“L’arte della bacchetta”, vero copyright dei Casalesi. Ecco come Nicola Schiavone monaciello prosciugò la vedova del suo partner di Tecnosystem. 4 appalti da 32 MILIONI DI EURO

22 Luglio 2022 - 13:43

A riscontro delle dichiarazioni rilasciate dall’imprenditore, nel 2019 detenuto, Nunzio Colantuono, intervengono altri contenuti, frutto di due interrogatori, svoltosi a 48 di distanza dalle perquisizioni, di Wanda Talamas, moglie del defunto Gennaro Petrone, partner dei fratelli di Casal di Principe, e di Ciro Ferone, un imprenditore ancora più grosso, la cui famiglia ha “fatto  i soldi con la pala”, sin dagli anni 80, sin dai tempi di Ferrovie dello Stato

 

CASAL DI PRINCIPE  –  (Gianluigi Guarino) L’interrogatorio volontario che Nunzio Colantuono, detenuto al carcere di Benevento, chiede di sostenere, in modo da poter raccontare nel dettaglio tutto quello che sa sulla vita e sulle opere del re degli appalti Nicola Schiavone e su suo fratello Vincenzo (CLIKKA E LEGGI), viene valorizzato da riscontri di indubbia concretezza. I carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Caserta hanno trovato tracce soprattutto nelle consistenti banche digitali delle visure camerali.

Per cui, è effettivamente esistita,  così come ha raccontato Nunzio Colantuono, dal 1990 fino al 2015, la ETR srl, amministratrice unica Claudia Colantuono, sorella di Nunzio Colantuono. Questi, come capitava spesso in un sistema consolidato e finalizzato al raggiro fiscale, è risultato essere per certi periodi un dipendente della ETR quando in realtà ne era l’effettivo titolare.

Insomma, è esistita un’impresa di Nunzio Colantuono con un oggetto sociale che l’abilitava pienamente a svolgere lavori nel settore degli impianti elettrici, evidentemente in grado di garantire un know-how, che, sempre Nunzio Colantuono ha cercato di sfruttare, quando i due fratelli Schiavone hanno mascherato, con l’uso del solito strumento dell’intestazione fittizia, quello che si configurava come il terzo subappalto di talune operazioni, a partire dal progetto Socrate, che Telecom aveva, per l’appunto, subappaltato alla sua consociata Site (CLIKKA E LEGGI).

In effetti, nel caso di specie, non si può parlare di intestazione fittizia, così come la si considera nel suo significato giuridico-letterale. Il rapporto, instaurato dagli schiavone con Colantuono, è un pò più articolato. Diciamo che Colantuono svolge lavori fittiziamente, visto che li avrebbe dovuti svolgere la TEC o uno dei soggetti giuridici controllati dagli Schiavone i quali ne avevano ricevuto il titolo, che a sua volta esercitavano fittiziamente, grazie alle varie teste di legno, Caldieri, Caporaso e compagnia.

In realtà non li realizzavano direttamente gli Schiavone, così come era stato formalmente comunicato allo Stato italiano, ma venivano subappaltati, illegalmente e segretamente alla ditta di Nunzio Colatuono. Ma questa, cioè la ETR, non compariva direttamente in quello che di fatto era, come già scritto prima, una sorta di sub sub sub appalto. Colantuono, insieme al suo dipendente Tiziano Giuliano sostituiva ad esempio migliaia di contatori elettrici in quanto ufficialmente dipendente della TEC srl, che poi in questo tourbillon di assunzioni si finisce per non capirci più nulla, visto che fittiziamente, sempre Colantuono, come lui stesso ammette, era stato o era ancora, chissà, dipendente della ETR, di cui era invece il vero titolare e al cui comando “di legno” aveva messo la sorella Claudia.

Come siano andate a finire, per le tasche del Colantuono, queste operazioni, lo si capisce proprio dalla decisione di quest’ultimo, di chiedere un interrogatorio nel momento in cui ha saputo, in carcere, all’inizio di aprile 2019, della perquisizioni a carico dei due fratelli Nicola e Vincenzo Schiavone. Dei 60mila euro che, sempre Colantuono, avrebbe dovuto intascare per circa 3.000 contatori sostituiti, a malapena ne ha presi un decimo, sottoforma di stipendio da lavoratore dipendente.

Al di là della scalata economica e poi sociale di Nicola Schiavone, sempre elegantissimo, con abiti di altissima fattura, uno che ha speso decine e decine di migliaia di euro, se non centinaia di migliaia di euro per concedersi ogni lusso che desiderava, rimaneva in lui e, ancor di più nel sempre taciturno fratello Vincenzo, una caratteristica tipica della camorra del clan dei casalesi e dell’imprenditoria a questa legata: la durezza nei rapporti con i partner commerciali e soprattutto il vero e proprio stilema territoriale: la bacchetta, il raggiro da sempre struttura di molte azioni criminali , compiute da Sandokan e da tutti gli affiliati, anche quando si è trattato di realizzare omicidi, a partire da quello di Antonio Bardellino, – il cui corpo, peraltro, non è stato mai ritrovato -, fondato proprio su una bacchetta, su una narrazione propinata costantemente nel tempo a Mario Iovine, in modo da trasformare il suo odio crescente nei confronti del super boss riparato in Brasile, in coraggio assassino che gli consente di entrare in casa di Bardellino e di ucciderlo probabilmente con una roncola.

Nicola e Vincenzo Schiavone, come si suol dire, non fanno prigionieri: fregano Nunzio Colantuono e successivamente non si fanno intenerire dallo stato di debolezza di Wanda Talamas, quando questa perde suo marito Gennaro Petrone, morto nel 2004, lasciando alla sua consorte la patata bollentissima della gestione di Tecnosystem, partecipata anche dagli Schiavone, in un groviglio di complesse operazioni che mettono insieme presunte partnership con le varie Sinergy, GSC eccetera, con la presenza in Tecnosystem di soggetti comunque riconducibili ai fratelli di Casal di Principe.

Sia Nicola che Vincenzo Schiavone si recano a far visita di condoglianze alla donna e naturalmente “si mettono a disposizione“. In realtà, racconta agli inquirenti Wanda Talamas, ascoltata il 5 aprile 2019, a 48 ore dalle  ormai ipercitate perquisizioni, il loro unico obiettivo è di prosciugare Tecnosystem, il patrimonio di rapporti, le entrature, del fu Gennaro Petrone eccetera. La vedova se ne accorge e ad un certo punto acquista, con la società Vicla Future, un ramo di azienda della Tecnosystem in modo da liberarsi definitivamente dalla tutela degli Schiavone che, in Tecnosystem, come abbiamo appena scritto, avevano i propri uomini, a partire dallo sparanisano Giovanni Fiocco.

Diverso, anche se non sempre idilliaco, il rapporto, sviluppato ad un livello molto più alto rispetto a quello con la Tecnosystem, con Ciro Ferone poi a sua volta indagato dalla Dda. Questi racconta, sempre il 5 aprile, della complessità dei rapporti della sua azienda, la Ferone Pietro & C srl, inserita nei meccanismi degli appalti delle ferrovie dello stato sin dagli anni 80, quindi da molto prima che in queste partite entrassero i fratelli Schiavone.

In questo caso, si è trattato di rapporti di vera partnership, dato che il salto di qualità dei due germani di Casal di Principe, è consistito, a un certo punto della oro parabola criminal-imprenditoriale, nell’ affiancare il tradizionale esercizio dei subappalti acquisiti dalle loro società dalle benevoli mani delle grandi aziende di stato, con una partecipazione diretta alle gare che avendo una significativa complessità, dovevano essere riscontrate attraverso associazioni temporanee di imprese, nelle quali, ogni partecipante inseriva un suo requisito, una sua classe di abilitazione a un tipo di opera.

Ferone ad esempio era specializzato in impianti di segnalazione, cura della vegetazione e opere civili. Diverse le esperienze in comune tra le società degli Schiavone, soprattutto TEC srl con la Ferone Pietro & C. srl. Ma sono soprattutto due i lavori che connotano la partnership tra Nicola Schiavone monaciello di Casal di Principe, e Ciro Ferone, figlio dell’appena citato in ditta, Pietro Ferone, fondatore di questa azienda e a sua volta indagato negli anni 90 in relazione ad un’inchiesta che poi, diciamocela tutta, finì a tarallucci e vino con un’assoluzione corale degli imputati tra cui c’erano anche altri genitori di personaggi indagati in questa inchiesta di 30 anni dopo.

Questo riferimento storico lo facciamo non a caso, perchè nei prossimi giorni torneremo su quello che noi riteniamo uno dei punti cruciali contenuto nell’ordinanza sugli appalti di Schiavone con Telecom, Enel e RFI: la riunione, tenuta a Napoli, nel gennaio del 2019, in cui, clamorosamente, Nicola Schiavone discute con i suoi interlocutori, soprattutto con l’altro imprenditore “alleato”  Crescenzo De Vito, proprio dell’inchiesta della Dda, cioè dell’inchiesta di cui ci stiamo occupando a partire dal 3 maggio scorso, di cui Schiavone è riuscito, evidentemente grazie ad una talpa, evidentemente grazie ad  uno o più dipendenti infedeli dello Stato, a conoscere, addirittura, i dettagli, finanche il numero di iscrizione nel registro generale delle notizie di reato, pure il nome del pubblico ministero che stava procedendo allora e sta ancora oggi procedendo. Nicola Schiavone era riuscito pure a conoscere quale settore della polizia giudiziaria, cioè i carabinieri del Nucleo investigativo del comando provinciale di Caserta, stesse procedendo.

La stesura del nostro primo articolo in proposito, pubblicato domenica 17 luglio, non ha tenuto conto di una mezza frasetta, proprio una cosa velocissima che Nicola Schiavone monaciello buttò lì – stiamo parlando sempre della riunione del gennaio 2019 -, a commento dell’indagine della Dda e dei carabinieri di Caserta, che lo vedono come principale protagonista. Siccome a noi piace approfondire gli atti giudiziari fino al midollo, ora abbiamo capito che quelle 7, 8 sillabe pronunciate dal pupillo di Sandokan, hanno rappresentato, forse, la cosa più importante di quella conversazione.

Per cui, invitandovi a seguire le nostre prossime puntate, quando sveleremo e commenteremo la frase, mai come in questo caso, incriminata, torniamo al connubio tra monaciello e Ciro Ferone, entrando nel vivo dei contenuti dell’interrogatorio di quest’ultimo e occupandoci allora dei due fondamentali lavori che li vedono impegnati all’interno di un’associazione temporanea di imprese. Due affidamenti riguardanti impianti di segnalamento. Il primo, a Caserta, dell’importo di tre milioni di euro – questa è la cifra di cui Ferone parla nel suo interrogatorio del 5 aprile 201 -, il secondo, in Umbria, in quel di Foligno, per una cifra che sempre Ferone quantifica in un milione di euro.

Nel giorno in cui viene interrogato, stiamo parlando sempre del 5 aprile 2019, a 48 ore di distanza dalle perquisizioni realizzate nelle case e negli uffici dei vari Nicola Schiavone, Vincenzo Schiavone, dei familiari di questi, di Leo Caldieri, di Luca Caporsaso, di Claudio Puocci e compagnia, Ciro Ferone rivela anche che lui e Nicola Schiavone senior, sempre in Ati, impegnando la TEC srl e la Ferone Pietro & C. srl, avevano conquistato altri due appalti, sempre per lavori nella zona di Caserta e nella zona di Foligno, ma stavolta molto più lucrosi.

Probabilmente, di questi appalti, non se n’è fatto più nulla, visto che si stavano sviluppando live proprio nelle settimane in cui il caso giudiziario era esploso. Altro che 3 milioni di euro, altro che un milione di euro. In quell’occasione, in ballo c’erano ben 38 milioni di euro, 14 milioni di euro per gli interventi da effettuare in zona Caserta e altrettanti per quelli da realizzare ancora in zona Foligno, che poi, quando concluderemo il nostro lavoro su questa ordinanza, ci piacerà fare una somma di tutto quello che Nicola Schiavone detto monaciello, nato imprenditorialmente insieme a Francesco Schiavone Sandokan, ha guadagnato grazie ad uno Stato, quello italiano,permeabile, permeabilissimo, nei suoi poteri forti, quasi sempre corrotti e disposti ad ogni compromesso pur di assecondare e di sviluppare, spesso in cifra esponenziale, le proprie carriere, anche e soprattutto all’interno delle istituzioni.

Nella partita di questi due appalti da 14 milioni cadauno, la quota di TEC srl, cioè di Nicola Schiavone era pari complessivamente a 6 milioni di euro, 3 milioni per ognuno dei due cantieri. Le dichiarazioni successive rilasciate da Ferone, ispirano un nostro pensiero. Lui dava per scontato che fosse Nicola Schiavone il capo della TEC e aggiunge che parlava indifferentemente con lui, ma anche con Leo Caldieri, sulla carta amministratore di questa azienda e uomo di fiducia dello Schiavone in quanto tecnicamente preparatissimo, esperto nel settore.

A Ferone risulta che Nicola Schiavone sia un consulente di TEC ed è chiaro che, dunque, i due non ne abbiano mai parlato e che, di conseguenza, la precisazione, la messa a conoscenza di Ferone del ruolo ufficiale svolto da Nicola Schiavone in TEC, non da consulente, bensì da direttore generale, rappresentavano fattori assolutamente irrilevanti, di fronte a una situazione di fatto, tanto chiara da non necessitare di ulteriori assorbimenti cognitivi.

Dal racconto di Ferone, noi comprendiamo, di conseguenza, che in realtà Nicola Schiavone fosse il dominus, il vero amministratore unico di TEC srl; e si capisce pure che Leo Caldieri fosse il vero direttore generale. I due, realizzando l’antica pratica criminale dei prestanome, delle teste di legno, delle intestazioni fittizie, si configuravano davanti allo stato italiano in una condizione giuridica che invertiva geometricamente le loro funzioni.

 

QUI SOTTO GLI STRALCI DELL’ORDINANZA