UN BOSS DA CINE-PANETTONE. Tra Christian De Sica e Ivano di Verdone: i Grand Hotel, Ibiza, i tappeti rossi del Casinò di Montecarlo e i soldi a strozzo sulle postepay

9 Giugno 2020 - 15:04

CASERTA – Tra Christian De Sica e Ivano, coatto emblematico declinato da Verdone in diversi suoi film in coppia con la Gerini coatta al femminile con nome Gessica. Leggendo l’ordinanza che lo riguarda, siamo anche un pò sollevati perchè non è la solita roba pallosa con intercettazioni smozzicate, linguaggi in codice e tanta circospezione. Michele Maravita è un estroverso e nel momento in cui dice ai suoi figli di non chiamarlo papà e a sua moglie di fingere di essere l’amante al cospetto della capitaneria di porto, entra dritto, di filato in un cine panettone.

Uno come lui l’ottimo Auro De Laurentiis non se lo farebbe sfuggire, qualora venisse a conoscenza delle sue azioni. Non sappiamo poi come Maravita si vesta quando entra nello scintillante, rutilante salone del Casinò di Montecarlo. Ivano, al secolo Carlo Verdone, avrebbe sicuramente indossato i suoi celeberrimi infradito. Magari Michele Maravita si vestiva normalmente ma quel che contava era la sua disponibilità finanziaria. E siccome i casinò di tutto il mondo sono la rappresentazione viva del fatto che il riciclaggio del danaro sporco non è consentito ai privati e ai comuni mortali, mentre quando lo fanno gli stati si può fare, ecco che nessuno, nel Principato, si occupava del modo in cui si erano riempiti i conti correnti a cui facevano riferimento le carte di credito del Maravita.

Dallo stralcio dell’ordinanza di oggi, emerge che il casinò monegasco gli praticava uno scoperto fino a 14mila euro per giocare ai dadi, dove, regolarmente, Maravita le buscava.

Dalla barca di 18 metri all’Audi S3 con cui l’aspirante boss scorazzava tra Valle di Maddaloni, Caserta e Napoli. Va aggiunto, sempre stando a quello che si legge nell’ordinanza, nei ritagli di tempo tra un viaggio e l’altro, tra una vacanza e lo svago successivo.

Diciamo che Michele Maravita come camorrista non è stato uno stakanovista. L’11 luglio 2017 racconta id una settimana trascorsa ad Ibiza, costatagli 20mila euro. Tornato, si arrabbia perchè un certo Danilo non paga ad Agostino, che dovrebbe essere Agostino Vergone, anche lui arrestato dai carabinieri una settimana fa, le rate per i prestiti a usura che lui gli ha fatto. E qui si apre un altro spaccato dell’attività criminale che Maravita svolgeva rappresentando il nome storico del gruppo Della Ventura del clan Belforte. Secondo gli inquirenti, attraverso dei prestanome, controllava diversi centri scommesse e prestava i soldi per giocare, facendoseli poi restituire a tassi ampiamente “strozzati”.

Questo Danilo intasca i quattrini quando vince, ma quando perde, scompare. Dovrebbe pagare una rata da 300 euro ma in realtà sin dall’inizio ne ha pagati 150 e successivamente non ha dato più notizie di sè. Il sistema dell’usura si basava su un particolare canale di circolazione del danaro: chi aveva ricevuto un prestito da Maravita restituiva i soldi tramite le ricariche postepay. E’ chiaro che i conti a cui Maravita poteva accedere si gonfiavano esponenzialmente e gli permettevano di staccare assegni importanti, come quello da 50mila euro in quel di Montecarlo, di cui 20mila li giocava al casinò e altri 30mila, dopo essere stati trasformati in moneta contante, dunque riciclati a tutti gli effetti, li portava a casa in quel di Caserta.

Ciò che succedeva a Montecarlo, nell’albergo da 2.200 euro a notte che non dovrebbe chiamarsi Freemont, com’è scritto nell’ordinanza, bensì Fairmont, e all’interno delle stanze che contano nel casinò, è facilmente immaginabile, dato che Maravita dimostra di essere molto radicato e dimostra di avere conoscenze anche con personaggi non casertani, partendo da un tal “Roberto dal chiaro accento nordico.

 

QUI SOTTO GLI STRALCI DELL’ORDINANZA