CAMORRA, FIGHETTI E BORSE PIENE DI SOLDI. I Montanino prestanomi di Nicola Ferraro spendono 10mila euro alla volta da Mario D’Anna. Le strane magliette consegnate al faccendiere, fratello del cognato di Adolfo Villani
6 Giugno 2025 - 13:37

Tanto ci siamo permessi di citare il sindaco perché lui ha impostato tutta l’ultima sua campagna elettorale affermando che la camorra a Capua era stata portata dai suoi avversari politici. Il discorso, invece, era molto più articolato, ma lui cinicamente si è esposto e ora è normale che ne paghi il fio
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CASAL DI PRINICPE/CAPUA – (g.g.) Esiste secondo il pubblico ministero Dda Maurizio Giordano, una direttrice Capua-Casal di Principe molto forte che, aggiungiamo noi, ti rappresenta con modalità ancora più complete e visibili della storica direttrice Capua-Casapesenna.
In questo caso esistono molte ore di intercettazioni che vanno a suffragare, sempre secondo la visione della Dda, l’esistenza di questa relazione che mette in cima al sistema Nicola Ferraro, che ormai non vogliamo più presentare in ogni articolo perchè francamente se c’è qualcuno che non lo conosce scrivesse “Nicola Ferraro CasertaCe” su Google e trova un’enciclopedia Treccani.
Ci sono due diramazioni di questa direttrice. La prima di carattere esclusivamente imprenditoriale e vede la figura di Antonio Montanino titolare della società Artemide con sede a Pastorano che secondo la Dda è una testa di legno, un mero prestanome di Ferraro. E qui soccorre una intercettazione densa di parole non molto cortesi che quel simpaticone di o’rattuso, al secolo Luigi Rea. Questi, discorrendo con la moglie, così dipinge la figura di Antonio Montanino. Ovviamente usiamo una formula sintetica senza estrapolare contenuti letterali dalla richiesta di applicazione di misure cautelari, inviata dalla Dda a un gip del tribunale di Napoli che, in questi giorni, dopo aver interrogato 33 indagati sui quali pendono istanze assortite che vanno dal carcere per Nicola Ferraro, i fratelli Rea e lo stesso Montanino al diniego di dimora per il direttore generale dell’ASL, Amedeo Blasotti, passando per una lunga serie di richiesta di arresti domiciliari.
In sostanza Luigi Rea definisce Montanino un piccolo imprenditore che grazie a frequentazioni che Luigi Rea (senti chi parla aggiungiamo noi) “opache” sarebbe diventato un imprenditore con fatturati importanti che Luigi Rea quantifica in 13milioni di euro. L’imprenditore Luscianese trapiantato a Caserta dà l’idea di considerare montanino un arricchito, direbbe i francesi, un parvenu però sa bene che Montanino appartiene alla sua stessa scuderia tanto è vero che parla alla moglie di un appalto vinto insieme a Roma. Poi ritorna a parlare con sufficienza quando racconta che Montanino gli aveva chiesto un subappalto, incrociando una risposta disarmante da Rea che gli aveva detto ”guarda che io gli operai li ho” Poi la parte meno cortese. Montanino sarebbe andato a piangere da Rea insieme alla moglie perché Rea partecipava ad una gara in concorrenza a lui. Poi l’esplosione di ricchezza con l’annotazione relativa al fratello, riteniamo di Montanino, che spenderebbe da Mario D’Anna, probabilmente il negozio di grandi firme più importante e sicuramente quello più Antico di Caserta in via Mazzini, 10mila euro alla volta. Un fratello che viene definito carinamente “uno scemo” da Luigi Rea.
Il secondo sentiero di relazioni tra Casal di Principe e Capua è di carattere tecnico economico e ha come protagonista Antonio Moraca, definito dalla Dda un faccendiere di Nicola Ferraro.
Appartenente ad una sedicente famiglia borghese della città di Capua, a una classe di radical chic a cui è ascrivibile anche Giuseppe Moraca fratello di Antonio e cognato dell’attuale sindaco Adolfo Villani, il faccendiere Antonio Moraca per il quale il pubblico ministero ha chiesto l’arresto in carcere è presente sistematicamente a tutte le conversazioni a tutti i confronti in cui si affronta l’argomento che, usando un’espressione dialettale, potremmo definire “di spartenza di soldi”. Moraca prende per portare a Nicola Ferraro che poi ovviamente lo remunera.
E qui inizia il via vai delle “borse e delle magliette”
Adesso non possiamo dar torto al pubblico ministero nel momento in cui questi ritiene che i protagonisti di questa storia ai quali tutto mancava fuorchè le carte di 50, 100 o 500 euro in tasca avessero bisogno di comprare magliette o di farsele comprare da qualcun altro.
Quindi è probabile che quelle borse che i fratelli Giuseppe e Luigi Rea consegnano a Moraca fossero piene di soldi
Attenzione, però: quando noi sosteniamo una tesi, in questo caso una tesi dell’accusa non ci schieriamo mai a priori. Quando leggete i nostri condizionali sappiate che quelli rappresentano un ‘asserzione di neutralità di CasertaCe rispetto ai punti di vista sulle situazioni di cui ci occupiamo
Punti di vista che quando si vanno a formare esprimiamo senza problemi non tirandoci mai indietro.
Allora, stiamo parlando del contenuto delle borse che i Rea portano a Moraca e che nelle intercettazioni vengono indicate come colme di magliette
Ma chi porta queste magliette ad Antonio Moraca? Per l’appunto., i fratelli Rea. E in quale casa i carabinieri del nucleo investigativo di Caserta hanno trovato, anche nel cestello della lavatrice, nella controsoffittatura, nelle intercapedini, 1milione e mezzo di euro in contanti? Nella casa di Giuseppe Rea. Ora, se il pubblico ministero mette insieme in fila tutti questi elementi non sarà probabilmente arrivato allo stadio della prova inconfutabile. Però 1milione e 500mila euro in contanti nella casa di una persona rappresentano un elemento di assoluta concretezza di un ragionamento finalizzato a stabilire se esiste o meno una gravità indiziaria che rappresenta l’architrave di una richiesta di applicazione di misura cautelare che limita o addirittura azzera la libertà personale di un indagato