Pistola, kalashnikov e munizioni, ecco in quale cantinola di una casa insospettabile li avevano nascosti gli armieri del CLAN DEI CASALESI a favore dei nuovi boss

21 Luglio 2021 - 13:34

Le argomentazioni del gip Isabella Iaselli sul capo di imputazione di associazione per delinquere di stampo camorristico aggravato dal possesso di armi anche da guerra, è molto interessante. Gli indagati sono 5, ma la posizione di uno di essi, cioè Giuseppe Diana, viene considerata in pratica ininfluente

 

CASAL DI PRINCIPE(g.g.) Gli armieri di questo embrione dell’ala militare del clan dei casalesi che stava aggregandosi attorno alla figura di Oreste Reccia erano fondamentalmente tre: Luigi Annibale, con il quale aveva poi effettivamente comprato quelle armi peraltro temibili e spaventosamente efficaci. Annibale era aiutato da Remigio e Marco Testa, padre e figlio. Questi avevano fittato una casa da Annunziata Mottola. In questa abitazione c’è anche una cantinola dove i carabinieri effettuarono un blitz, evidentemente attivato dopo aver ascoltato delle intercettazioni o aver letto dei messaggini whatsapp. La proprietaria di casa dichiarò ai militari che erano entrati a modo loro in quella cantinola che le chiavi della stessa erano possedute proprio da Remigio Testa.

Lo stralcio dell’ordinanza che pubblichiamo oggi racconta dell’agitazione e delle parole concitate che i due Testa si scambiano dopo essere venuti a sapere del blitz dei carabinieri. Non avendo capito evidentemente di essere già sotto intercettazione da tempo e che proprio per questo motivo i militari erano arrivati in quella cantinola, concordano esplicitamente delle versioni da offrire agli inquirenti, qualora fossero stati interrogati.

C’è un dettaglio interessante in questa intercettazione. In un passaggio lo stesso Remigio Testa dice a voce a un suo interlocutore, parlando dalla macchina, di andare a vedere “nella

stanza da letto, sulla sinistra, in un vaso verde sul comò, c’è un asciugamani, vedi…“. Secondo gli inquirenti, e questa testi è sposata anche dal gip, si tratta di una ulteriore arma sfuggita ai carabinieri che si erano concentrati su quelle della cantinola. Dunque, queste intercettazioni diventano un elemento di riscontro rispetto alle accuse molto gravi che vengono formulate nei confronti dei tre già citati, Luigi Annibale, Remigio e Marco Testa, ma anche nei confronti di Oreste Reccia che viene considerato per tutta una serie di elementi che andremo a illustrare nelle successive fasi di questo nostro lungo focus, colui il quale avrebbe dovuto disporre dell’arsenale, avendo come sua interfaccia Luigi Annibale. Marco Testa dopo aver ricostruito con il padre le fasi del blitz dei carabinieri (“Hanno scavato là, è successo il guaio!“) è preoccupato per quelle che potranno essere le reazioni del loro riferimento principale nell’attività di custodia delle armi, e cioè Luigi Annibale.

Il capo di imputazione provvisorio parte comunque dal 416 bis, dall’associazione a delinquere di stampo camorristico e quella delle armi diventa un’aggravante contestata dai pm della Dda alle persone appena menzionate ma anche a Giuseppe Diana. In questo caso, il gip fa un distinguo e in pratica ritiene che non esistano gravi indizi di colpevolezza ai danni di Diana per questa accusa: “La posizione di Diana Giuseppe – scrive Isabella Iaselli, gip del tribunale di Napoli- è defilata perchè pur essendo stato infatti identificato in maniera corretta, non risulta responsabile del reato come contestato.”

QUI SOTTO LO STRALCIO DELL’ORDINANZA