AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE. Ecco perché vanno sciolti gli organi, tornando al voto entro i 90 (non 30) giorni successivi. Ci siamo anche stufati di ripeterlo
3 Dicembre 2024 - 14:13
Naturalmente, un articolo del genere non lo puoi scrivere in sette, otto righe perché il diritto amministrativo è una roba molto seria, soprattutto in una legislazione come quella italiana, afflitta da ipertrofia, carenze, buchi e chi più ne ha, più ne metta
CASERTA (gianluigi guarino) – Riaffrontiamo, dopo qualche settimana, la questione relativa alle prospettive relative all’amministrazione provinciale di Caserta dopo le dimissioni divenute esecutive e realmente irrevocabili di Giorgio Magliocca.
Quando si entra nei meandri della legislazione nazionale e regionale, si rischia di deragliare perché la sua ipertrofia avrebbe reso complicata la comprensione anche a Socrate e ad Immanuel Kant, essendo grandi filosofi abituati a mettere insieme i pensieri fino a creare ragionamenti lunghissimi e spesso complicati.
Si chiama gerarchia delle fonti ed è un concetto – stavolta sì – sufficientemente semplice e comprensibili. Le leggi non sono tutte uguali relativamente alla loro entrata in vigore. Ci sono leggi di rango più alto, giusto per fare un esempio, una legge costituzionale, approvata ai sensi dell’articolo 138 della nostra Magna
E questo vale anche per una legge regionale che a sua volta non può andare in contrapposizione, in distonia con una legge ordinaria dello Stato, anche se in questo caso ci sono molte discussioni di tipo costituzionale sulle competenze che le legislazioni, nazionali e regionali, hanno rispetto a molteplici materie che la Costituzione prevede, ma di cui non è sempre facile delimitare il perimetro, con la necessità di un nuovo intervento della Consulta per dipanare i conflitti di competenza.
Men che meno uno statuto di un ente locale, un regolamento possono essere distonici rispetto ad una legge regionale o nazionale. Se lo sono, diventano carta straccia, alla fine di un procedimento più rapido e semplice di quello che connota un conflitto tra leggi nazionali o regionali.
IL DELIRIO E LA DELRIO: L’OTTIMISMO DI RENZI NEL 2014
Ci siamo chiariti? Ora andiamo avanti.
Nel 2014 Matteo Renzi, che poteva essere davvero una grande risorsa per la politica italiana, se non fosse impazzito, colpito come fu da un delirio di onnipotenza varò, per l’appunto, follemente, una legge denominata Delrio, dal nome del ministro amico suo che la battezzò, la quale metteva il proverbiale carro davanti ai buoi.
In poche parole, il fiorentino, che non sapeva evidentemente quale logica stringente e ineccepibile c’era nel famoso detto trapattoniano “non dire gatto se non ce l’hai nel sacco“, riformò radicalmente l’ordinamento, ma anche le funzioni e le competenze delle amministrazioni provinciali italiane prima di portare a casa l’esito del referendum che lui riteneva di vincere sicuramente e che, invece, perse nel dicembre del 2016, riuscendo nell’impresa di mettere insieme destra e sinistra perché, diciamocela tutta, molta parte del partito che dirigeva da segretario nazionale, ossia il PD, votò contro in quel referendum proprio per toglierselo dalle scatole. Bersani, D’Alema, tutta l’ala di quella sinistra, ma non solo.
Ma quell’esito creò uno dei mostriciattoli più brutti della legislazione italiana vigente.
Mentre la Delrio aveva riformato totalmente le province, queste, per l’esito del referendum del dicembre 2016, rimanevano solidamente previste dalla Costituzione e non abolite, come voleva Matteo Renzi.
Nella sua smania esibizionistica, l’allora premier inserì senza un perché queste norme che avrebbero poi dovute essere totalmente abolite con l’inevitabile cancellazione della legge.
In un Paese serio, già nel gennaio 2017 il successore di Matteo Renzi, ossia Paolo Gentiloni, avrebbe dovuto fare una telefonata al presidente Mattarella, concordando con lui una cosa molto semplice: esistendo la legge Delrio come augurio ottimistico dell’esito del referendum, poi bocciato, questa dev’essere necessariamente abolita per tornare al sistema esistente prima del suo varo. Ciò semplicemente perché gli elettori, bocciando le riforme costituzionali, avevano bocciato anche quella dell’abolizione dell province, rivendicando, dunque, la titolarità di elettorato attivo, esplicitato attraverso il suffragio universale.
LE DIMISSIONI CHE MANCANO NELLA LEGGE DELRIO, MA IL TUEL “PARLA” CHIARO
E invece no. Siamo arrivati al 2024, sono passati otto anni dalla bocciatura del referendum e tutti i pelandroni che si sono avvicendati al governo del Paese da allora ad oggi e negli scranni parlamentari hanno mantenuto in vita il mostriciattolo, in una sorta di sadismo, oppure di lassismo che la dice tutta sulla qualità e sulla serietà della classe dirigente che riempie, si fa per dire, con i suoi orrendi deretani, le maggiori istituzioni italiane.
Così stiamo qui ancora una volta a cercare di capire cosa deve succedere alla Provincia di Caserta dopo le dimissioni di Magliocca.
Dicevamo, gerarchia delle fonti. Il Testo unico sugli enti locali, con decreto legislativo 141 del 2001, è una legge scritta dal governo su delega del parlamento e appartiene, dunque, al novero delle leggi ordinarie. La legge Delrio, numero 56 del 7 aprile 2014, è stata direttamente approvata da Camera e Senato e, dunque, al pari del decreto legislativo denominato Tuel, è una legge ordinaria.
Ora, se leggete la Delrio come noi facemmo già nel 2014, vi viene (non ce ne frega un tubo se l’espressione è forte) proprio di sputarci sopra. Pensate un po’ che il suo testo è talmente raffazzonato da non contenere neppure la consueta formula-tipo: “in modifica all’articolo ics del Tuel…”.
Questa scrittura lunare finisce per creare un costante cortocircuito nel rapporto tra due leggi vigenti. La più recente è la Delrio e dunque si fa riferimento a questo per comprendere bene ordinamento e procedure dell’amministrazione provinciale.
È una legge illegale, costituzionalmente illegale, visto che è in contrasto con le conseguenze legislative dell’articolo 114 della Costituzione, peraltro frutto della riforma del Titolo V della carta fondamentale.
Si dirà, anche le regioni furono previste nella Costituzione, ma furono attivate solo nel 1970 e, sulla legge elettorale prevista, è stata data una certa autonomia ad ognuna di esse.
Ma questo non c’entra niente perché modificare un aspetto cardinale, abolendo il suffragio universale e sostituendolo con quello riservato solamente ai consiglieri comunali della provincia, va a stravolgere l’impianto stesso, la ragion d’essere delle province quale organismo dello Stato.
Le leggi elettorali regionali si sono modificate, ognuna delle regioni le ha un po’ adattate alle proprie necessità, ma nessuno si è sognato per le regioni e i comuni di mettere in discussione il suffragio universale.
Dicevamo, legge ordinaria è il Tuel e legge ordinaria è la Delrio, la quale, essendo stata costruita con un maxi emendamento dal governo, ha una struttura simile alle leggi finanziarie, oggi leggi di bilancio. Ossia, un articolo e un numero infinito di commi.
Leggiamone uno, esattamente il numero 79, lettera B: “In sede di prima applicazione della presente legge, l’elezione del presidente della provincia e del consiglio provinciale ai sensi dei commi da 58 a 78 è indetta e si svolge: […] entro novanta giorni dalla scadenza per fine del mandato ovvero dalla decadenza o scioglimento anticipato degli organi provinciali.”
Direbbero i francesi, attention. Questa schifezza di legge, quindi, prevede l’ipotesi di scioglimento anticipato degli organi e dunque del presidente e del consiglio provinciale. Ovviamente, tu la puoi girare e setacciare per intero e non troverai mai un articolo che per intero spieghi le cause di scioglimento.
Ora, siccome queste sono trattate molto seriamente dal decreto legislativo 267 del primo agosto 2000, o Tuel, che dir si voglia, non puoi non andare dentro a questa legge per trovare le cause di scioglimento degli organi di un amministrazione provinciale. Li rintracci all’articolo 141, comma 1 che così recita:
“I consigli comunali e provinciali vengono sciolti con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro
dell’interno: a) quando compiano atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge, nonché per gravi motivi di ordine pubblico; b) quando non possa essere assicurato il normale funzionamento degli organi e dei servizi per le seguenti cause: 1) impedimento permanente, rimozione, decadenza, decesso del sindaco o del presidente della provincia; 2) dimissioni del sindaco o del presidente della provincia“.
L’INUTILE ARTICOLO DELLO STATUTO DELLA PROVINCIA DI CASERTA
Nella legge Delrio non esista un comma dell’unico articolo che la esprima il quale, in riforma dell’articolo dell’articolo 141 comma 1, lettere a e b, afferma che “okay, quelle sono cause di scioglimento, ma in questa legge di riforma noi sottraiamo alle stesse le dimissioni del presidente della provincia che non sono più cause di scioglimento del consiglio, il quale potrà rimanere in carica fino alla sua scadenza naturale, a meno che non incappi in altre cause, ossia infiltrazioni criminale, eccetera”.
No. Non c’è nella Delrio ed è per questo che da un mese affermiamo che le dimissioni del presidente della provincia implicano lo scioglimento del consiglio provinciale, ma senza alcun commissariamento, fattispecie prevista per la causa di cui al comma uno, lettera c, ovvero quando non sia approvato nei termini il bilancio.
Ritornando alla legge più recente della Delrio, le elezioni dovranno esserci entro 90 giorni dallo scioglimento degli organi provinciali che ricorre, come abbiamo detto, nel caso di Caserta.
La punta più avanzata relativa alle procedure legate alle dimissioni del presidente è lo Statuto provinciale che, ripetiamo, mai può essere in difformità alle leggi ordinarie dello Stato.
Lo Statuto, all’articolo 20, comma tre, così recita: “L’elezione del Presidente della Provincia è indetta e si svolge entro trenta giorni dalla scadenza per fine del mandato, ovvero dalla decadenza o dallo scioglimento anticipato degli organi provinciali“.
Quindi, esiste una riforma temporale. Non novanta giorni, bensì trenta. Secondo noi, questo articolo 20 comma tre non serve a nulla, visto che nella legge Delrio non vengono demandati agli statuti provinciali i tempi di ritorno alle urne. Non viene scritto “90 giorni, salvo previsioni differenti di statuti e regolamenti”. Viene scritto 90 giorni e basta.
Ora, al ministero degli Interni ci hanno già abituati a pareri raffazzonati e sbagliati, così come in prima battuta avvenne, dopo l’arresto dell’allora presidente provinciale Angelo Di Costanzo e del suo vice, Pasquale De Lucia. Dal Viminale un tal Luigi Naddeo se ne uscì con una cervellotica interpretazione del Tuel e della Delrio secondo cui la consigliera anziana che avrebbe dovuto portare alle elezioni la Provincia era Raffaella Zagaria, divenuta dipendente dell’ufficio legale dell’ente.
Noi facemmo ferro e fuoco e dimostrammo che, forse, questo funzionario si era fatto un “bicchierotto”. Dopo pochi giorni il ministero fece un passo indietro e riconobbe ad Silvio Lavornia, consigliere provinciale e sindaco di Dragoni, recentemente deceduto, la nomina di consigliere anziano.
Quindi, non è affatto detto che questo ragionamento da noi formulato possa essere smentito da un parere del Viminale che, però, saremmo curiosi di leggere, per fare, a qualche anno di distanza, una sorta di “Luigi Naddeo – Parte II”.
Concludiamo dicendo che il punto di discrimine di questa vicenda è rappresentato solo e solamente dall’esistenza o meno nella legge Delrio di un articolo che riclassifica le cause di scioglimento degli organi delle province, rimuovendo quella legata alle dimissioni del presidente, così come è stabilita testualmente dall’articolo 141, comma 1, lettera b del Tuel