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Quando Vincenzo Schiavone ‘o trick raccolse nel pianerottolo le carte cadute ad un magistrato e terrorizzato usò il cognome della moglie

5 Luglio 2022 - 14:06

Oggi ci occupiamo anche dei fitti d’oro intestati a due società (3.100 euro al mese e 3.250 euro al mese) della sontuosa dimora di via Tasso a Napoli

 

 

CASAL DI PRINCIPEVincenzo Schiavone, detto o trick, fratello di Nicola Schiavone o monaciello, quest’ultimo personaggio centrale dell’indagine della Dda di Napoli sugli appalti che le ditte vicine al clan dei casalesi hanno conquistato negli anni a decine e decine, era molto preoccupato già nel 2018. Cioè già prima di quel fatidico 3 aprile 2019, data in cui i carabinieri del Nucleo Investigativo di Caserta bussarono a diverse porte delle case private e degli studi professionali, per compiere una serie di perquisizioni che a nostro avviso, per il tempo che poi è trascorso fino all’emissione dell’ordinanza contenente le misure di custodia cautelare, rappresentò un errore perchè mise sull’avviso Nicola Schiavone e tanti altri indagati i quali poi hanno avuto molto tempo per creare condizioni di maggiore confort in merito soprattutto ai motivi che giustificano un provvedimento cautelare e restrittivo della libertà personale.

La sensazione è questa e dunque non siamo rimasti affatto sorpresi quando il tribunale del Riesame ha mantenuto agli arresti domiciliari Nicola e Vincenzo Schiavone ma ha annullato la parte dell’ordinanza relativa all’associazione per delinquere di stampo mafioso, aprendo la strada alla libertà che di qui a poco, giocoforza, arriverà visto e considerato che più di 6 mesi il carcere o i domiciliari preventivi non possono essere applicati a meno che non si tratti di reati riguardanti l’esercizio di azioni connesse alla criminalità organizzata.

Ribadita questa nostra posizione, ci permettiamo di manifestare proprio perchè abbiamo seguito l’indagine da quel giorno, dal giorno delle perquisizioni in poi, veniamo al tema dell’articolo odierno. Vincenzo Schiavone, evidentemente, aveva fiutato qualcosa o aveva saputo qualcosa altrimenti, tutta una serie di comportamenti on li avrebbe esercitati, esasperando la richiesta di cautela, formulata anche all’indirizzo di sua moglie e di sua figlia.

C’è un episodio raccontato e captato in una intercettazione e raccontato da Vincenzo Bove, storico autista di Nicola Schiavone senior, a lui presentato da questo Carlo Romano, personaggio veramente particolare, per la cui decodificazione ci potrebbe risultare utile il concorso di un Luigi Bisignani o di uno di quelli che conosce certi meccanismi dentro ai quali hanno proliferato le figure di persone n grado di svolgere mediazioni da faccendiere, di mettere insieme dei mondi, magari perchè no, collaborare in certi momenti anche con le autorità e presentare sapendo benissimo chi ci fosse dall’altra parte, il suo amico Vincenzo Bove da Sant’Anastasia, a Nicola Schiavone perchè lo assumesse.

Enzo Bove racconta all’interno della Peugeot di sua proprietà, ad un altro indagato di questa inchiesta, cioè a Luca Caporaso, l’incontro che nei pressi del suo appartamento della accorsata ed elegante via Tasso di Napoli, Vincenzo Schiavone aveva avuto con un vicino di casa, con un conoscente. Salutandosi, a questa persona erano caduti dei documenti che lo schiavone si era immediatamente premurato di raccogliere. Sul frontespizio di uno, aveva letto “tribunale di Santa Maria Capua Vetere“, questo lo aveva spaventato perciò significava, evidentemente lo accertò, che quella persona fosse un magistrato. Ed effettivamente, gli inquirenti hanno accertato che nel parco residenziale di via Tasso, dove abitava con la sua famiglia Vincenzo Schiavone, risiedeva anche un magistrato in servizio al tribunale di Napoli.

Vincenzo Schiavone dopo aver visto quel documento, si presenta al suo interlocutore come Vincenzo Baldi, utilizzando cioè il cognome della moglie, al posto di quello molto più ingombrante che riporta fatalmente all’identità di Sandokan e a quella del clan dei casalesi.

Vincenzo Schiavone aveva finanche paura dei posti di blocco. Qui è sempre Bove che lo racconta ad un suo interlocutore, parlando di sollievo evidente mostrato quando l’auto con i due a bordo superò edd evitò di essere fermata da una pattuglia di vigili urbani. Vincenzo Schiavone chiese in quella circostanza a Bove di utilizzare strade in cui notoriamente, non venivano messi dei posti di blocco.

Infine, le questioni immobiliari.I fitti attivi di una lussuosa casa napoletana erano intestate a due società, potrebbe essere la stessa di cui abbiamo scritto fino ad oggi, a favore di, il primo alla GSC Global service Contract scarl, il secondo a TEC Tecnology Engineering Construction srl. Il primo canone rendeva a questa società riconducibile a Vincenzo Schiavone la cifra di 3.100 euro al mese e 37.200 euro annui, la prim

La prima società di cui era amministratore Carmelo Caldieri fu attiva in questo contrato di locazione fino al 31 ottobre 2015 mentre le subentrò la seconda ovviamente sempre riconducibile a Schiavone visto che l’amministratore era proprio Luca Caporaso, interlocutore nell’auto di Bove, dal primo dicembre 2015. La figlia di Vincenzo Schiavone, amelia, non è che ci capisse granchè di queste cose e mostrava di non avere neppure percezione dei motivi per cui suo padre e sua madre facevano la vita dei milionari.

Ed è proprio la madre Tiziana Baldi che cerca di spiegarle le dinamiche che devono portare a proteggere l’identità dei veri proprietari di questa casa, utilizzando le società di capitale che però non avevano un volume di affari, a partire dalla scarl, tale da giustificare la corresponsione di canoni così impegnativi.

Però, Tiziana Baldi, seppur un pò nervosamente additando pesantemente sua figlia che definisce addirittura “mongoloide” in verità accomunando le sue scarse facoltà cognitive a quelle di suo padre Vincenzo, si mostra sicura del fatto suo.

In conclusione, i comportamenti di Vincenzo Schiavone e queste operazioni immobiliari danno l’idea di una persona che è perfettamente consapevole della vita che fa, del motivo per cui ha tutti quei soldi, visto e considerato che chi non ha nulla da nascondere, non ha certo il problema di dribblare i posti di blocco.

Atteggiamenti a dir poco equivoci che, al di là dei gravi indizi di colpevolezza sull’associazione a delinquere di stampo mafioso che il riesame non ha ritenuto sussistenti, raccontano, almeno ai nostri occhi, almeno secondo il punto di vista di chi non ha il problema di dover portare un’accusa in tribunale, che questa gente qua i soldi li ha fatti in maniera non legale, delinquendo stabilmente.

Ma, ripetiamo, è il nostro punto di vista.

 

QUI SOTTO GLI STRALCI DELL’ORDINANZA