La Domenica di Don Galeone

4 Dicembre 2022 - 09:28

Giovanni il Battista è il precursore di Gesù, ultima tappa del cammino della storia della salvezza che sta per giungere a compimento

4 dicembre ✶ Seconda Domenica di Avvento (A)

Io sono la voce di uno che grida!

Prima lettura: Giudicherà con giustizia i poveri (Is 11,1). Seconda lettura: Gesù salva tutti gli uomini (Rm 15,4). Terza lettura: Convertitevi: il Regno dei cieli è vicino (Mt 3,1).

La domenica “dell’invito alla conversione”   La prima parte del Vangelo è dominata dalla solenne figura di Giovanni, presentato da Matteo come uno degli antichi profeti (vv. 4-6). Pochi sono i libri che iniziano con tanta incisività, come il Vangelo di Matteo. Proviamo una specie di “timore et tremore” nel risentire quelle roventi parole, nel rivedere quel ruvido personaggio di Giovanni il Battezzatore. Di lui colpisce la sua umiltà: “Non sono degno neanche di portargli i sandali!”. A ben riflettere, il primo atto di fede, nel Cristo, viene da Giovanni. Egli non è il messia, non è la luce: è il precursore, un semplice testimone, subordinato a Colui che annuncia. Niente altro che questo: lampada che illumina, voce che prepara la Parola. Anche noi, come Giovanni, non siamo la risposta a tutte le domande. Siamo solo un’eco del Cristo. Non possediamo Dio in concessione esclusiva. Cristo è già in mezzo agli uomini, nelle loro gioie e speranze. Cristo illumina ogni uomo che viene in questo mondo (Gv 1,9). Tante volte noi ci crediamo il centro necessario ed unico della salvezza; questo Vangelo ci ricorda che noi non siamo la via ma che prepariamo la Via a Uno che è più grande di noi. Il nostro compito non è di condurre a noi ma a Cristo; nessuno di noi è Cristo, ma tutti possiamo condurre a Cristo, come Giovanni. E dopo avere lavorato, mettersi anche da parte: siamo servi utili ma non necessari.

Prima lettura (Is 11,1-10)  Come già accaduto domenica scorsa, Isaia ci presenta una realtà idilliaca di pace, di fratellanza, di amore universale: il lupo dimora con l’agnello, la pantera con il capretto, il leone e il vitello pascolano insieme e sono tanto docili da lasciarsi condurre da un bambino. L’oracolo è ancora più sorprendente, se si tiene presente che è stato pronunciato in un momento drammatico della storia d’Israele, quando la dinastia di Davide era ridotta a un tronco secco e senza vita. Con questo annuncio, il profeta intendeva risvegliare nel suo popolo la fiducia: Dio è fedele alle sue promesse, e darà inizio a un’era di pace.

A questo punto sorge spontanea la domanda: chi realizzerà questa profezia? Il profeta risponde: dalla dinastia di Davide nascerà un nuovo germoglio, per mezzo del quale tutte le promesse di Dio si compiranno. Chi è questo ‘germoglio’ di cui parla Isaia? La promessa si è compiuta in Gesù. Nessun discendente di Davide ha mai realizzato questi sogni. Anche dopo la nascita di Cristo, i forti continuano a opprimere i deboli, i diritti umani vengono ignorati e calpestati, le discordie, gli odi e le violenze sono ancora presenti. Tuttavia, il germoglio della famiglia di Davide è apparso, sta sviluppandosi, è già divenuto un popolo – la chiesa – incaricata di rendere presente nel mondo la società nuova annunciata da Isaia.

Convertitevi, il Signore è vicino!   Qual è la migliore preparazione alla gioia del Natale? La conversione! Conversione, per tanti credenti, è diventata una parola demodé; si preferisce parlare di autenticità, di consapevolezza, di realizzazione; andiamo alla ricerca di eufemismi e di neologismi per sfuggire alle esigenze della conversione. Conversione, in gergo automobilistico, significa un’inversione, una curva ad “U” nel proprio viaggio. A un corridore che suda e pedala nella direzione sbagliata, a nulla servono gli sforzi, osserva sant’Agostino. Più semplicemente, convertirsi significa “cambiare testa” (metànoia), incontrare Cristo. È necessario togliere al termine “conversione” ogni incrostazione moralistica mortificante: tutte le conversioni del Vangelo terminano nella festa, nella gioia, nel banchetto! Ma attenzione: si tratta di “incontrare Cristo”, non di “conoscere Cristo”: altro è conoscere una persona, altro è incontrare una persona. Incontrarsi è comunicare, parlarsi, donarsi. Si può essere teologi e non incontrare il Signore. Questo è l’errore di certa catechesi, quando si accontenta di fare conoscere anziché di fare incontrare il Signore. Il “conoscersi” è propedeutico al “convertirsi”.

Vangelo (Mt 3,1-12)   Chi era Giovanni? Un personaggio piuttosto enigmatico. Giuseppe Flavio – il famoso storico del tempo – lo presenta così: “Era un uomo buono che esortava gli ebrei a vivere una vita retta, trattandosi con giustizia reciprocamente e sottomettendosi con devozione a Dio, e facendosi battezzare” (Antichità Giudaiche 18.5.2 §§ 116-119). Il Battista denuncia e condanna la sua società opulenta che – allora come oggi – punta sull’effimero, sul frivolo, sui falsi valori del lusso e dell’ostentazione. Il suo messaggio è riassunto dall’evangelista in una semplice frase: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!” (v.2). Nel tempo di Avvento, la chiesa propone ai cristiani la predicazione del Battista perché, come egli preparò il popolo d’Israele alla venuta del messia, così oggi è in grado di insegnare ad accogliere il Signore che viene.

 Il tono è minaccioso; così si esprimevano i predicatori di quel tempo ed è questo il linguaggio che compare spesso anche nella Bibbia. Il precursore lo impiega per mettere in guardia chi rifiuta l’invito alla conversione. Non si tratta di castighi vendicativi ed eterni, ma di rimproveri pedagogici e temporanei. Nei tribunali umani i giudi ci prendono in considerazione solo gli errori e pronunciano la sentenza in base al male commesso. Nel giudizio di Dio avviene esattamente il contrario. Egli, con il ventilabro della sua parola, spazza via la pula e lascia sull’aia solo i preziosi chicchi: le opere di amore che, poche o molte, tutti compiono. BUONA VITA!