L’EDITORIALE. Arrestato un delegato cittadino della Lega. Ribadiamo il concetto: Salvini in Campania rischia grosso

17 Ottobre 2018 - 17:53

 

di Gianluigi Guarino

 

Matteo Salvini non potrà certo lamentarsi se i suoi avversari politici utilizzeranno l’arresto, avvenuto ieri mattina, del “signor Bartolomeo Falco” per screditare il suo partito.

Non si può lamentare perché lui, Salvini, che tanto deve alla comunicazione senza fili, senza filtri e a reti universalmente unificate dei social, il successo raggiunto, che lo rende oggi il politico più popolare d’Italia. Salvini, come nessuno, ha sfruttato a suo favore e a favore della Lega i nuovi strumenti della comunicazione orizzontale, lui è Facebook sembrano fatti l’uno per l’altro.

Salvini massimizza la rendita politica, garantitagli dalla stabile presenza sul social più diffuso perché questo è particolarmente adatto al tipo di comunicazione, al linguaggio, alla vis innegabile, tra il freddo e lo spavaldo, che il capo della Lega riesce, indissolubilmente, a esprimere in maniera naturale. Anche Renzi ha speso tanto su i social ma non ha raggiunto gli stessi risultati. Negli ultimi due anni Facebook è diventato una sorta di boomerang per il già presidente del consiglio proprio perché la lunghezza, il linguaggio colmo di tecnicismi evapora in un contesto in cui la frase secca, meglio ancora se trasmessa attraverso un video, diventa una sorta di scommessa continua che ti può far vincere o perdere tutto.

E allora, Salvini non potrà certo parlare di strumentalizzazione se oggi i suoi avversari, ma anche i suoi nemici, annichiliti e ridotti quasi alla canna del gas da sondaggi che premiano la Lega finanche ad un livello superiore rispetto a quelli storici del Berlusconi trionfante degli anni 90 e del primo decennio degli anni 2000, si aggrapperanno a questa piccola vicenda giudiziaria.

Credetemi, stavolta dico sul serio, non voglio “spararmi la posa”, come più o meno scherzosamente faccio nei miei articoli per cibare limiti e insicurezze caratteriali, anche perché non è che ci volesse un grande analista politico per prevedere, già da prima delle elezioni di marzo, un percorso rischioso per il Carroccio, ma è chiaro che la riproposizione di nostri articoli risalenti al mese di febbraio e poi di aprile sarebbe efficace per parlare bene e per dar ragione, non alle ragioni espresse dal sottoscritto ma ad una logica di analisi e di considerazione dei fatti che il giovane leader milanese ha sicuramente sottovalutato e che noi riproponiamo in questo articolo che, a differenza degli altri, si basa un fatto accaduto, che costituisce un supporto più concreto e credibile rispetto a una premonizione o a una semplice previsione, al contrario uniche basi costitutive dei nostri precedenti articoli.

Ipotizziamo dunque che il “signor Bartolomeo Falco”, delegato cittadino della Lega di Salvini in quel di Tufino, fosse stato arrestato per droga 3 anni fa quando militava, stando a ciò che abbiamo appreso dall’oracolo di Google, nell’Udc. Questo avvenimento sarebbe stato rubricato da giornali cartacei e online nel settore delle cosiddette “brevi di nera”. D’altronde, la notorietà di Bartolomeo Falco non prevarica i confini dell’area baianese, cioè quella più orientale della provincia di Napoli.

Attenzione, però, ieri mattina non è stato arrestato il “signor Bartolomeo Falco”, ma il delegato cittadino della Lega.

Già immagino l’obiezione: febbre di crescenza, normali incidenti di percorso in un partito che in 8 anni è passato da una percentuale inferiore al 5%, al 18% (quasi) delle ultime elezioni, fino a valicare la quota del 33% degli ultimi, uniformi e concordanti sondaggi. Ma l’obiezione non regge perché la scelta della classe dirigente della Lega in Campania, forse anche in Calabria e forse anche in Sicilia, non potendo essere cosa differente da un’operazione a freddo, visto che l’esplosione del consenso a Salvini nel sud del paese è avvenuta in maniera quasi repentina, meritava ben altra prudenza.

Non è che in Campania non si sappia chi è e che cosa abbia fatto Enzo Nespoli, che nessun partito, neanche le vituperate sigle del centrismo poltronaro e atomizzato del tempo posteriore all’esplosione di “Mamma DC”, si sarebbero presi con loro.

Il coordinatore regionale, Gianluca Cantalamessa, scelto da Enzo Nespoli, dirà, sicuramente, che è assurdo generalizzare di fronte a un caso isolato. Non sarà isolato questo caso perché chi conosce la politica di questa regione e ha dato uno sguardo all’elenco dei delegati della Lega è convinto, in base ad una ragione costruita sull’esperienza e di una conoscenza datata di luoghi, fatti e persone, che il caso di questo Falco non rimarrà isolato perché la logica che ha influenzato le scelte sui territori comunali da parte di Gianluca Cantalamessa e dai suoi coordinatori provinciali, è lontana anni luce dal dna costitutivo, dal tessuto connettivo della Lega che Salvini è riuscito, in questi anni, a far ritornare in auge dopo il declino e la catastrofe della prima classe dirigente che ha perso, restandone ammaliata e assorbita, la sua storica battaglia contro “Roma Ladrona”.

D’altronde, Nespoli, Cantalamessa e la sottosegretaria al Mezzogiorno Pina Castiello (beh, qui Salvini ha fatto capire di essere diventato un potentissimo perché ci vuole un coraggio leonino…) la politica la sanno fare solo in un modo. Con loro, ma diremmo meglio, dato che non si tratta di rilievi di tipo personale, per carità, con il loro metodo, nulla hanno a che vedere le ormai sempre più stinte e lise le categorie novecentesche della Destra e della Sinistra. Questi sono politici meridionali, e lo dice un meridionalissimo come il sottoscritto, che rappresentano, insieme a tantissimi altri loro colleghi, il male di questo territorio perché l’unica cosa che riescono a concepire è la costruzione del consenso attraverso clientele, amicizie spericolate, attitudine e tensione alla conquista delle poltrone che rappresentano per loro l’unico alimento, l’unica possibilità di costante autorigenerazione di questi processi di crescita elettorale.

Non penso che Salvini abbia spiegato all’Italia di essere l’uomo del cambiamento, il politico che non le manda a dire, il ruspante nemico dei politicanti e del politichese che parla il linguaggio della gente, per poi costruire, al Sud, un partito che vuol riprodurre gli schemi decadenti e distruttivi degli ultimi anni della Democrazia cristiana e del Partito socialista. Fare una politica diversa con i Nespoli, i Cantalamessa, le Castiello è impossibile perché si tratta di persone che non riescono nemmeno a concepire l’idea che si possa agire in politica, soprattutto qui al sud, e nelle province di Napoli e Caserta, in maniera differente rispetto agli schemi della straccioneria clientelare e assistenzialista.

Ecco perché quello di Bartolomeo Falco, al di là dei tratti specifici della sua vicenda personale, non rimarrà un caso isolato, perché di “Bartolomei” Falco negli ultimi mesi ne sono stati scelti a bizzeffe, sia in provincia di Napoli che in Provincia di Caserta.

Nespoli, Cantalamessa e la Castiello non lo fanno per cattiveria e, certamente, non vogliamo demonizzarli, perché, tutto sommato, non sono peggio, ma nella media dei politicanti meridionali. Semplicemente, sono fatti così, sono nati così. E questo che applicano è l’unico archetipo biologico a cui riescono a pensare per piantare una bandierina nel tal o nell’altro comune. Non si sono posti mai il problema della vita, della consistenza esistenziale delle persone a cui si rapportano. Queste, le persone, sono valide solo se sono utili alla ricostruzione e ad un nuovo consolidamento di un modello di potere, che poi è il vecchio modello di potere, in grado di funzionare quando esistono efficaci, efficienti e per l’appunto, utili mediatori territoriali di un consenso costruito attraverso i sistemi appena citati.

Ma a Matteo Salvini, che i voti li prende solo grazie alla sua popolarità, attraverso quel tipo di comunicazione, quel tipo di messaggio politico, serve realmente riempire il territorio di persone che, di lì a poco, provocheranno casini tali da attirare, tra Napoli e Caserta, gli inviati di Repubblica, Espresso e Fatto Quotidiano, che scandaglieranno la vita e i curricula ufficiali (e soprattutto quelli ufficiosi) dei delegati della Lega nei comuni e anche in contesti più territorialmente estesi. No, non serve. E allora perché lo fa?

Perché è abituato a una forma partito di tipo classico, fatta di tesserati, militanze, di sezioni, di partecipazione democratica della cosiddetta base alla vita e alle decisioni del partito? In effetti, Salvini nasce e si forma in questa cultura e in questa mentalità, ma una cosa è la sezione di Saronno, di Brembate, di Conegliano Veneto, luoghi in cui lo sviluppo, il benessere, l’abitudine storica dei popoli ad essere autonomi sin dal tempo dei comuni che poi costituiscono nella traccia storica e anche simbolica di Pontida e del Carroccio, il nerbo costitutivo della Lega, altra cosa è il Meridione centralistico, mai sussidiario, mai in grado di costruirsi come comunità autonome, capaci di autodeterminare in contesti territoriali limitati il loro destino.

Al sud, essere cittadino è difficile, anzi, quasi impossibile, ciò perché questa identità storica che affonda le radici nelle dominazioni, nel centralismo e nella potestà paternalistica del regno borbonico ne segna ancora oggi il destino e soprattutto è, nel presente, il selezionatore delle classi dirigenti (si fa per dire), che interpretano uno schema tanto antico quanto nefasto in cui la persona è considerata carne da urna elettorale, servitrice del potere esercitato da chi l’ha conquistato non per merito ma per furbizia, cazzimma e spesso attraverso pratiche criminali e para-criminali.

Assecondare questo metodo, può diventare un rischio enorme per Matteo Salvini che farebbe male a sottovalutare, considerandoli una fisiologica eccezione, casi come quello di Bartolomeo Falco.