Casalesi extra lux. Gemelli comprati da Cartier in via Condotti da Nicola Schiavone. L’esilarante spiegazione del dirigente di stato Paolo Grassi. L’Hotel Aldrovandi, la strada dei vip e il ristorante da 500 euro

18 Agosto 2022 - 12:47

Leggendo lo stralcio dell’ordinanza che vi proponiamo integralmente in calce all’articolo, il sottoscritto, estensore dello stesso, ha definitivamente compreso che l’unica professione che non avrebbe mai potuto fare nella vita, sarebbe stata quella di carabiniere, poliziotto o finanziere con compiti di polizia giudiziaria. Perchè ad uno così, io gli avrei prima fatto una famosa battuta di Alberto Sordi, e poi congedandomi e dimettendomi ipso facto, gli avrei contestualmente sputato in faccia

CASAL DI PRINCIPE (Gianluigi Guarino) – Alberto Sordi non se lo sarebbe fatto sfuggire un personaggio come Paolo Grassi, secondo noi prototipo, in sovrapposizione simmetrica della specie degli Italians, cioè di quel tipo umano antropologico, largamente presente sul suolo del nostro paese che, da posizioni importantissime di potestà, si muove, si comporta e decide attraverso l’utilizzo vario e variegato di più modelli di illegalità.

Uno come Paolo Grassi, direttore centrale della Direzione di Ingegneria di produzione di Rete Ferroviaria Italiana, funzione e incarico per i quali, riteniamo, non intascasse uno stipendio inferiore ai 6mila barra 7mila euro, avrà determinato, durante la sua vita professionale (professionale, si fa per dire), una serie enorme di distorsioni nei processi di aggiudicazione di grandi lavori infrastrutturali, per i quali, lo stato italiano, attraverso l’impressionante mole di imposte, tasse e tributi, appioppati ai cittadini, ha stanziato centinaia e centinaia di milioni di euro e, in un intervallo di tempo leggermente più esteso, miliardi di euro.

Paolo Grassi avrebbe fatto un figurone nella galleria dei personaggi interpretati da Alberto Sordi, il quale, con i registi che lo hanno diretto e anche quando lui stesso si è diretto da regista, ha descritto l’Italia coltivando un’idea di fondo: almeno per quanto riguarda tutto ciò che è successo dal 1861 ad oggi, dall’unità fino agli ultimi anni 70, quelli in cui Sordi ha espresso il meglio del suo cinema, gli italiani sono stati sempre, più o meno, così.

In poche parole, non esiste un fattore temporale, una evoluzione che, attraverso l’incedere degli anni, sia riuscita a costruire una nuova, anzi (ma quale nuova, d’Egitto), una prima coscienza nazionale, fondata sul concetto di comunità dentro al quale piantare e far crescere due o tre elementi fondamentali (non di più, solo due o tre), della convivenza civile.

Uno in particolare che a citarlo in un paese del centro Europa o del Nord Europa, ti riderebbero appresso, considerandolo un fatto scontato, di cui non si dovrebbe neppure parlare, perchè uno sano di mente non è che organizza un dibattito televisivo, un simposio di studiosi o un’edizione straordinaria del telegiornale sulla incredibile, fantasmagorica notizia che uno più uno fa due. Un concetto che parte da una apparentemente banale domanda e che attraverso le risposte formulate nel tempo rispetto ad essa, riesce anche ad articolare un punto, uno stato dell’arte di una possibile maturità nazionale.

A che cazzo servono le leggi? Guardate, rispetto agli ultimi decenni dell’ottocento, rispetto al tempo dei primi fenomeni di trasformismo politico che suonavano un chiaro campanello d’allarme su quello che avrebbe potuto diventare il rapporto tra l’homus italianus, la politica e l’esercizio del potere, e ancora, rispetto ai primi decenni del 900, rispetto al ventennio del fascismo e all’immediato dopoguerra, rispetto agli anni 50, agli anni 60, ai vituperatissimi anni 70 dello scandalo Lockheed, rispetto anche agli anni 80, ai 90, le cose sono sempre peggiorate.

In poche parole, la qualità della risposta al quesito posto (cioè a che cazzo serve la legge?), ha prodotto in sostanza, al di là delle dichiarazioni di maniera e del conformismo dell’ipocrisia, risposte sempre peggiori. Oggi possiamo dire, come dimostrano i contenuti dell’ordinanza, imperniata sulla figura di un imprenditore quale Nicola Schiavone detto monaciello, nato, cresciuto e pasciuto dentro al sistema valoriale contro culturale che ha generato e fatto crescere il clan dei casalesi, dicevamo, possiamo dire che lo stato dell’arte della risposta a questa domanda apparentemente banalissima, è la seguente: le leggi servono in quanto forniscono strumenti per eluderle, aggirarle, e, perchè no, violarle.

Questa era l’Italia del dottore Guido Tersilli, attraverso il quale Alberto Sordi annunciò tempesta e tanti guai nella sanità pubblica e nella sanità privata italiana, che di lì a poco sarebbero diventate il pozzo senza fondo della spesa pubblica, i maggiori creatori di debito nazionale, ma soprattutto autentiche fucine di una corruzione sistemica e sistematica. Questa è sostanzialmente l’Italia di Nicola Schiavone che salda gli interessi di un potentissimo clan malavitoso con quelli di una serie di dirigenti e funzionari infedeli i quali consegnano l’Italia, immergendola nel brodo di coltura, in questo caso brodo primordiale, dentro al quale la malavita, la criminalità organizzata è nata e si è fortificata.

Questo è. Ed è così perchè il Paolo Grassi che di qui a qualche riga vi andremo a raccontare in un episodio veramente comico a cui magari l’ancora vivo e vegeto Christian De Sica potrebbe guardare, andando a sostituire Alberto Sordi, valutando di trasformarlo in soggetto di un cine-panettone. E’ uno che ha in mano le sorti o larga parte delle sorti delle aziende di stato più importanti d’Italia, di una delle aziende a cui sono affidati miliardi e miliardi di euro prelevati dai forzieri pubblici, riempiti da tutti i poveri cristi che vengono letteralmente massacrati da una pressione fiscale che, non a caso, è una delle più alte del pianeta.

Leggete il testo dell’interrogatorio a cui Paolo Grassi viene sottoposto, presumibilmente dai carabinieri del Nucleo Investigativo del comando provinciale di Caserta, durante la fase delle perquisizioni a cui lui stesso, straindagato in questa ordinanza, viene sottoposto.

Leggetelo e poi diteci se non vi ricorda, se non evoca qualche episodio, qualche gag cinematografica di Christian De Sica, che sta lì ad arrampicarsi sugil specchi con sua moglie, con i suoi figli per fare in modo che questi non si accorgano di una sua scappatella, di una sua marachella.

22 ottobre 2018. Mister monaciello si trova a Roma nel suo guscio d’oro. Parla con il figlio che di nome fa Oreste, e ovviamente discutono di appuntamenti, di incroci che non avverranno davanti alla fermata di una metro o vicino ai mercati generali, o in un qualsiasi baretto, bensì a quell’hotel Aldrovandi, di cui abbiamo già scritto in altre puntate di questo nostro lungo focus, che è uno degli alberghi più importanti, più rinomati, con maggiore retaggio storico della Capitale.

Se vi va, magari chiamate al telefono e chiedete quanto costa una stanza da quelle parti: non meno di 500/600 euro a notte, più prima colazione e poi te ne vai a fanculo perchè se vuoi anche pranzare o cenare, ti proietti verso i mille euro.

Comunque, subito dopo l’Aldrovandi, monaciello nato a Casal di Principe e abituale frequentatore di tutte quelle strade intitolate alle città italiane, feudo esclusivo delle famiglie del capo dei capi Francesco Schiavone detto Sandokan, non si trasferisce al Testaccio, a Torpignattara. E neppure a Trastevere che comunque, non è un quartiere popolare nel senso esteso, socio urbano del termine.

No, dall’Hotel Aldovrandi, raggiunge via Condotti che pure quelli che a Roma ci sono stati tre volte nella vita, l’hanno conosciuta in quanto rappresenta la strada del lusso, dei ricchi, dei negozi delle grandi firme. Ma a differenza dei comuni mortali che via Condotti la percorrono, guardano quelle vetrine, incartano un sospiro rassegnato e portano a casa, lui entra in uno dei negozi più importanti e più noti, non solo a Roma, ma in tutto il mondo: la gioielleria Cartier.

Lì tutto sommato non fa uno spesone. Due piccoli gemelli, precisamente i “Santos de Cartier”, pagati 610 euro, così come appurato e riscontrato dai carabinieri di Caserta, che in quel negozio si sono recati, acquisendo tutti i documenti attestanti la transazione avvenuta, peraltro collegata poi ad un prelievo effettuato sulla carta American Express, mica Visa o Mastercard, intestata all’ufficialmente al nullatenente Luca Caporaso, dunque con ogni probabilià iascrivibile alla proprietà della TEC srl, sede Viale Gramsci Napoli, che i tanti lettori di questo nostro lavoro giornalistico di approfondimento, conoscono molto bene per quanto abbia contato nell’economia delle strategie di Nicola Schiavone.

Vabbè, è arrivata ora di cena, lo Schiavone, magari per ricordare i tempi romantici della sua gioventù casalese, ora infilerà la porta di una osteria della Tiburtina o di Tor Bella Monaca, oppure la mitica “Giggi e Bruno gli incivili” di fracchiana e fantozziana memoria, pizza, cacio e pepe, abbacchio e rutto libero.

Se, se….e quando lo vedi. Da via Condotti al Pantheon si va a piedi in pochissimi minuti. E lì c’è un ristorante che monaciello ha trasformato in un suo vero e proprio quartier generale, comecapiamo dal numero di volte in cui l’abbiamo incrociato nella lunga lettura di questa ordinanza: La Rosetta, che prende il nome dall’omonima strada in cui è ubicato. Lì entra anche Paolo Grassi, il direttore di tutti i direttori compartimentali dei cantieri e dell’ingegneria di Rfi. Insomma, il direttore dei direttori.

I due cenano e sulla solita America Express viene addebitata la cifra di 511 euro, corrispettivo del conto che se veramente erano solo in due a mangiare, o questi, come si dice, si sono “scofanati“, oppure La Rosetta ritiene di aver scoperto il Santo Graal della gastronomia, presentando conti che neppure ad Abu-Dabi.

Ovviamente, i carabinieri non sono fessi e collegano l’acquisto dei gemelli all’incontro, avvenuto pochi minuti dopo, forse mezz’ora, un’ora dopo al massomo tra Nicola Schiavone e Paolo Grassi. Per cui, come si suol dire, ce l’hanno lì sulla punta della lingua e appena Grassi si siede il 3 aprile 2019 per sottoporsi all’interrogatorio, la buon’anima di Alberto Sordi o al limite il vivo e vegeto Christian De Sica, irrompono sulla scena.

Leggete un pò, infatti, cosa “si fida” di dichiarare quello che è un importantissimo manager di stato, uno chiamato a gestire quella cassaforte della nazione che in forza delle risposte fornita alla domanda a che cazzo serve la legge, viene trattata con laica sacralità nei paesi civili, al contrario, dell’Italia, in cui viene utilizzata come luogo di predazione dei mariuoli nostrani i quali, proprio a causa dell’affermazione antropologica dilagante del tipo degli Italians, ha fatto sì che entrassero dentro alle strutture di potestà più significative, più importanti.

“E’ vero – dichiara Paolo Grassi – i gemelli li ho presi. Ma li ho presi dopo aver tentato invano di rifiutare”. E ancora: “Li ho presi. E solo per evitare scenate nel locale, ho dovuto accettarli”. Ora aggiungiamo noi, non si capisce se già nei giorni precedenti Paolo Grassi dichiara di averli rifiutati o se i rifiuti sono quelli che ha opposto a bassa voce dentro al ristorante, salvo poi dover fare marcia indietro, arrendersi, in quanto monaciello stava lì, armato di rivoltella e pugnale, quasi a minacciarlo.

Più che inverosimile, la ricostruzione è ridicola.

Ma non finisce qui. Come leggerete dallo stralcio che pubblichiamo in calce, Paolo Grassi si supera letteralmente nel momento in cui narra che, uscendo dal ristorante avrebbe gettato i due gemelli nel bidone della spazzatura, perchè, dice lui, erano un dono non gradito. Dunque, (ri)chiosiamo noi, li ha buttati via di nascosto, senza che Schiavone lo vedesse.

Ora, noi abbiamo affrontato notizie di ogni tipo, abbiamo letto milioni di pagine di ordinanze di camorra, e dunque sappiamo bene che il camorrista, al massimo ti minaccia se sei tu a non dargli i soldi, se sei tu a negargli un vantaggio economico, finanziario che lui ritiene di dover acquisire in base ad un accordo pregresso.

Qui, invece, sembra di assistere ad una di quelle scene familiari in cui la mamma col cucchiaio in mano insegue il figlio piccolo, il quale le sguscia continuamente dalle mani per evitare di ingurgitare l’orrenda purga, l’orrenda medicina.

Dunque, Paolo Grassi, poverino, ha resistito con tutte le forze, scordandosi però (tri)chiosiamo noi, che anche il conto di 510 euro, cifra non molto difforme dai 610 dei gemelli, era stato pagato dal monaciello e che lui, Grassi, “s’era magnato pure la tavola”. Lui, il Grassi resisteva leoninamente di fronte a quel cattivone di Nicola Schiavone che quasi a volerlo marchiare, a volerlo affiliare coattivamente ad una sorta di rito della corruzione, lo inseguiva per fargli commettere il peccato che poi lo avrebbe incasellato definitivamente dentro al sistema mafioso e corruttivo costituito da monaciello.

Ricordatevi questa scena, così raccontata dall’alto dirigente Rfi ai carabinieri verbalizzanti e che andiamo a ricapitolare: Nicola Schiavone che insegue Paolo Grassi e questi che scappa davanti gettando nel cassonetto i gemelli, comprati da Cartier, un paio d’ore prima, dall’imprenditore di Casal di Principe.

Il sottoscritto ha pensato, quando ha ascoltato la lettura di questo pezzo di ordinanza, che l’unica professione al mondo che non avrebbe mai potuto svolgere, è quella di carabiniere, di poliziotto, di finanziere, soprattutto nelle loro espressioni di polizia giudiziaria. Perchè io, di fronte a uno che dichiara queste cose, anzi, non a uno qualsiasi, ma ad un alto dirigente che ha giurato con formula rituale fedeltà alla repubblica italiana, prima gli avrei fatto la battuta di Alberto Sordi (“Aò, me stai a cojonà”) e successivamente, buttando il distintivo e consegnando la pistola d’ordinanza, gli avrei sputato in faccia un attimo prima di firmare le dimissioni dalle forze dell’ordine.

Ma roba da pazzi! Questa è l’Italia. E guardate, non stiamo drammatizzando. Paolo Grassi era uno dei 5 dirigenti più importanti dell’azienda di stato titolare di tutta la rete delle ferrovie nazionali. Un vero e proprio gigante industriale. Ovviamente, in questo paese, anche i nostri presunti colleghi giornalisti, sono perfettamente integrati, visto che non abbiamo letto una sola riga che abbia approfondito o quantomeno semplicemente dato conto di queste inquietante vicenda.

QUI SOTTO LO STRALCIO DELL’ORDINANZA