Il Tar respinge la “secessione” della Pignetti. Una brutta figura, ma chissene. Altri 70mila euro a tre avvocati per la sconfitta sicura, tanto paga Pantalone
5 Giugno 2025 - 13:42

In calce all’articolo leggerete, nella sentenza del Tar che pubblichiamo integralmente, non solo che il ricorso sugli oneri consortili che ha scatenato Unione Industriali e Ance è stato respinto, ma anche il modo stranito, quasi sorpreso, attraverso cui i giudici hanno stroncato tesi assolutamente risibili. Questo territorio è colpevole del suo disastro, delle sue difficoltà. Questo territorio esiste solo per l’economia in nero. Ciò è successo perché in questi anni non c’è stato un politico, né un’associazione che, senza andare necessariamente all’attacco dell’Asi, abbia proposto un confronto preciso sulla gestione, sulle scelte, su ciò che veniva messo nero su bianco nei bilanci e nelle loro pieghe, sulla violazione dei vincoli novennali. Un dibattito, e invece nulla. Poi non ci possiamo lamentare se in politica o attorno alla politica nascono dei veri e propri mostri, frutto dei dieci anni peggiori della storia della magistratura in questo territorio dal 1946 ad oggi
CASERTA – Questo articolo potrebbe iniziare in cento modi diversi. La storia del rapporto tra Casertace, chi lo dirige e la presidente dell’Asi Raffaela Pignetti è una bruttissima vicenda di manipolazione, di strumentalizzazione, di ricostruzioni artificiali, di attacchi personali, soprattutto perché mai, e diciamo mai, la presidente Pignetti, anche in quelle pochissime circostanze in cui abbiamo compiuto degli errori nel nostro racconto, che non dà all’Asi un rilievo maggiore, un’attenzione suppletiva rispetto a quella che riserviamo a tutti gli altri enti di governo e sottogoverno di questa provincia, ha dato una risposta che sia stata una sul merito di quello che i nostri articoli esprimevano concettualmente, ma prima ancora documentalmente.
Ci siamo subito resi conto che la presidente Pignetti rappresentava una sorta di quintessenza, un paradigma vivente, del degrado più profondo della politica casertana, la quale le ha dato la possibilità di far strage di pubbliche risorse, bruciate in sprechi inenarrabili. Noi segnalavamo queste cose, lei spendeva 70-80mila euro, fatto senza precedenti, neppure rinvenibili nelle repubbliche delle banane sudamericane degli anni ’70 e ’80, per far piovere su di noi un numero impressionante di procedimenti penali e civili, risoltisi nell’80% dei casi in archiviazioni e solo in qualche circostanza in multe da noi prontamente e ampiamente consegnate al giudizio della Corte di Appello, con la circostanza ormai nota della famosa citazione in sede civile, non avvistata letteralmente dal sottoscritto e chiusasi con una condanna ingiustissima a un risarcimento danni solo perché io e Casertace
Dei cento modi possibili, proprio per evitare di personalizzare una storia che poi si configura come il proverbiale nodo che viene al pettine, scegliamo un passaggio della sentenza del Tar della Campania che naturalmente ha respinto il ricorso presentato dalla Pignetti con il voto contrario del rappresentante della Regione in Comitato Direttivo, Giuseppe Razzano, che oggi incassa quantomeno una soddisfazione morale.
Scrive, a pagina 10, il giudice relatore della Seconda Sezione del Tar Campania Daria Valletta: “(…) si osserva, in proposito, che l’attuazione di tale principio potrà essere eventualmente assicurata, laddove per effetto dell’atto gravato si venissero a ridurre le entrate di cui al titolo in commento, mediante una revisione delle spese sostenute da parte del Consorzio, in funzione dei tagli da operare”.
Non sappiamo se il giudice Valletta conosca qualcosa della sciaguratissima e per certi versi grottesca gestione del Consorzio Asi di Caserta. Magari questa è un’affermazione di maniera, ma è tremendamente adatta, chirurgicamente precisa, per descrivere quello che è stato il Consorzio Asi negli undici anni e qualche mese della gestione Pignetti.
Il concetto è questo: l’introduzione di un tetto alle cifre che gli imprenditori devono corrispondere a titolo di onere consortile quale corrispettivo dei servizi ricevuti è un fatto buono e giusto, che appartiene pienamente più che al potere, al dovere della Regione Campania di omogeneizzare questo elemento che costituisce un punto nevralgico dell’equilibrio che bisogna raggiungere tra una parte pubblica costituita dai consorzi intercomunali e la parte privata costituita dagli imprenditori che insediano attività produttive creando lavoro e benessere.
Se non fa questo, la Regione, cosa diavolo ci sta a fare? E allora, invece di buttare via milioni e milioni di euro in consulenze esterne, inutili viaggi di rappresentanza che a piè di vista si potrebbero rinvenire e che invece i revisori dei conti, che loro dovrebbero dar conto alla Regione, non hanno voluto vedere negli anni, si crei un Bilancio Sano in modo da massimizzare la qualità di ciò che dovrebbe essere l’unica funzione di un consorzio Asi vero e non popolato dalle inutili e costose triccaballacche di quello casertano: incentivare, favorire gli insediamenti industriali.
Magari insediando un osservatorio che consenta stabilmente di capire, anno per anno, quanti nuovi posti di lavoro si sono creati nell’Asi e di che genere. Siccome siamo in argomento sprechi, vi diciamo che questo ricorso al Tar, che l’Asi ha presentato per chiedere l’annullamento della delibera di giunta regionale n. 278 del 6/6/2024, scaturita dal verbale di deliberazione del Comitato di coordinamento delle attività dei consorzi ASI insediato per legge presso l’assessorato dello Sviluppo Economico della Regione Campania, presieduto proprio dall’assessore a questo ramo del governo e partecipato da tutti i presidenti o loro delegati delle cinque Asi della Campania.
LA BREVE STORIA – Il 29 maggio 2024, 4 presidenti su 5 si presentano al cospetto dell’assessore regionale Antonio Marchiello per affrontare un’emergenza, una distorsione, una evidente disomogeneità che scaricava un effetto di indubbia iniquità tra le varie Asi per quel che riguarda la loro funzione cardinale. Un vero e proprio caos relativo ai livelli del conferimento, da parte degli imprenditori, degli oneri consortili.
Di fronte a ciò, come abbiamo scritto e come ha scritto il Tar, alla Regione competeva un intervento che diventava auspicabile se non addirittura doveroso. 4 Asi, studiando la casistica, i livelli degli oneri consortili applicati negli altri consorzi italiani, tiravano fuori un quoziente che andava a costituire il livello massimo di esazione degli oneri in Campania.
Sotto a questo livello ogni singolo consorzio avrebbe conservato una piena autonomia di determinare le cifre da adottare. L’unica Asi assente, seppur ripetutamente invitata alle riunioni e soprattutto a quella finale del 29 maggio, fu quella di Caserta, che invece perseguiva l’obiettivo di una deregulation selvaggia, finalizzata, aggiungiamo noi, a tirare il collo agli imprenditori in modo da far quadrare il bilancio degli scialacquatori di pubbliche risorse, come sembra far comprendere quel passaggio della pagina 10 della sentenza da noi citato prima.
Sono stati 7 i motivi del ricorso presentato dall’Asi, che tra le altre cose ha chiesto di eliminare dalla procedura uno o due soggetti intervenuti ad opponendum, ossia la sezione campana dell’Associazione Nazionale Costruttori Edili, affiancata, come altra persona giuridica intervenuta sempre ad opponendum, dall’Unione Industriali di Caserta.
Esprimiamo un punto di vista: si tratta di 7 punti assolutamente risibili e che in tal modo sono stati trattati dal collegio giudicante della seconda sezione del Tar Campania e per partorire cotanta scienza giuridica l’Asi ha mobilitato addirittura 3 avvocati, uno in più di quelli impiegati dalla Regione nella sua costituzione.
I legali Giuseppe Ruffini, Martina Silvestrini, Benedetto Cesarini, i quali hanno intascato, nonostante la sconfitta del verdetto, una cifra tra i 60 e i 70mila euro (CLICCA QUI) , pagata dagli imprenditori casertani e approvata con una delle centinaia di sciagurate delibere che il comitato direttivo dei signori Gianni Comunale, che francamente non capiamo perché rappresenti ancora il Comune di Caserta nell’assemblea, visto che non esiste più né un’amministrazione comunale né un consiglio comunale del capoluogo, da Nicola Tamburrino e dal sempre profumato Alessandro Rizzieri, che non ha votato la delibera dell’insubordinazione alla Regione Campania perché a quel punto sarebbe stato troppo evidente il fatto che Giovanni Zannini da una parte ha succhiato tutto quello che c’era da succhiare da De Luca, e dall’altra parte ha contribuito pesantemente a tenere in carica la Pignetti, eletta in base a un accordo tra Stefano Graziano e Biagio Lusini, l’ormai super-inquisito ex sindaco di Teverola, che della Pignetti fu per un periodo vicepresidente.
Ma questi avvocati vanno tutto sommato giustificati. Quali margini ci potevano essere per sostenere una tesi insostenibile, che la Pignetti portava avanti già quando flirtava politicamente con Edmondo Cirielli e, di conseguenza, solo di conseguenza, con Fratelli d’Italia? Pochissimi.
E la magra figura che questi avvocati fanno di fronte alla lettura dei motivi per cui il Tar respinge il ricorso viene lenita dai soldi di Pantalone, che hanno intascato allegramente.
I MOTIVI DEL RICORSO – La delibera della giunta regionale che istituiva i tetti degli oneri consortili sarebbe in contrasto, secondo l’Asi di Caserta, con delle leggi dello Stato, addirittura si eccepisce una incompetenza, da parte delle Regioni, a deliberare su questa materia, il che sarebbe una novità sconvolgente che andrebbe a terremotare un ordinamento pacifico all’interno degli enti territoriali di maggior rilievo operanti in tutta Italia. Il fatto che le Regioni non abbiano competenza sulla determinazione dei tetti degli oneri consortili si ravviserebbe, secondo l’Asi, nella violazione dell’art. 11 d.l. 23/6/95, n.244, il quale riteniamo sia stato poi convertito in legge anche se i super-pagati avvocati della Pignetti si scordano di segnalarlo. Fatto non di lana caprina, perché la conversione di un decreto legge in legge, dovrebbe sapere la Pignetti, entro 60 giorni, può essere realizzata con significativi se non radicali interventi.
Incastonati nell’articolo 1 ci sono poi i soliti rimandi alla nostra legislazione, in questo caso all’art. 36, commi 4 e 5, della legge 5 ottobre 1991, n. 317.
Poi si cita una legge regionale, la 19/2013, che stabilisce il principio generale che i consorzi reperiscano le loro risorse dal versamento degli oneri consortili. Ciò per rafforzare la tesi dell’autonomia gestionale di ogni singolo consorzio.
Sugli articoli della Costituzione, il 3, 41 e 117, con i quali sarebbe in contrasto la delibera del 6 giugno 2024, inutile anche far cenno. Leggete in calce a questo articolo la sentenza del Tar e vi renderete conto che i giudici, seppur con garbo ed eleganza, allargano le braccia come fa un professore davanti a una castroneria tipo “Parigi è la capitale della Finlandia”.
Stesso discorso per tutti gli altri 6 motivi del ricorso, a cui il giudice non dedica poche parole in quanto irrispettoso delle ragioni di un ricorrente, ma perché a un certo punto dà la sensazione che se andasse ad approfondire dovrebbe scrivere cose imbarazzanti nei confronti anche del modo con cui il ricorso è stato formulato. Solo in un caso non riesce a trattenersi, ed è quando commenta in una riga e mezza le presunte violazioni del diritto costituzionale che, al contrario, considera rispettate, incrociate nella giusta direzione da parte della delibera della Regione. Leggete il ricorso e vi renderete conto che, al di là del giuridichese che è sempre un po’ arcigno, i concetti fondamentali sono due. Le leggi nazionali che sarebbero state violate dalla delibera regionale sono al contrario totalmente armoniche su quello che la giunta ha deciso. Ma soprattutto, e non poteva essere altrimenti, viene valorizzato il ruolo del Comitato di coordinamento delle attività dei consorzi ASI, che non è come un’ape che può mordere una sola volta perché subito dopo muore, ma è un organismo che una volta prodotto il regolamento finalizzato a omogeneizzare prima di tutto il trattamento economico della parte imprenditoriale, attribuendo alla regione la logica funzione di sovrintendere all’armonizzazione delle ragioni dei soggetti interessati, quello pubblico e quello privato, deve continuare a lavorare per garantire da un lato l’equilibrio tra interessi e ragioni, dall’altro lato una autonomia di movimento da parte di ogni singola Asi. L’immissione nel sistema di un tetto massimo non inficia questa autonomia, che viene solamente privata dalle insidie che una deregulation selvaggia può determinare tra una impresa di Salerno e una di Caserta, ma la rafforza, perché sotto al tetto massimo i consorzi Asi possono inserire la cifra, il valore del tetto massimo nelle proprie strategie di bilancio, singole e peculiari.
Ma siccome la peculiarità dell’Asi di Caserta è quella di un bilancio folle, è chiaro che il tetto massimo diventa una sorta di camicia di forza, perché alla presidente Pignetti non bastano mai i soldi che servono per finanziare la sua gestione clientelare, per finanziare il mezzo milione di euro all’anno di incarichi legali esterni pur potendo disporre di un ufficio legale interno, composto da due o tre avvocati.
Le ultime ragioni sono da cinema: all’Asi Caserta sarebbe stato impedito un contraddittorio autentico con la Regione. Ma scusate – questo scrive in pratica anche il giudice – ma se l’hanno invitata formalmente e lei, presidente Pignetti, ha rifiutato l’invito e non si è presentata alla riunione del coordinamento, ad epilogo della quale 4 asi della Campania hanno trovato un’intesa, un punto di equilibrio, come pensa che sarebbe dovuto avvenire il contraddittorio?
Conclusione: questa è una sentenza tombale che il Consiglio di Stato non potrà mai ribaltare perché le ragioni del rigetto appartengono alla logica che trascende ogni considerazione, pur fondamentale, di carattere giuridico.
Quanto ci volete scommettere che quei bellimbusti del comitato direttivo voteranno ora una delibera per presentare ricorso al Consiglio di Stato in modo da spendere altri 70-80mila euro da consegnare a ben definiti avvocati esterni?
Poi ci sarebbero gli altri 99 modi, ma in questi anni li abbiamo esplicitati incrociando purtroppo la disattenzione di un’opinione pubblica che non esiste in provincia di Caserta, ma anche quella di una magistratura che ha vissuto, negli ultimi due lustri, il suo peggior periodo storico, dal 1946 ad oggi, come dimostrano chiaramente certe nomine di tipo politico incassate da chi è stato titolare (si fa per dire) dell’azione penale in tutte e due le Procure. Ma questo è un altro discorso che affronteremo poi.
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