CAMORRA & CEMENTO. Mimmo Pagano e i due Verazzo: scarcerati tutti, ma c’è una differenza grande che potrebbe pesare sull’esito del processo

26 Agosto 2021 - 12:45

In calce all’articolo pubblichiamo il testo integrale delle motivazioni per le quali la Corte di Cassazione ha scarcerato da una cella del penitenziario di Catania il noto imprenditore di Trentola Ducenta. Successivamente, probabile entro domani, andremo ad esaminare i motivi di un provvedimento che per effetto è speculare al primo, relativo agli imprenditori di Casal di Principe, trapiantati a Capua. La differenza c’è e si vede 

 

TRENTOLA DIUCENTA – (g.g.) Assorbire alla maniera sciuè sciuè le decisioni assunte ieri dal tribunale del Riesame di Napoli su tre nomi “eccellentissimi” dell’imprenditoria mattonara casertana, ma diremmo meglio, in questo caso, capuana di origine aversana, significa ritenere che a Domenico Pagano, per gli amici Mimmo, costruttore edile danarosissimo di Trentola Ducenta e fratello dell’ex sindaco, ora defunto, Nicola Pagano, sia capitata la stessa sorte toccata ai cugini Francesco e Giuseppe Verazzo, originari di Casal di Principe e trapiantati da anni nella città di Fieramosca.

In apparenza, è così. Anzi, possiamo anche introdurre una categoria più solida dell’apparenza, perchè, effettivamente e tutto sommato, i tre soggetti sono stati scarcerati e hanno dunque potuto abbandonare le celle in cui erano rinchiusi, precisiamo, per motivi cautelari, non essendo risultata ancora a loro carico alcuna condanna definitiva.

C’è un secondo livello di valutazione, però che appartiene soprattutto alla sfera cognitiva degli addetti ai lavori, ma non ha solamente una valenza tecnico-giuridica fine a se stessa, perchè è destinata comunque ad incidere sui passi successivi di quella procedura cominciata con le indagini della Dda di Napoli che portarono poi all’arresto, lo scorso febbraio, dei tre appena menzionati e anche a quello di un altro Domenico, stavolta Domenico

Farina da San Prisco, sempre Mimmo per gli amici, pretoriano, accompagnatore e socio di Francesco Zagaria, detto Ciccio ‘e Brezza, di cui, riteniamo, non dover di nuovo declinare le generalità e una breve biografia per quante volte l’abbiamo fatto negli ultimi due anni.

La differenza che, almeno in partenza, può influire sull’esito delle fasi processuali future, è rappresentata dal dispositivo da cui si intuiscono anche le motivazioni addotte ieri dal tribunale del Riesame a corredo della decisione di scarcerare i tre imprenditori. Intanto, va premesso che sia i due Verazzo che Mimmo Pagano sono arrivati, per la seconda volta, al tribunale del Riesame, in quanto i loro avvocati avevano ottenuto un annullamento della misura a loro carico da parte della Corte di Cassazione.

Non un annullamento tombale già esecutivo e dunque in grado di determinare l’immediata scarcerazione, ma quello che si definisce nel linguaggio giuridico, “annullamento con rinvio”, molto più frequente nelle deliberazioni del massimo grado di giudizio italiano, quando questo si occupa di misure cautelari. In pratica la Cassazione ha detto al Riesame, il quale ieri su queste indicazioni ha messo il suo sigillo, che su certi contenuti della decisione che nel caso di specie, è stata quella di confermare l’arresto dei Verazzo e dei Pagano, effettuato in prima battuta dal gip, esistono elementi non convincenti, che vanno dunque ripensati, ristrutturati proprio alla luce delle riserve di contenuto che i giudici di ultima istanza, i giudici della legittimità, hanno messo nero su bianco dopo aver esaminato i narrati dei ricorsi dei difensori e dopo aver ascoltato le tesi dell’accusa, rappresentata dalla procura generale presso la Corte di Cassazione, attraverso un sostituto.

Per il momento, dunque e dopo aver divaricato solo assertivamente i sentieri di Pagano e dei Verazzo, mettiamo in fresco la trattazione dei motivi per cui questi ultimi sono stati scarcerati, non risparmiandoci, però, nel comunicare che il tribunale del Riesame, accogliendo ciò che la Cassazione aveva esposto come riserva della prima decisione dei giudici della libertà, ha prodotto una motivazione che pesa, e anche molto: Francesco e Giuseppe Verazzo vengono scarcerati in quanto l’accusa a loro carico non è supportata da quei gravi indizi di colpevolezza che ai sensi dell’articolo 273 del codice di procedura penale è elemento indispensabile per emettere una misura carceraria.

Dunque, il problema peserà soprattutto sui pubblici ministeri della Dda che si preparano a sostenere l’accusa, prima davanti ad un gup del tribunale di Napoli, ovviamente con un’identità personale diversa rispetto a quella di chi che firmò gli arresti, poi eventualmente, ancora davanti al tribunale di Napoli se i Verazzo chiederanno ed otterranno il rito abbreviato o davanti al tribunale di Santa Maria, in caso di rito ordinario, perchè questi reati sarebbero stati compiuti a Capua, dunque, in un’area di competenza di un tribunale sammaritano.

Certo, è anche vero che nè il gup, nè il tribunale giudicante devono sottostare a vincoli nei confronti di ciò che sulle misure cautelari dei Verazzo ha scritto la Cassazione e ha certificato ieri il Riesame. Per cui, potrebbero vedere le cose in maniera differente, ritenendo che i gravi indizi di colpevolezza, al contrario di ciò che hanno scritto i magistrati dell’ultima istanza, esistano e dunque, facendo partire il processo a carico dei Verazzo, da una base non così sfavorevole alla pubblica accusa. Ma è difficile che questo accadrà, perchè una sentenza di primo grado va quasi sicuramente in corte d’appello e poi eventualmente in Cassazione e se un tribunale della legittimità, pardon, una corte suprema della legittimità ritiene oggi che i gravi indizi di colpevolezza ai danni dei Verazzo non sussistano, difficilmente tra 3 o 4 anni potrà decidere il contrario.

A meno che i pubblici ministeri non portino, in udienza preliminare e/o nel process,o elementi nuovi che possano far lievitare, rinvigorendolo, l’attuale quadro accusatorio. E questo non è detto affatto che non accada.

Ora invece andiamo sul fronte di Mimmo Pagano: in questo caso, i suoi avvocati difensori Giovanni e Michele Cantelli sono riusciti ad ottenere la scarcerazione rispetto ad una detenzione particolarmente afflittiva, dato che, come abbiamo scritto in un paio di occasioni, il noto imprenditore di Trentola Ducenta, era recluso in Sicilia, nel carcere di Catania, dunque molto molto lontano dalla sua famiglia, dai suoi aprenti che avranno avuto seri problemi ad organizzarsi per le visite.

Già per questo, Pagano può ritenersi soddisfatto, anzi, molto soddisfatto. Non è riuscito però a farsi annullare l’ordinanza dalla Corte di Cassazione, per lo stesso motivo per cui questa l’ha annullata ai Verazzo. Al riguardo, abbiamo letto con attenzione i motivi depositati dagli alti magistrati romani e che vi mettiamo a disposizione, nella loro veste integrale, in calce a questo articolo.

La difesa di Pagano aveva messo in discussione sia la credibilità di Nicola Schiavone, cioè del principale collaboratore di giustizia che accusa, anzi che chiama in correità Mimmo Pagano, a partire dalla presunta consegna a quest’ultimo, attraverso Giacomo Capoluongo, di una cifra di 500mila euro che avrebbe rappresentato un vero e proprio contributo da socio del Nicola Schiavone nella costruzione del cosiddetto palazzo dei cento in quel di Capua, destinato ad accogliere strutture sanitarie, uffici, insomma, attività lucrose che promettevano lauti guadagni sia per Pagano che per Nicola Schiavone.

Nelle motivazioni della Cassazione leggerete tante altre cose che configurano l’indagato come un imprenditore particolarmente legato al clan dei casalesi, in un rapporto fluido al punto che, ad avviso della Dda, lo stesso Pagano versava, scrivono i giudici della Corte Suprema, “sua sponte” le quote di guadagno acquisite su molti lavori. Al riguardo, oltre al caso di Capua, già evidenziato, si fa anche riferimento ad uno a Trentola, con la costruzione di dieci villette e trenta appartamenti in zona cimitero.

In sintesi, la Corte di Cassazione considera attendibili, consonanti da un punto di vista logico, tutte le altre dichiarazioni rilasciate dai pentiti, ultimo dei quali Francesco Zagaria, preceduto da Orabona, Barbato, Misso, Caterino e infine dal trentolese Francesco Cantone, rispetto all’impianto strutturato da Schiavone già in sede di primo interrogatorio, avvenuto precisamente il 19 luglio 2018. Il tentativo di neutralizzare la validità delle dichiarazioni di Nicola Schiavone è stato ovviamente finalizzato a far cadere la consistenza delle ragioni per cui prima il gip, poi il tribunale del Riesame, avevano ritenuto invece esistenti e consistenti i gravi indizi di colpevolezza.

E neppure ha fatto breccia nella testa dei giudici della legittimità, la ragione addotta dalla difesa nel momento in cui ha lamentato che, a fronte di una riqualificazione del reato che il gip aveva definito come partecipazione diretta al clan camorristico dei casalesi da parte di Mimmo Pagano, in concorso esterno, così com’è stato configurato dal Riesame, non c’è stata alcuna considerazione sulla conseguenza di questa differente valutazione. In pratica, Mimmo Pagano era stato arrestato come partecipante al clan ed è rimasto in galera come concorrente esterno. Ma su questo, come leggerete, la Cassazione ha spiegato che non c’è alcun automatismo, visto e considerato che i due reati sono gravi a sufficienza per prevedere, sia nel primo caso, che nel secondo caso, la detenzione carceraria.

Dunque, è rimasto solo il terzo motivo del ricorso, cioè quello molto buono e parimenti utile rispetto a quello sui gravi indizi di colpevolezza, nella fase cautelare, ma che, a differenza del discrimine sui gravi indizi di colpevolezza, non ti cambia la vita in previsione del processo. Secondo l’avvocato Giovanni Cantelli non esistevano più gli elementi, o meglio l’elemento su cui si basava l’arresto di Pagano. Com’è noto, almeno ai nostri lettori appassionati di cronache giudiziarie, il codice di procedura penale costituisce il fondamento della misura in carcere, ma questo verrà applicato (il caso riguarda anche misure cautelari meno afflittive, come i domiciliari, l’obbligo di dimora eccetera) solo se persistono tre elementi che giustificano la cautela con cui lo stato non ti tiene libero, in attesa che queste esigenze vengano a cessare. Stiamo parlando della reiterazione del reato, del pericolo di fuga e dell’inquinamento delle prove.

A Mimmo Pagano è stato ordinato di andare in carcere in quanto esisteva il pericolo di una reiterazione del reato compiuto, perchè continuando a operare in quel territorio e restando intatti i rapporti con le consorterie criminali che mettevano in campo altri soggetti comunque direttamente collegati a Nicola Schiavone, finito in carcere nel 2010, Pagano avrebbe potuto riprendere le sue attività economico-criminali. Ma qui la Cassazione dà pienamente ragione alle tesi della difesa. Soccorre, al riguardo, a nostro avviso, anche la riqualificazione del reato, visto che la giurisprudenza a cui gli ermellini romani fanno riferimento, è relativo proprio al reato di concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso.

Già che ci siamo, soccorrono, paradossalmente, pure le dichiarazioni di Schiavone, cioè di colui che ha determinato in pratica l’arresto di Mimmo Pagano. Soccorrono perchè Schiavone è arrestato, come detto, nel 2010 e successivamente, per quello che lui ha potuto conoscere dal carcere, non gli risulta che Mimmo Pagano fosse ancora in contatto con il clan. Nè dagli altri pentiti sono arrivati contributi che raccontavano di attività tra imprenditore e clan dei casalesi negli anni successivi al 2010. Per cui, riviste poco significato l’unica affermazione esistente, formulata da Francesco Zagaria, Ciccio ‘e Brezza, il quale dice che nel 2015 aveva sentito parlare di Domenico Pagano da Carmine Antropoli.

Insomma, Mimmo Pagano esce dal carcere solo perchè cade il pericolo di reiterazione del reato, mentre, ribadiamo, resta intatta la struttura dei gravi indizi di colpevolezza. Questo rovescia, rispetto a quella dei Verazzo, la condizione dell’indagato trentolese, in previsione del processo. Sarà dunque più dura per l’avvocato Giovanni Cantelli, al quale però non mancano l’esperienza ed il talento per sostenere un processo difficile che parte, come si suol dire, ad handicap.

Per come ce ne siamo occupati e per come ce ne occuperemo, a partire da un’analisi speculare che faremo di qui a 24, massimo 48 ore, sui motivi che hanno spinto la Corte di Cassazione a non considerare esistenti i gravi indizi di colpevolezza ai danni dei Verazzo, si capisce che seguiremo con attenzione anche gli eventi futuri, visto che consideriamo Mimmo Pagano e i Verazzo degli imprenditori molto importanti. Si sa bene cosa pensiamo del primo, ma questa non è ancora la sede per sviluppare, anzi, ri-sviluppare ed aggiornare le nostre opinioni, come sicuramente andremo a fare in seguito.

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