GUERRA DI CAMORRA. Niente sconto di pena per il ras del clan Perreca
10 Marzo 2025 - 09:47

Respinto il ricorso presentato dai legali nel quale si chiedeva la continuazione delle pene
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RECALE – La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato dai legali di Antimo Mastroianni di Recale, confermando integralmente la decisione della Corte d’Appello di Napoli emessa il 27 giugno scorso. La sentenza, pronunciata dal collegio guidato dal giudice Raffaello Magi, ha negato la possibilità di riconoscere un vincolo di continuazione tra l’omicidio di Luca Famiano, avvenuto il 31 luglio 1996. Rigettato, quindi, il ricorso del 59enne, condannato già per la sua partecipazione al clan Perreca di Recale.
La responsabilità di Mastroianni nell’omicidio si era sviluppata dopo le dichiarazioni di alcuni testimoni, quelle di più collaboratori di giustizia e dalla presenza del DNA del 59enne su un passamontagna trovato
I collaboratori di giustizia Antonio Gerardi e Pietro Nocera hanno riferito che l’omicidio si collocava nella faida tra il clan Belforte e i Piccolo Letizia, legati ai Perreca di Recale, di cui faceva parte Famiano prima di decidere di passare con il Belforte.
La difesa aveva sostenuto che il delitto rientrasse nella strategia del gruppo criminale, volto a consolidare il controllo sul territorio e ad annientare i rivali. Tuttavia, i giudici della Corte d’Appello avevano escluso che l’omicidio fosse parte di un piano preordinato, ritenendolo piuttosto un’azione dettata da circostanze legate alla scelta della vittima di schierarsi con un clan avversario.
Nel ricorso in Cassazione, i legali di Mastroianni hanno contestato questa lettura, evidenziando che in precedenza era già stato riconosciuto il vincolo della continuazione tra l’associazione mafiosa e altri reati, come le estorsioni e il possesso illegale di armi. Tuttavia, la Suprema Corte ha ribadito che tale collegamento può essere ammesso solo se, fin dalla nascita dell’organizzazione criminale, vi sia stata una chiara programmazione degli atti delittuosi futuri.
LA STORIA DELL’OMICIDIO FAMIANO
Il delitto si inquadra nell’ambito della cruenta faida che, al fine di stabilire il predominio criminale su Caserta e comuni limitrofi, ha visto fronteggiarsi per oltre un ventennio, dal 1986 al 2007, due potenti fazioni camorristiche: il gruppo “Belforte” alias “Mazzacane”, di estrazione cutoliana, e il gruppo “Piccolo-Letizia” alias “Quaqquaroni”,confederato con il clan “Perreca” di Recale. Al tempo, lo scontro tra i clan raggiunse livelli di violenza tali che, nel gennaio del 1998, indussero l’allora Prefetto di Caserta ad emettere quella che fu battezzata come “ilcoprifuoco anti-camorra”, ovverosia un’Ordinanza, prima del genere dalla seconda guerra mondiale, con la quale fu disposta per 20 giorni la chiusura di bar e circoli a Marcianise dopo le ore 22.00.
In tale cornice criminale, come ricostruito dalla Squadra Mobile di Caserta, cui sono state delegate le indagini, il 31 luglio del 1996 FAMIANO Luca fu ucciso perché era transitato dal clan “Piccolo-Perreca” a quello rivale dei “Belforte”. In particolare, un gruppo di persone, incappucciate e armate di pistole e mitra, intorno alle ore 8.00 di quel giorno, tesero un agguato al FAMIANO nel mentre, in macchina con la sua convivente, si trovava nei pressi della propria abitazione di S. Clemente di Caserta. Era seguito a ruota da un’altra macchina su cui viaggiavano suo cognato, la fidanzata e due sue nipoti. I criminali fecero fuoco all’impazzata sulle auto con i mitra e le pistole, determinando il quasi immediato decesso del FAMIANO, morto poco dopo in ospedale, e il ferimento grave delle sue nipoti. Dopo il raid, i delinquenti si dileguarono a bordo di un’auto scura di grossa cilindrata, poi risultata una Lancia Thema rubata alcuni giorni prima. Durante la fuga, detta autovettura fu notata e inseguita da una volante della Polizia che, tuttavia, non riuscì a fermarla a causa dell’azione di disturbo realizzata da un’altra macchina; per ciò, il relativo conducente fu arrestato. Tuttavia, poco dopo la Lancia Thema fu individuata, ormai abbandonata. Al suo interno furono sequestrati numerosi oggetti riconducibili ai killers, tra i quali passamontagna, guanti e altro, oltre ad alcune munizioni cal. 7.62×39 (il calibro tipico del kalashnikov).