S. MARIA C.V. Nome per nome tutti i negozi sottoposti all’estorsione dei gadget. Sono 27 e riguardano solo la coppia Fava-Augusto Bianco
22 Ottobre 2018 - 20:44
SANTA MARIA CAPUA VETERE (g.g.) – Emerge nel quadro deprimente dai circostanziati racconti del collaboratore di giustizia Pasquale Fava, inseriti all’interno dell’ultima ordinanza, l’ennesima, contro le organizzazioni che gestiscono l’enorme traffico di stupefacenti, di quella che dovrebbe essere la città del Foro, del tribunale e della legge che plasticamente si manifesta attraverso i luoghi in cui questa si amministra.
Santa Maria Capua Vetere non è solo droga-city ma è stata, fino a pochissimi anni fa, e non è detto che non lo sia ancora, una città di camorra presidiata, militarizzata dal controllo dei clan che hanno condizionato e forse condizionano ancora la maggior parte delle attività economiche. Non esageriamo perché Pasquale Fava, che di solito si occupava di droga, mise a disposizione se stesso, come succedeva spesso con i fedeli servitori del clan dei Casalesi aveva a Santa Maria Capua Vetere, delle necessità della famiglia di Cesare Bianco, vecchia guardia del gruppo Schiavone e fondamentalmente abbandonata da Nicola Schiavone, al punto che Augusto Bianco, figlio i Cesare e sua madre Sara Botta avevano dovuto mettere in piede un’attività estorsiva di quelle classiche, costituita attorno alla finta vendita di gadget che in realtà nascondeva un’intimidazione ai danni dei commercianti.
A Samta Maria Capua Vetere pagavano tutti, spiega Pasquale Fava. I negozi più grandi, i supermercati, i centri commerciali pagavano la tangente, i piccoli compravano i gadget, spesso di pessima fattura e scelti, si fa per dire, in cataloghi in cui ogni penna, ogni agenda, ogni altra cosa del genere, recava un prezzo almeno doppio a quello reale. Molto spesso la merce era scadente, ma siccome si trattava solo di un pretesto, di una copertura di quella che era una vera estorsione, nessuno protestava.
Fava incrociò anche altri esponenti della criminalità sammaritana, intenti a svolgere la sua stessa attività. Erano collegati a Nicola Schiavone il quale dimostrava, anche in questo modo, l’insofferenza verso quella vecchia guardia che aveva fatto camorra insieme a suo padre e di cui Cesare Bianco faceva, come scritto prima, indubbiamente parte.
Fava non fa discorsi di carattere generale, che si possono prestare a dubbi, a confutazioni, relative alla loro genuinità.
Fa i nomi e cognomi, elenca uno per uno i negozi che lui raggiungeva per l’imposizione dei gadget. Un elenco è relativo all’anno al 2009, un altro al 2010 e li potete leggere sotto a questo articolo.