verdetto che ha rivoltato come un calzino e totalmente rivisitato l’istruttoria, condotta a suo tempo da quegli ottimi magistrati che si sentivano però troppo fenomeni, per star lì a trovare le prove granitiche senza le quali non si può condannare una persona. Al riguardo, la Corte di Appello ha riaperto il dibattimento, procedendo clamorosamente ad una nuova escussione dei collaboratori di giustizia.
Una fase che ha stravolto, annullato e revocato completamente i tre gradi di giudizio e la già citata condanna a 4 anni da questi scaturita.

Ora il maresciallo Bolognesi, ovviamente molto provato da una vicenda giudiziaria durata 13 anni, molto conosciuto nell’hinterland casertano, intende andare fino in fondo chiedendo non solo il reintegro in servizio e il comando di una Stazione Carabinieri ma anche il risarcimento dei danni per l’ingiusta detenzione patita per ben 4 anni.