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Che garbuglio l’omicidio Caterino tra pentiti vecchi e nuovi, smemorati, indagini decadute e resuscitate. Ma qualche dubbio su Ciccio ‘e Brezza resta

7 Dicembre 2021 - 21:00

In calce all’articolo, lo stralcio dell’ordinanza di qualche giorno fa con cui il gip ricostruisce in certi passaggi con modalità un pò faticose, la storia giudiziaria complicata di quello che è stato l’ultimo dei grandi delitti del clan dei casalesi a cui parteciparono tutti i boss che schierarono nelle strade della città del foro i loro uomini più fidati e più spietati

 

SANTA MARIA CAPUA VETERE(g.g.) Venire a capo della storia giudiziaria relativa al duplice omicidio di Sebastiano Caterino e Umberto De Falco rappresenta un esercizio buono per gli enigmisti, per i risolutori di rebus o per le donne di un tempo che quando dovevano sciogliere, dipanare una matassa, un gomitolo che si era ingarbugliato, mettevano a disposizione la loro sapienza manuale ma soprattutto la calma olimpica fondamentale produttrice di pazienza.

E così, capita pure con questa ordinanza la quale, scopriamo, riunisce due agglomerati giudiziari: uno datato e l’altro nuovissimo. Il nuovo innesco, la nuova miccia che ha attivato il “Sebastiano Caterino atto secondo”, è stato acceso, attivato dalle dichiarazioni rese da Francesco Zagaria detto Ciccio ‘e Brezza che, riteniamo, abbiano trovato riscontro in propalazioni di altri pentiti, le quali, seppur a scoppio ritardatissimo, devono aver validato i racconti di Ciccio ‘e Brezza.

Il filone più datato è riferibile ad un’inchiesta in cui la Dda aveva indagato diversi esponenti del clan dei casalesi, senza però ottenere i risultati sperati al punto da finire nel binario morto di un’archiviazione per tutti. Precisamente, Francesco Schiavone Cicciariello, Nicola Panaro, Antonio Iovine, Michele Zagaria, Enrico Martinelli, Bruno Lanza e Giuseppe Misso.

Il secondo filone, quello nuovissimo, svela nomi di persone che fino ad oggi non risultavano coinvolte nel duplice omicidio di Santa Maria Capua Vetere. Si tratta di quelle raggiunte pochi giorni fa dall’ordinanza di custodia cautelare in carcere, integrate da Sandro Moronese e Raffaelina Nespoli, che, pur risultando (per la prima volta) nel duplice delitto, non sono state attinte da atti limitativi della loro libertà personale. In carcere è finito, invece, Agostino Moronese e ci sarebbero finiti, se già non vi “abitassero” da tempo, Pasquale Spierto, Claudio Giuseppe Virgilio, Giuseppe Caterino e Corrado De Luca.

Le prime pagine dell’ordinanza ripropongono, inoltre, nello status di indagati, formalmente a piede libero, i nomi di coloro che erano stati coinvolti nell’indagine, di cui abbiamo scritto prima, e chiusasi con le archiviazioni, configurando in questa maniera una riunione in un solo fascicolo di entrambi i filoni. Per cui, tra gli indagati non arrestati di questa ordinanza ci sono Nicola Panaro, Antonio Iovine, Bruno Lanza e Giuseppe Misso.

Anche in questo caso, dovremo poi capire perchè nel momento in cui si ricostruisce quell’agguato e viene scritto che Enrico Martinelli, conducente di una delle due Alfa 166 utilizzate per uccidere Sebastiano Caterino e Umberto De Falco, non stia tra gli indagati, lasciando ritenere che la sua posizione sia più leggera di quella di Moronese, di Virgilio, di Michele Zagaria, di Giuseppe Caterino.

Ora, passi anche per Bruno Lanza che dalla stessa ricostruzione risulta essere parimenti all’arrestato Pasquale Spierto, uno degli esecutori materiali del delitto, dopo essere arrivato sul posto a bordo nell’auto condotta da Martinelli. Passi pure perchè si tratta di un collaboratore di giustizia. Questa discrasia è interessante e speriamo di poterla comprendere bene nel prosieguo dell’ordinanza.

Lo stralcio della stessa che pubblichiamo in calce appare complicato da leggere per chi non conosce bene i fatti riguardanti questo delitto, tra i più importanti della storia recente del clan dei casalesi, vista la partecipazione di numerosissimi suoi esponenti che rappresentavano le varie fazioni, quella di Zagaria, di Iovine, di Schiavone. Un omicidio dunque deciso dalla cupola che andava quindi a rimettere in funzione una vecchia condanna a morte sancita ai danni di Sebastiano Caterino e poi sospesa, risalente al tempo in cui l’evraiuolo, alla morte o alla presunta morte di Antonio Bardellino, del quale era stato un luogotenente e forse un killer di primo piano, era passato dalla parte della famiglia De Falco, in guerra con i nuovi boss, i giovani rampanti che avrebbero nominalmente creato il clan dei casalesi, capeggiato da Francesco Schiavone Sandokan e con i vari Zagaria e Iovine in crescita costante negli anni, ancor di più dal luglio 1998 in poi, da quando Francesco Schiavone Sandokan fu arrestato dagli uomini della Squadra Mobile di Caserta, nel suo covo bunker di Casal di Principe.

Anche noi, che forse siamo quelli che del delitto di via dei Romani conosciamo di più, avendolo vissuto da giornalisti direttamente, con presenza fisica in loco, nei minuti immediatamente successivi alla commissione dell’agguato, abbiamo fatto fatica a districarci nella ricostruzione operata dal gip Leda Rossetti che ha fatto propria quella dei pm della Dda Maurizio Giordano e Simona Belluccio.

Alla fine ci siamo riusciti e vi abbiamo potuto sintetizzare il significato di quello che potrete eventualmente consultare dalla lettura dello stralcio dell’ordinanza. Un’ultima considerazione, non meno importante: la ricostruzione storica, operata dal gip, ci ha permesso di ricordare a noi stessi che il primo collaboratore di giustizia che parlò di questo omicidio fu Antonio Vinciguerra. Il fascicolo di indagine fu aperto proprio in base a quello che Vinciguerra dichiarò. Attenzione, però: Antonio Vinciguerra non è stato mai imputato nei processi celebrati nel duplice omicidio di Santa Maria.

Per cui c’è da ritenere che il suo racconto sia stato al tempo frutto di conoscenze acquisite da altri camorristi, magari coinvolti nell’agguato. Come si dice, quindi, un contributo de relato.

 

IL DOPPIO BINARIO E IL DOPPIO PESO SPECIFICO DEI PENTITI – Tra tutti gli altri pentiti che contribuiscono all’istruzione del processo di primo grado, ne vanno citati soprattutto due: Raffaele Piccolo e Salvatore Laiso. Ciò perchè entrambi si collocano, rispetto a questo processo, in una doppia veste: quella di neo collaboratori di giustizia e quella di imputati che, non a caso, incassano pene più miti o molto più miti rispetto a quelle inflitte agli altri.

Salvatore Laiso, 12 anni e 8 mesi e Raffaele Piccolo, 5 anni ad esito del processo di primo grado celebrato a Santa Maria Capua Vetere, il cui verdetto è stato emesso nell’anno 2015.

Il secondo binario è quello degli altri pentiti citati dal gip: Paolo e Riccardo Di Grazia, Carmine Schiavone al tempo ancora vivente, Piero Amodio. Questi ultimi, al pari di Antonio Vinciguerra non sono stati mai imputati. Per cui, sempre al pari di Vinciguerra, avranno formulato dichiarazioni de relato. Al contrario di quelle di Laiso e di Piccolo, i quali, confessando la loro partecipazione, devono aver dovuto rispondere a domande molto precise formulategli dai magistrati in sede istruttoria e anche in fase dibattimentale. Ad esempio, quella su una ricostruzione e su una ridefinizione del quadro di tutti i partecipanti all’agguato. Nè Piccolo, nè Salvatore Laiso fanno evidentemente il nome di Francesco Zagaria Ciccio ‘e Brezza.

La raffica di ergastoli del primo grado, induce alcuni degli imputati a diventare collaboratori di giustizia. Una evidenza scritta nella sentenza, divenuta poi irrevocabile, pronunciata dalla Corte d’Assise d’Appello di Napoli nel 2016. Tra primo e secondo grado si sono pentiti Antonio Monaco e Massimo Vitolo. A questa schiera si sono aggiunti Nicola Panaro e Giuseppe Misso. Però, nella distinzione che noi riteniamo importante, già operata in precedenza, Nicola Panaro e Giuseppe Misso che al tempo non vengono considerati partecipi di quel delitto su cui dichiarano la propria estraneità, vanno inseriti nel gruppo dei cosiddetti de relato, cioè con il primo pentito che aveva parlato di questo delitto, Antonio Vinciguerra e con i vari Carmine Schiavone, Paolo e Riccardo Di Grazia, Piero Amodio.

 

I DUBBI SU FRANCESCO ZAGARIA – Sia questo gruppo di pentiti che raccontano il loro sentito dire, ma soprattutto i pentiti che all’agguato o alla preparazione dell’agguato hanno partecipato, non fanno il nome di Francesco Zagaria, il quale entra in questa storia, solo quando, arrestato per la nota vicenda di Capua, diventa, a sua volta, collaboratore di giustizia, auto-accusandosi di aver partecipato all’omicidio di Sebastiano Caterino e Umberto De Falco con la conseguenza che tutto il processo sulla politica capuana, si tiene davanti ad una corte d’assise in quanto dentro viene anche inserito il capo di imputazione di omicidio, ai sensi dell’articolo 575 del codice penale con le aggravanti del 577.

Ora, non vogliamo più interpretare la parte degli scettici. Ma prima di cambiare la nostra posizione, dovremo capire dalle carte giudiziarie come sia stato possibile che tra i pentiti partecipanti, cioè Salvatore Laiso, Raffaele Piccolo, Massimo Vitolo, Antonio Monaco e tra i pentiti non partecipanti, cioè Antonio Iovine, i due Di Grazia, Carmine Schiavone, Nicola Panaro, Giuseppe Misso, nessuno abbia mai incrociato un racconto oppure, stando dentro all’organizzazione attiva, dentro alla partecipazione vissuta di quel delitto, abbia avuto cognizione della presenza fisica quale pedinatore, quale specchiettista, quale staffettista delle Alfa 166, dunque ruoli non irrilevanti, da parte di Francesco Zagaria detto Ciccio ‘e Brezza?

Questo è il dubbio su cui continueremo a ragionare.

 

QUI SOTTO LO STRALCIO DELL’ORDINANZA