ESCLUSIVA CASERTACE. FRANCESCO SCHIAVONE SANDONAK SI E’ PENTITO. Parenti e congiunti hanno rifiutato il programma di protezione. Ecco chi ha detto no. E il mese prossimo, quando il figlio Emanuele…
29 Marzo 2024 - 19:47
ORE 12.33. Questa è la notizia delle ultime ore su cui noi formuliamo una prima valutazione, a cui ne seguiranno molte altre
CASAL DI PRINCIPE (g.g.) – Chi, della famiglia Schiavone, già collabora con la giustizia e chi, in qualche modo, seppur in maniera meno strutturata, dà una mano alle attività inquirenti, non era e non è interessato alla richiesta, formulata dalla magistratura inquirente della Dda di Napoli attraverso i carabinieri di Caserta, a tutti i familiari di Francesco Schiavone Sandokan, divenuto collaboratore di giustizia forse già da qualche giorno o da qualche settimana, ma che solo da ieri ha assunto questo status con il crisma della pubblica ufficialità.
Non erano interessati la moglie Giuseppina Nappa e le due figlie di Francesco Schiavone Sandokan, che da anni insieme hanno lasciato Casal di Principe e probabilmente vivono da qualche parte anche grazie ai sussidi che lo Stato garantisce a chi sviluppa una dialettica collaborativa, anche se non si è mai capito, o meglio noi non abbiamo mai capito per ignoranza o dabbenaggine, se Giuseppina Nappa e le figlie vivono in località più o meno protetta in quanto la moglie di Sandokan sta collaborando, o se, invece, questa condizione sia frutto formale del pentimento e della collaborazione con la giustizia, risalente a quasi 6 anni fa di Nicola
Tutto il resto, ossia tutto ciò che riguarda la parte residuale, ma non certo poco numerosa, è rimasto invariato rispetto a quelle che furono le reazioni degli altri parenti più prossimi quando Nicola Schiavone decise di collaborare.
Ciò significa che, puntualmente e formalmente interpellati, hanno deciso di non lasciare Casal di Principe o comunque le zone circostanti, Antonio Schiavone, fratello di Francesco Schiavone Sandokan e già genero di quel Salvatore Sestile, deceduto per Covid, patron del rinomato albergo e ristorante “La Contessa” di Giugliano, considerato un imprenditore di riferimento del clan Mallardo sempre di Giugliano e implicato nella famosa inchiesta, discutibilmente evaporata a causa di un pronunciamento sostanzialmente negativo di un gip del tribunale di Napoli di fronte alla richiesta di applicazione di misure cautelari, inviata dai magistrati della Dda sulla scorta di una loro indagine che aveva coinvolto da indagato lo stesso Antonio Schiavone e in cui avevano coordinato il prezioso e, a nostro avviso, esaustivo (abbiamo più volte spiegato in passato il perché e le argomentazioni alla base di questa nostra convinzione) compiuto dai carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Caserta.
Medesimo discorso per Ivanohe Schiavone. Anche il figlio minore di Francesco Schiavone Sandokan, così come rifiutò il programma di protezione nel 2018 all’atto del pentimento del fratello Nicola, così lo ha rifiutato anche oggi quando a pentirsi è stato il padre Francesco. Se alla base della decisione di Sandokan c’è stata anche una valutazione finalizzata a salvare in qualche modo i figli da un destino criminale, riteniamo che, almeno per il momento, la missione sia fallita.
Di Walter, che in un primo tempo si pentì, salvo poi essere escluso dai benefici di questo status dagli inquirenti, abbiamo perso le tracce.
Al contrario dei suoi fratelli Carmine ed Emanuele, entrambi in carcere e che pure hanno rifiutato il programma di protezione.
Non è improbabile che l’univoca decisione dei figli carcerati di Sandokan e del figlio che si trova a piede libero, ovvero Ivanohe, possa essere legata all’ormai ineluttabile scarcerazione di Emanuele Schiavone. Questi, a dirla tutta, doveva uscire dal carcere già da qualche tempo. Ma, siccome si è dimostrato un attaccabrighe e un violento, la sua detenzione si è allungata per effetto di qualche condanna complementare o di qualche cancellazione dei benefici di pena. Tra circa un mese, però, lo Stato Italiano e lo Stato di Diritto non potranno più tenerlo dietro alle sbarre.
L’uscita di Emanuele Schiavone dal carcere è diventata una sorta di totem della vulgata, una speranza di tutti i criminali o para criminali nostalgici dei tempi in cui uno Schiavone, ossia Francesco Sandokan, era l’uomo di gran lunga più potente, di questa provincia e tra i più potenti di questa regione, considerando sia il mondo della malavita che quello della non malavita.
Emanuele, infatti, viene considerato il figlio del fondatore del clan dei Casalesi con maggiore attitudine criminale e con una potenzialità indiscussa di realizzare direttamente o indirettamente, ordinandole, azioni violente.
Insomma, se esiste una remota possibilità che la famiglia Schiavone possa ancora recitare un ruolo di camorra in grado di creare grattacapi allo Stato, questa chance riguarda solo e solamente Emanuele Schiavone.
Per il momento ci fermiamo qui, ma sicuramente torneremo sulla notizia del pentimento di Francesco Schiavone Sandokan che va valutata con equilibrio, al di la delle suggestioni e del suo giustificato portato simbolico, emblematico della stessa.
Ed è proprio quello che noi cercheremo di fare di qui in poi, partendo magari da quel cugino, Nicola Schiavone detto Monaciello, che ha fatto tanta fortuna a Roma e che oggi è imputato nel processo sulle commistioni, frutto di un indagine anch’essa realizzata dai carabinieri del Nucleo Investigativo di Caserta, che, probabilmente non ha espresso tutto il suo potenziale a causa del freno a mano tirato, soprattutto relativamente ai rapporti tra il citato Nicola Schiavone Monaciello e certi ambienti della politica, e, perché no, anche dei cosiddetti poteri forti. Un freno che certamente non è stato tirato dai carabinieri.
Ma questa è una storia di cui abbiamo, almeno in parte, già scritto e che magari tornerà di attualità oggi alla luce di ciò che Francesco Schiavone Sandokan disse alla moglie Giuseppina Nappa e a una delle sorelle in un colloquio carcerario intercettato al 41 bis, parlando della fortuna di Nicola Schiavone Monaciello, che sarebbe stata determinata solo dalla capacità dei vertici del clan dei casalesi di dargli forza economica per entrare nei meccanismi giusti.