AVERSA. Gentilmente, non prendete in giro la gente: Golia, Villano, Mormile fanno cadere il velo sull’ippodromo. Centri commerciali e case targate Nino Della Gatta

18 Luglio 2022 - 17:57

Abbiamo potuto occuparci, solo dopo alcuni giorni, del materiale e della denuncia fatta arrivare ai giornali dal consigliere comunale del Pd Paolo Santulli

 

 

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AVERSA (gianluigi guarino) – Chi ha scritto le quattro pagine definite lineamenti strategici per la redazione del Puc della città di Aversa, non si accontenta, evidentemente, di assorbire, come anche in passato è successo, soprattutto in questi territori, le pressioni che gli imprenditori più danarosi, più forti, che hanno costruito – solo loro sanno come – patrimoni dal valore esorbitante, producono su chi dovrà disegnare una volta e per tutte questi benedetti o maledetti Puc.
Puc che, secondo la legge regionale vigente avrebbero dovuto essere approvati da tutti i comuni della Campania entro il 2015 o 2016 – non ricordiamo bene, ma è la stessa cosa – e che oggi, nel luglio 2022, sono ancora per la maggior parte al palo, incastrati nell’ennesima proroga che stavolta è fissata per il 31 dicembre di quest’anno.

Come si suol dire, alcune cose si sono sempre fatte in un certo modo, sin dagli albori della legislazione urbanistica del dopoguerra, sin dal tempo dei Piani di Fabbricazione, a cui seguirono i Piani Regolatori Generali quando la cementificazione selvaggia, che comunque i suoi mostri li insediava su territori ancora non pesantemente antropizzati, rappresentò un tema di dibattito politico, ma soprattutto culturale, con i registi cinematografici di sinistra in prima linea nella denuncia che trovò nel film
“Le mani sulla città” di Francesco Rosi una sorta di opera guida emblematica e, quand’anche ideologizzata, fedele rappresentazione di ciò che avveniva in Italia, soprattutto al Sud, dove attorno alla grande speculazione edilizia le mafie potettero realizzare il loro salto evolutivo (chiamarlo di qualità sarebbe troppo) incamerando risorse che poi avrebbero fatto di cosa nostra, della camorra campana, della ‘ndrangheta, organizzazioni criminali di struttura e livello internazionali.
Insomma, nulla di nuovo sotto il cielo?
Fino a un certo punto, visto che un piano regolatore del 2022 dovrebbe essere uno strumento di organizzazione e di utilizzo del territorio, con una finalizzazione controllata, presidiata come non mai, in modo da garantire realmente dei percorsi di crescita culturale e soprattutto ambientale, e Dio solo sa, nei giorni in cui anche Aversa si appresta a tornare a quei 43 gradi all’ombra che hanno rappresentato la temperatura record della sua storia, quanto ce ne sia bisogno.
A dire il vero, nel momento in cui leggi le quattro pagine dei lineamenti del prossimo Puc di Aversa, ritieni, se non sei un addetto ai lavori e non conosci manzonianamente i tuoi polli, che questa tensione culturale, progressista, questa sensibilità a investire risorse ed energie della pubblica amministrazione in una seria, concreta rilettura dei servizi urbani e più in generale dell’utilizzo fisico del territorio, in funzione delle ormai irrinunciabili necessità di controllo dei fenomeni degenerativi di tipo ambientale, sia correttamente assorbito, rappresentando un elemento precipuo del lavoro di programmazione.
Conoscendo, invece, l’habitat aversano e quindi tutti “i polli di Renzo” capisci bene che tutto il contenuto di queste quattro pagine è decisamente condizionato da pochi e ben precisi passaggi, perché se uno si concentra sul bio-lago, addirittura sulla foresta urbana di 5mila metri quadrati, che poi in una città con un carico urbanistico e densità abitativa da metropoli indiana, dovrebbero spiegarci dove la farebbero e come la tutelerebbero, producono un effetto assorbito e neutralizzato totalmente da questi due o tre passaggi che aprono la strada ad insediamenti frutto di una mentalità tipica degli anni ’50, frutto di quello che tanti di noi hanno visto nel film di Rosi appena citato e che non c’entra proprio nulla con la foresta urbana inserita in una città in cui la distanza più larga tra il muro di un palazzo e quello ad esso contiguo non supera di solito il metro, metro e mezzo.
Si dirà: ma queste due spinte, questi due marchi d’identità, non possono convivere con questo Piano?
In teoria sì, nella pratica no.
Ecco perché abbiamo scritto, all’inizio, di aver colto in queste quattro pagine una sorta di spirito maramaldo nella penna da cui sono uscite fuori, che vuol spacciare per un Puc moderno, adeguato ai tempi e a quelle che comunemente e ormai troppo ritualmente vengono definite sfide epocali, una roba come tute le altre, come tutte quelle realizzate nelle pianificazioni urbanistiche di Aversa dagli anni ’50 ad oggi.
Anzi, anche peggiore, perché oggi il carico urbanistico che si manifesta in indici di insediamento del tutto inadeguati, assolutamente fuori registro, rispetto alla prospettiva di una città più green e vivibile, meno stressata e stressante, rende quasi delittuoso pensare con la mentalità con cui pensano quelli che, su pressione degli imprenditori dei poteri forti e della polizia locale, hanno finito per prendere in giro gli aversani nel momento in cui fanno convivere il bio-lago e la foresta con la seguente affermazione:

“Appare evidente – scrivono gli estensori di questo articolo – in primo luogo l’inadeguatezza del quadro di riferimento sovraordinato costituito
dal Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Caserta, approvato nel 2012, che
restituisce lineamenti strutturali e criteri dimensionativi ampiamente superati non solo dal punto di
vista cronologico e temporale, ma anche rispetto al contesto socio-culturale, stanti le vicende epocali
intercorse e tuttora in atto”.

Dunque, il Piano Territoriale provinciale, meglio noto col suo acronimo Ptcp, non sarebbe adeguato alle vicende epocali.

Domanda: ma perché, il Ptcp reintroduce la benzina di colore rosa ad alta densità di ottani?

Per caso il Ptcp che uscì dalla matita avveduta e sobria dell’allora assessore provinciale all’Urbanistica Gianni Mancino prevede la possibilità di insediamenti industriali, di opicifi artigianali, nel pieno del centro storico o anche fuori da questo, liberalizzando le stirerie a carbone dei ferri a carbone con scarichi non filtrati alla diossina?

Cosa c’entra il Ptcp con i problemi epocali a cui il gruppo di teste d’uovo che si avvia a produrre il Puc del Comune di Aversa cita come elemento di inadeguatezza dello strumento sovraordinato?

Fino a qualche anno fa, cioè fino alla sciagurata riforma pre-referendaria firmata dall’allora ministro Del Rio e voluta fortemente dal premier dell’epoca Matteo Renzi, che viveva adagiato su una nuvoletta, avendo perso totalmente il senso della realtà, come capita spesso a quei potenti la cui intelligenza non si traduce nella consapevolezza di essere comunque uomini in carne ed ossa, e dunque difettosi, linmitati, le province avevano una rassicurante potestà dentro alla procedura di approvazione dei Piani Regolatori, delle variazioni parziali degli stessi e, in generale, su tutti gli strumenti della pianificazione urbana che dai Prg discendevano.

Oggi le cose sono cambiate, naturalmente in peggio. Non a caso la definizione di Piano Regolatore Generale è stata sostituita da quella di Piano Urbanistico Comunale.

Gli strumenti di pianificazione approvati da un Comune e sottoposti all’osservazione dei cittadini, devono ancora essere inviati obbligatoriamente all’amministrazione provinciale.

Ma mentre prima i pareri avevano carattere vincolante, per cui se un Prg era stato redatto in contrasto con il Ptcp non passava e basta, venendo bocciato senza remissioni, oggi scelleratamente questo parere, che pure i Comuni devono acquisire, non è più vincolante.

Nel senso che se un Puc contrasta con il Ptcp, con tanto di bocciatura o di rilievo critico da parte di un’amministrazione provinciale, il Comune può non tenerne conto e può mandarlo in vigore lo stesso. Ciò rende inquietante l’affermazione contenuta nel documento preliminare al Puc di Aversa. Altro che inadeguatezza rispetto alle emergenze epocali, il Ptcp è ancor di più i Piani Territoriali Regionali, apice della piramide regolatoria, erano stati pensati per bilanciare le potestà comunali, fortemente condizionabili dagli imprenditori, dagli interessi familiari o parafamiliari dei politici locali.

Quella del Ptr e del Ptcp era una visione di insieme che fissava dei paletti solo e solamente finalizzati a limitare, a contenere, moderare, l’esuberanza del calcestruzzo.

Per cui, se il Piano Territoriale della Regione Campania era valido una dozzina di anni fa, quando durante il governo di Bassolino fu approvato, è ancor più valido oggi nel momento in cui quelle spie di allarme in esso contenute si sono tradotte in conseguenze largamente più gravi rispetto a quelle prefigurate.

Stesso discorso per i Ptcp. Se i signori che hanno mostrato le loro vere intenzioni affermano che questo non è più adeguato alle necessità sopravvenute, vuol dire, ma loro non lo scrivono, che anche il Ptr è inadeguato, visto che il Ptcp di Caserta, come quello di altre province, si è dovuto muovere dentro alla cornice perimetrata dalla Regione.

È la Regione Campania che ha stabilito le cifre precise del fabbisogno abitativo complessivo, provincia per provincia.

Dentro a questo quadro vincolante, i Ptcp hanno distribuito questo carico Comune per Comune in base ai carichi già esistenti, alle cifre percentuali relative all’incidenza degli immobili abusivi e a tanti altri parametri che poi, eventualmente, se sarà necessario, elencheremo in un altro articolo.

Dunque, se tu Comune di Aversa, se tu sindaco Alfonso Golia, se tu assessore all’Urbanistica e ai Lavori Pubblici Marco Villano ispiri questa impostazione del gruppo di lavoro dei tecnici che sta mettendo a punto il nuovo Puc, vuol dire solo una cosa. Vuol dire che ti vuoi sbarazzare del Ptcp in quanto questo rappresenta un ostacolo ad una ulteriore cementificazione del territorio.

L’uomo che Cesare Lombroso avrebbe studiato volentieri, cioè il sindaco Golia, non pronunciò una volta, in maniera solenne, il giuramento che fino a quando fosse  stato in carica ad Aversa non sarebbe scorsa una sola goccia di cemento?

Se la testa del documento di cui ci stiamo occupando è velenosa, la coda è ancora peggio.

Scrivono gli estensori: “Alcune macro-azioni possono essere già indicate in prima istanza in fase di indirizzo strategico, in
quanto connotate da evidente centralità e priorità.
È il caso della rigenerazione dell’area dell’ippodromo, per la quale si deve perseguire la realizzazione
di una alternativa urbana sostenibile, orientata a destinazioni d’uso integrative alla realtà esistente di
Aversa Sud, connotata da una pluralità di funzioni terziario-produttive e misto-residenziali”.

Ah, e allora ditelo: Della Gatta chiama, l’amministrazione comunale risponde. Di chi sono per la maggior parte i terreni della zona dell’ippodromo? Del costruttore di San Cipriano D’aversa, in passato presidente dell’Unione Industriali di Caserta, Nino Della Gatta, un tempo più vicino a Stefano Graziano, oggi, attraverso il figlio, quello da noi più volte citato negli articoli sul conflitto di interessi tra il suo ruolo nel Cda dell’Acer, ex Iacp, e quello di guida provinciale dell’Ance, che sta per .., collegatissimo a Giovanni Zannini, che con il figliolo di Della Gatta, ha costituito un granitico sodalizio affettivo che porta entrambi anche a trascorrere delle piacevoli serate dopolavoristiche insieme, in armonia e letizia.

Nelle scorse settimane il consigliere comunale del Pd Paolo Santulli ha definito come una vera e propria bomba queste quattro paginette, a partire dalla proposta di approvazione di tutti i suggerimenti dei cittadini, anche di certe osservazioni particolari e non generali peraltro già bocciate dalla commissione Urbanistica del Comune di Aversa.

Santulli non ha torto e noi, cjhe un po’ di storia di questa città la conosciamo, non possiamo dire altro che tutta quella menata sul Ptcp, appare solo finalizzata a liberarsi dei vincoli che oggi dovrebbero essere finanche più rigidi, finanche più attenti ad evitare colate di cemento, di quanto non lo furono nel 2012, cioè quando il Ptp di Caserta fu approvato, e di quanto non fu il Ptr contenente tutte le cifre dei fabbisogni e dunque la infrastruttura messa a disposizione dalle province in modo che queste potessero stabilire ciò che le scellerate riforme degli ultimi anni hanno privato del privato del carattere dell’obbligatorietà, ovvero, in soldoni, quanti appartamenti, quanti vani si potessero ancora costruire in ogni singolo Comune di questa provincia.

Poche chiacchiere, il preliminare del Puc che di qui a poco, riteniamo, dovrà essere portato in giunta per l’approvazione, dovrà necessariamente contenere i numeri del carico residenziali e dei carichi commerciali previsti. A quel punto il gioco sarà scoperto e si vedrà, investendo il Tar ed eventualmente il Consiglio di Stato della questione, se questa autonomia selvaggia attribuita ai Comuni rappresenterà la nuova e indiscutibile configurazione normativa in tema di pianificazione territoriale o se invece la demolizione degli strumenti un tempo sovraordinati, cioè Ptr e Ptcp è un’operazione che i Comuni non possono consentirsi di fare.