20 ANNI FA L’INCENDIO DELLA REGGIA. L’allarme e tutti i momenti salienti rivissuti secondo per secondo

4 Novembre 2018 - 14:45

CASERTA – (Pasman / Prima Parte) Nella giornata di oggi di vent’anni fa, il 4 novembre 1998, si verificò l’evento che avrebbe potuto segnare il destino di Caserta, trasformandola da città a buon motivo “anonima” a città sconosciuta, privandola del monumento che la connota nel mondo: l’incendio della Reggia.

La quale fortunatamente per tutta la cultura e per i casertani scampò alla distruzione, diversamente da come pure era accaduto, in quegli stessi anno ‘90, alla cappella della Sacra Sindone nel duomo torinese, al teatro La Fenice di Venezia, al Petruzzelli di Bari.

Nella ricorrenza ventennale dell’avvenimento non potevamo non ricordarne i fatti, i momenti salienti ed i protagonisti, ricostruiti dalle cronache dell’epoca e dalle testimonianze che abbiamo potuto acquisire.

IL PRIMO ALLARME – Erano tra le 18.30 e le 18.45 di quel mercoledì quando iniziarono ad arrivare al centralino dei Vigili del Fuoco le prime telefonate di allarme. Alcuni passanti segnalavano di aver notato una colonna di fumo nero uscire da una delle finestre dell’ultimo piano del lato nord-est del Palazzo Reale, quello che guarda verso la Flora, adibito a camerate degli allievi della scuola aeronautica ospitata nella struttura. Chiamavano nel contempo i militari stessi che erano in servizio di piantone nei locali, avvertendo di un principio di incendio scoccato in qualche punto imprecisato, ma che si stava propagando rapidamente. E quando il fumo si trasformava in lingue di fuoco visibili da ogni quartiere della città, la sala operativa era subissata di chiamate di cittadini, spaventati ed in apprensione per quello che stava accadendo, le cui conseguenze erano immediatamente intuibili da ognuno.

QUANDO BILL E HILLARY SI ABBRACCIAVANO… – Va ricordato che la Reggia, in quegli anni, dopo il G7 del 1994, quando le immagini del presidente statunitense Bill Clinton e della moglie Hillary abbracciati romanticamente davanti ad una scintillante Fontana di Diana ed Atteone aveva fatto il giro del mondo, era in uno stato di grazia particolare, in un crescendo di visitatori che proprio in quell’anno, A.F., 1998 (ci sia concessa la battuta: intendi A.F. come Avanti Felicori) erano arrivati ad un milione e duecentomila.

La sala regia dei pompieri, senza perdere tempo, inviava tutte le squadre antincendio disponibili, che in pochi minuti arrivavano sul posto, data anche la vicinanza del monumento alla caserma, ubicata allora a qualche centinaia di metri di distanza sulla via Appia, nel tratto di viale Giulio Douhet.

LA BATTAGLIA DEI VIGILI DEL FUOCO – Uno dei vigili intervenuti e che abbiamo incontrato, ma che non desidera essere citato, ci racconta che fu immediatamente impiegata una squadra operativa composta di dieci uomini, con un’autopompa capace di 4.000 litri di acqua e munita di scala da 27 metri ed un’autobotte da 8.000 litri. L’unità, giunta sul sito, individuata la zona della combustione e compreso che l’autoscala in dotazione non era lunga abbastanza per un intervento dall’esterno attraverso le finestre, prendeva la decisione più rischiosa, ma che si rivelò risolutiva. Con emozione il vigile ricorda come, dopo aver richiesto via radio l’invio di rinforzi e dell’autoscala speciale lunga 50 metri in dotazione in Italia al solo reparto di Napoli, oltre a quelli di Milano e Bologna, la squadra si risolse ad arrivare all’ultimo piano, a piedi, attraverso le scale interne. Indossato lo speciale giubbotto antifiamme Nomex, ed equipaggiati di respiratore, di elmetto, di guanti protettivi e cinturone, che davano non poco peso, il gruppo, dopo che uno dei custodi del monumento apriva la porta e forniva le indicazioni di massima sui luoghi, affrontava, attraverso le centinaia di scalini, la faticosa salita verso le camerate.

UN INFERNO DI FUOCO E DI FUMO – Sbucato sul ballatoio e nel lungo corridoio di ingresso veniva investito dal denso fumo già tossico – il più insidioso, in questi casi, a detta degli esperti – e dal calore del fuoco. Con collaudata tecnica operativa e con il coraggio che nessuno può insegnare, gli uomini si suddividevano tra i diversi e labirintici vani per individuare il focolaio dell’incendio ed i punti della propagazione, la quale avveniva attraverso le antiche travi delle capriate del tetto di legno già avvampate.

Nel frattempo una condotta di manichette, le tubazioni flessibili utilizzate per trasportare acqua o miscela d’acqua nei dispositivi idraulici antincendio, veniva allestita e portata dalla quota del cortile alla sommità del monumento. Ed a quel punto iniziava l’opera di spegnimento delle fiamme, che dopo almeno tre ore di febbrile attività venivano estinte.

In questa fase la squadra operante riceveva man forte dai rinforzi inviati sul posto e che frattanto giungevano dai distaccamenti provinciali e da tutta la regione, compreso il reparto di Napoli con la speciale autoscala-ascensore di 50 metri di estensione e grazie alla quale si poté operare anche dall’esterno del palazzo. Al termine dell’intervento si stimò che vi avevano partecipato non meno di 150 vigili del fuoco, che venivano diretti dal comandante del corpo di Caserta dell’epoca l’ingegnere Mario Scarani, che in prima persona aveva operato sul campo ed esortato i suoi uomini a fare di tutto per la salvezza del monumento, sebbene il rischio personale fosse incombente. Le cronache riportano come egli, allorché iniziava a arrampicarsi sull’autoscala e uno dei suoi vigili gli si raccomandava perchè non si esponesse troppo, lo rassicurasse e lo incoraggiasse a tener duro.

LA MOBILITAZIONE GENERALE – Inutile dire che l’allarme mobilitò tutte le forze dell’ordine e di polizia provinciali: carabinieri, polizia, guardia di finanza, vigili urbani del capoluogo e gli stessi custodi della dimora reale con la protezione civile cittadina. Il questore in carica, Domenico Masi, che si era portato subito alla Reggia assieme al prefetto, il romano Goffredo Sottile, salito al piano dell’incendio attraverso le scale interne per sincerarsi della situazione, coordinò dal posto le attività di polizia. Oltre a richiedere l’intervento di un elicottero della polizia di stato del reparto volo di Napoli per la ricognizione dall’alto degli avvenimenti e per l’orientamento delle attività di soccorso e a disporre i servizi di sicurezza per la prevenzione di possibili furti e sottrazioni, fece rapidamente intervenire le unità della polizia scientifica per i rilievi di indagine sulle cause dell’accaduto.

IL RUOLO DEL QUESTORE MASI E L’IRRICONOSCENZA… – E doveroso, qui, un inciso sulla figura del questore Masi che, sebbene sia stato tra i migliori questori che abbia mai annoverato la nostra provincia e nonostante i suoi notevoli risultati conseguiti nel contrasto della camorra e dei crimini di strada, che riuscì a ridurre significativamente, lasciò l’incarico – si ricorderà – da insalutato ospite. Scontò, da un lato, la sorda opposizione dei sindacati interni di polizia, restii a conformarsi alla riorganizzazione degli uffici da lui concepita ed improntata ad una maggiore efficienza. Furono proverbiali all’epoca, in questo senso, il fatto che Masi nel cuore della notte verificasse via radio l’effettività dei servizi di controllo del territorio in svolgimento e che in alcuni uffici fosse invalsa tra alcuni poliziotti in malafede una sorta di assenze per malattie a staffetta.

E scontò, dall’altro lato, il contrasto con certa stampa locale, abituata a confidenze eccessive e che non si ritenne omaggiata come prima. Non appena avvenne l’infortunio – dovuto a solo eccesso di zelo conoscendo i sentimenti veri dell’uomo – consistito nell’aver realizzato quella che fu presentata come una cella, ma che era una delle comuni camere di sicurezza come esistono tuttora in tutti gli uffici di polizia, per il trattenimento degli stranieri clandestini, si scatenò un putiferio gratuito. Mentre alcune foto di quella che venne definita una gabbia, scattate da mani interne, vennero fatte trapelare all’esterno, iniziarono le bordate dei giornali ideologicamente orientati che discettavano del tutto infondatamente di razzismo e segregazione. L’unica eccezione fu quella rappresentata da Carlo Desgro, tra i più eminenti giornalisti casertani, responsabile nel tempo di molte testate giornalistiche della provincia ed attuale direttore de Il giornale di Caserta.info, che difese l’operato di Masi, comprendendone, come era facile a chi le voleva vedere, le ragioni.

Nel suo racconto, ad un certo punto, il vigile che abbiamo intervistato ci dice con evidente orgoglio che non potrà mai dimenticare come tutti gli effettivi liberi dal servizio del reparto di Caserta, a mano a mano che la notizia dell’incendio si diffondeva in città, d’iniziativa, spontaneamente e senza attendere di essere convocati si presentassero in caserma per essere impiegati secondo le necessità, dando prova di un ammirevole spirito di servizio.

Intanto si precipitavano alla Reggia anche il sindaco Luigi Falco, proveniente dal Belvedere di San Leucio dove si trovava per un incontro istituzionale. Arrivò anche l’assessore comunale ai beni culturali Iolanda Capriglione. Il soprintendente Livio Ricciardi, che risiedeva a Napoli, freneticamente ricercato al telefono, riescì ad arrivare a Caserta solo dopo tre ore, lasciando tutti sconcertati con il suo infelice commento: “Che fretta c’era di arrivare, toccava ai vigili del fuoco accorrere subito”.