La Domenica di don Franco: ” Il credente..e’ una persona liberata, è un invitato alla festa!”
11 Ottobre 2020 - 18:59

11 ottobre 2020 – XXVIII Domenica (T.O.)
INVITATI A NOZZE, MA NELLA GIOIA!
Gruppo biblico ebraico-cristiano השרשים הקדושים
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Prima lettura: Il Signore preparerà un banchetto per tutti i popoli (Is 25,6). Seconda lettura: Tutto posso in colui che mi dà forza (Fil 4,12). Terza lettura: Tutti quelli che troverete, chiamateli a nozze (Mt 22,1).
La parabola di Matteo annuncia, con l’invito al banchetto, la volontà salvifica universale di Dio: egli chiama tutti, buoni e cattivi; saranno puniti solo quanti rifiutano l’invito. Accettare di entrare nel convito comporta, però, un cambiamento, indossare la veste nuziale. Fuori di metafora: occorrono le opere di bontà. La versione di Matteo è più drammatica e violenta rispetto a quella di Luca (14,15). Nel racconto di Matteo è un re che invita, gli invitati uccidono i servi del re, il re distrugge i nemici e le loro città; infine, tra gli invitati, il re ne scopre uno senza la veste nuziale, e anche per lui è “pianto e stridor di denti”. Il racconto di Luca, invece, presenta un Gesù in armonia con la grande famiglia ebraica, a pranzo addirittura in casa di uno dei capi dei farisei. Nella parabola, Luca scrive che a invitare non è un re ma un uomo, che gli invitati non sono criminali che ammazzano i servi, ma persone civili che si scusano di non poter partecipare al banchetto; manca poi lo sciagurato senza la veste nuziale. Insomma, vi domina l’amore di Dio e la gioia del banchetto.
Per fare parte degli eletti, occorre indossare la veste nuziale La moda del fast-food rovina lo stomaco e le relazioni umane. Infatti il cibo in tutte le civiltà è un grande strumento di comunicazione, oltre che un mezzo di sopravvivenza. In modo scientifico, questo ci viene insegnato da studiosi di etnologia e di antropologia, come C. Lévy-Strauss nell’opera
Tutti quelli che troverete, buoni e cattivi … Che strano questo re, che abolisce le differenze, le patacche, gli anni di servizio. Noi laureati, noi teologati, noi blasonati, noi religiosi, noi “buoni” al fianco di persone “cattive”! E poi, il re si infuria solo con quel poveretto ritenuto “indegno” perché non indossa l’abito nuziale. In fondo, erano stati tutti invitati all’improvviso, dalle strade e dalle piazze, nessuno aveva avuto la possibilità di lavarsi e di cambiarsi. Davvero strano questo re, questo Dio! E’ un avvertimento: la logica, lo stile, il gusto di Dio, è infinitamente diverso dal nostro. Ma non sta a noi giudicare il comportamento di Dio, l’Infinito trascendente. Possiamo, invece, giudicare i comportamenti strani dell’uomo nei confronti di Dio. Tutta la Bibbia descrive come Dio “tratta” bene l’uomo, e come l’uomo “maltratta” Dio. Dio non ci chiama per una rigorosa resa dei conti; non ci chiama a pagare i debiti, a difenderci in tribunale. Dio ci sorprende con un invito a nozze. Dobbiamo cambiare idee: il credente non è più uno schiavo curvo sotto il giogo della legge, non è più un precettato che deve presentarsi in caserma. E’ una persona liberata, è un invitato alla festa! Ecco perché quell’invitato viene gettato fuori dalla sala. Credeva di dover partecipare ad un funerale e non a nozze. Quell’infelice è il prototipo di tanti cristiani che si vestono di severità e di gravità, anziché di gioia e di speranza.
Alcune contraddizioni… Come in ogni matrimonio, l’atmosfera è quella della gioia ma ci sono anche delle sorprese drammatiche. Proviamo a riflettere!
il regno di Dio, il paradiso non è paragonato ad una cappella dove tutti pregano e cantano, non è una “candida rosa” di dantesca memoria, non è un convento dove nessuna disturba l’estasi degli altri, ma è un banchetto dove si mangia, si beve, si fa festa;
gli invitati, raccolti lungo le strade e nelle piazze, sono tutti gli uomini e le donne del mondo; il vangelo parla di buoni e cattivi ma il testo originale parla di cattivi e buoni, cioè la precedenza appartiene sempre agli ultimi;
Matteo evidenzia la compresenza del male e del bene, del buon grano e della zizzania nella chiesa; da ciò l’invito a coltivare la bontà: “Preferisco la misericordia ai sacrifici” (Mt 9,13);
il dettaglio della città in fiamme (v.7) interrompe il racconto; se lo togliessimo tutto sarebbe più lineare; è difficile immaginare un banchetto che inizia e poi, nel bel mezzo, si fa una guerra e alla fine le vivande sono ancora lì pronte sul tavolo;
la parabola continua con un episodio che rovina la festa: entra il re, passa in rassegna gli invitati, e ne caccia uno con durezza incomprensibile: erano stati tutti raccolti per strada e campagna, non potevano avere l’abito di festa;
meraviglia lo sdoppiamento di personalità del sovrano, che, da buono e accogliente, diventa crudele e schizofrenico. Dobbiamo spiegare tutto questo, per evitare di presentare un Dio tiranno, senza cuore, capriccioso;
ci troviamo di fronte a due parabole e la seconda non è il seguito della prima, che perciò va interpretata non in riferimento alla prima. Matteo scrive ai cristiani di ieri e di oggi e usa un linguaggio duro, molto diverso da quello di Luca (14,15). L’ultima frase: “molti (= tutti) sono chiamati, pochi gli eletti” non è legata a nessuna delle due parabole: infatti gli eletti sono molti, quasi tutti; uno solo è rifiutato. In conclusione: Gesù ha pronunciato queste parole in contesti diversi; Matteo le ha unite per svegliare, scuotere alcuni cristiani delle prime comunità;
subito dopo la morte di Gesù iniziano le prime divisioni e problemi; per esempio, nell’Apocalisse, Giovanni, forse lo stesso autore del quarto vangelo, scrive sette lettere di rimprovero alle comunità cristiane dell’Asia Minore, la cui fede era diventata tiepida, mescolata a eresie e a superbia: la chiesa di Efeso è condannata perché non ha più l’amore di un tempo (Ap 2,4); quella di Pergamo è rimproverata perché tollera l’idolatria (Ap 2,14); quella di Tiàtira è caduta nel compromesso (Ap 2,20); quella di Sardi non è viva e vivente: deve svegliarsi (Ap 3,1); la chiesa di Laodicea non è né calda né fredda ma disgustosa fino al vomito (Ap 3,15). Davvero la chiesa è “sancta sed semper sanctificanda, casta meretrix” (s. Ambrogio). BUONA VITA!