Condannato a 9 anni per l’omicidio dell’amico

28 Gennaio 2021 - 10:10

CELLOLE – La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato dall’avvocato di Andrea Tamburrino, 45 anni, di Cellole, accusato di aver ucciso l’amico Giuseppe Langella. Quest’ultimo, dopo la separazione e la perdita del lavoro, era stato costretto ad eseguire mansioni di ogni tipo nella villetta al mare presa in affitto da Tamburrino. Era il 2 dicembre 2016 quando i due litigarono e Langella fu spinto lungo le scale. Rimase ferito e morì per i gravi traumi riportati. La lite scoppiò per la decisione di Langella di vedere una partita della sua squadra su Sky, nella camera di Tamburrino.

Gli ermellini si sono così espressi sul ricorso: “La Corte di merito – si legge nelle motivazioni – ha dato atto degli accertamenti peritali svolti, che avevano concluso nel senso della piena capacità di intendere e di volere del Tamburrino al momento del fatto, pur prendendo atto del disturbo bipolare di cui l’imputato soffre, alla luce del quale, non a caso, ha considerato l’aspetto problematico dei suoi rapporti con il consesso sociale, pervenendo ad una sensibile riduzione della pena”.

Sulla dinamica del fatto “è stato evidenziato come la causa scatenante dell’aggressione del Tamburrino nei confronti del Langella, amico che egli ospitava a seguito della separazione, appare plausibilmente l’uso dell’impianto Sky da parte della vittima, che aveva suscitato la reazione aggressiva del Tamburrino allorquando, rientrato a casa, aveva trovato l’amico addormentato sul suo letto. Su questo aspetto la Corte territoriale, rispetto al primo giudice, ha affermato che non vi fossero evidenze certe per ritenere tale la causa scatenante dell’aggressione, che, in ogni caso, non risultava in alcun modo riconducibile se non ad uno scatto d’ira del tutto immotivato”.

Nel ricorso del legale di Tamburrino (condannato definitivamente a 9 anni) veniva lamentato che la Corte d’Appello non aveva “fornito alcuna risposta alle doglianze difensive contenute nell’atto di gravame, con particolare riguardo alla ridotta capacità dell’imputato, affetto da gravi vizi psichici, il che avrebbe dovuto rilevare anche ai fini della determinazione della pena”.