ESCLUSIVA CASERTACE. Clamoroso in Cassazione: annullata la maxi confisca di camorra della Euromarble dei fratelli De Chiara

20 Maggio 2021 - 11:37

Stamattina, la prima sezione penale della Cassazione, presieduta dalla neo guida dell’ANM Giuseppe Santalucia, confermando la maggior parte delle condanne per i componenti della famiglia di Antonio Iovine, ha rimandato gli atti alla Corte d’Appello. A oggi, di quell’azienda, ormai in liquidazione, non c’è in pratica più nulla, visto che l’amministratore giudiziario ha quasi regalato le attrezzature

 

TEVEROLA(g.g.) Correva l’anno 2008 e quella fu un’operazione anticamorra importantissima, come da tempo non se ne facevano. Quella mattina veniva decapitata tutta la struttura familiare che agiva in appoggio dell’allora super latitante Antonio Iovine detto ‘o ninno. In carcere finirono diversi congiunti, tra cui anche la moglie Enrichetta Avallone. Si dice che questa vicenda cominciò a fiaccare Iovine che, non a caso, subito dopo il suo arresto, avvenuto nel novembre 2010, ad opera di Vittorio Pisani e dei suoi uomini, decise, pressochè immediatamente, di diventare collaboratore di giustizia.

Tra le tante misure cautelari relative alla libertà personale ma anche tra quelle che colpirono i presunti patrimoni del clan dei casalesi gruppo-Iovine, spiccò senz’altro il sequestro che poi si sarebbe trasformato in confisca, della Euromarble dei fratelli imprenditori Armando e Giuseppe Di Chiara, un patrimonio di cospicuo valore per decine e decine di milioni di euro con due opifici specializzati nella lavorazione del marmo, nell’area industriale di Teverola e in quella di Cassino.

Dal giorno della retata, sono trascorsi circa 13 anni. 4 anni ci sono voluti per il primo grado, altri 4 anni per l’Appello e un anno per la pronuncia della Cassazione. Ieri, la sezione penale presieduta da Giuseppe Santalucia, neo presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, il sindacato delle toghe da tempo nell’occhio del ciclone per la nota vicenda che ha coinvolto uno dei predecessori di Santalucia, cioè l’ormai arcinoto Luca Palamara, ha emesso, a 13 anni di distanza dal blitz, il verdetto definitivo per gli imputati che al cospetto della Cassazione sono arrivati solo ultimamente, dopo aver scelto di percorrere la strada più lunga del rito ordinario.

Poche le modifiche, le riforme da parte dei giudici romani della legittimità, rispetto alla sentenza pronunciata dalla Corte di Appello di Napoli. Ha tenuto sostanzialmente l’impianto accusatorio e dunque le condanne degli esponenti del clan dei casalesi legati ad Antonio Iovine sono divenute definitive.

Diverso il discorso per la confisca di Euromarble. La prima sezione penale ha, infatti, annullato l’atto che ascriveva la Euromarble alla proprietà dello Stato, così come questo era stato sancito, sotto forma di sentenza, dalla Corte di Appello nel secondo grado di giudizio. L’annullamento produrrà l’immediato rinvio degli atti ai giudici napoletani che dovranno, dunque, tenendo conto di tutti i rilievi posti dalla Cassazione, pronunciarsi ancora una volta, impegnando, però, una sezione della Corte di Appello, diversa da quella che a suo tempo confermò la sentenza di confisca che anni prima, precisamente nel 2012, era stata pronunciata in primo grado dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere.

Si tratta di una notizia importante soprattutto per l’entità di un sequestro che per 13 anni ha privato la famiglia Di Chiara di una sua proprietà, determinandone, in pratica, il disfacimento, l’azzeramento. Affermazione non aleatoria ma fondata su fatti concreti, visto e considerato che a quanto ci risulta l’amministratore giudiziario ha ceduto, in pratica gratis, con atti di compravendita quasi simbolici, tutte le attrezzature aziendali. Oggi, quando la Euromarble risulta essere in fase di liquidazione, arriva la svolta, con la Cassazione che ha accolto in toto le tesi esposte nel ricorso dall’avvocato Angelo Raucci, legale della famiglia Di Chiara.

E’ evidente che non mancherà una nostra valutazione. Ma questa interverrà quando la Corte d’Appello di Napoli, dovendo fare necessariamente propri i motivi per cui questa confisca è stata annullata, sarà chiamata ad emettere una nuova sentenza. Per il momento, ci limitiamo però a sdoganare già la considerazione su un’assurdità ormai inaccettabile che lede pesantemente la cardinalità dei diritti dell’uomo, che dovrebbe essere, almeno sulla carta, su quella Carta piuttosto impegnativa rappresentata dalla Dichiarazione universale di questi benedetti diritti dell’uomo,  la struttura suprema di informazione del diritto che ne è pur sempre sovra-struttura: non esiste, e lo spieghiamo con un volontario gioco di parole, reità più rea rispetto a quella manifestata da ogni reo, pronunciarsi dopo 13 anni dal momento in cui l’atto del sequestro di un’attività economica è stato firmato.

Si rappresenta come una “reità maggiore” perchè di fronte ai principi costituzionali che tutelano sin dal primo articolo della nostra Carta, il lavoro e negli articoli successivi, il patrimonio, la proprietà privata, non può accadere che un ordinamento prodotto da quella stessa Costituzione, vada a smentire la radice della propria esistenza, diventando protagonista del più violento dei soprusi.