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La DOMENICA di DON GALEONE. L’Ascensione ci insegna a impegnarci per le opere terrene, senza l’alibi della nostalgia del cielo

2 Giugno 2019 - 16:10

Sul monte degli Ulivi, a Gerusalemme, i crociati costruirono un piccolo santuario, trasformato poi in moschea dai musulmani nel 1200. Tempo fa ero da guida in un pellegrinaggio e spiegavo che oggi il piccolo santuario ha un tetto ma in origine era scoperto, proprio per ricordare l’ascensione di Gesù. Con l’ingresso di Gesù in cielo è cambiato qualcosa sulla terra? Sembra di no. La vita degli uomini continua come prima, tra gioie e dolori. Anche gli apostoli non hanno ricevuto sconti… e tuttavia qualcosa di nuovo è avvenuto. Chi ha il dono della fede vede il mondo con occhi nuovi. Oltre, in alto e avanti!

L’evangelista Luca ci ha consegnato due racconti dell’Ascensione: nel Vangelo, il racconto presenta il finale glorioso della vita pubblica di Gesù; negli Atti, l’ascensione è come il punto di partenza dell’espansione missionaria della chiesa. Quel Gesù con il quale i discepoli hanno mangiato e bevuto continua a essere presente nella chiesa, che è mandata a predicare il Vangelo a tutte le genti. Per questo, gli angeli, dopo l’ascensione, ricordano agli apostoli il loro impegno terreno, a non coltivare nostalgie. Perché

state a guardare il cielo? Sono parole che ricordano, da vicino anche se con spirito diverso, quelle altre del filosofo F. Nietzsche: Vi scongiuro, fratelli, restate fedeli alla terra. Il Cristo glorificato sostiene tutti quegli uomini e quei movimenti impegnati nella realizzazione della dignità e della giustizia. Per alcuni, la religione è di ostacolo alla liberazione dell’uomo, in quanto distrae l’uomo dal suo impegno in questo mondo. La Gaudium et spes ricorda ed insegna che, pur distinguendo tra progresso terreno e sviluppo del regno di Dio, tuttavia il progresso terreno è di grande importanza per l’avvento del regno (n. 39).

Ad una prima lettura il racconto dell’ascensione non crea problemi ma le cose cambiano non appena consideriamo i particolari. Anzitutto sembra inverosimile che Gesù salga come un astronauta nello spazio tra le nubi. Ma le contraddizioni continuano. Alla fine del suo vangelo, Luca – lo stesso autore degli Atti – scrive che Gesù condusse i suoi discepoli verso Betania e che mentre li benediceva salì verso il cielo, ed essi tornarono a Gerusalemme con grande gioia (Lc 24,50-53). Secondo At 1,4 Gesù è seduto con i discepoli a mensa: perché non si sono salutati lì, dopo aver cenato? Perché andare verso il monte degli Ulivi o a Betania? Lasciamo perdere la strana osservazione con grande gioia (chi di noi sarebbe felice quando un amico parte?) e il disaccordo sulla località: Betania è più lontana del monte degli Ulivi. La contraddizione più evidente è che, secondo Lc 24, l’ascensione avviene nello stesso giorno della risurrezione, mentre negli Atti avviene quaranta giorni dopo (At 1,3). Come mai lo stesso autore ci dà due date diverse? E cosa ha fatto Gesù nei quaranta giorni post-pasquali? Sul Calvario non aveva promesso al ladrone: Oggi sarai con me in paradiso?

Premesso che Luca non scrive un articolo di cronaca ma una pagina di teologia, che non vuole insegnarci come vanno i cieli ma come si va in cielo, diciamo che al tempo di Gesù l’attesa della venuta del Regno era vivissima e gli scrittori apocalittici l’alimentavano con le loro fantasie. Morto Gesù, però, tutte le speranze andarono deluse: Noi speravamo era Lui il Messia (Lc 24,21). Risorto Gesù, le speranze si riaccendono; alcuni fanatici, basandosi su presunte rivelazioni, assicurano la sua venuta come imminente. Tutte le comunità ripetono l’invocazione Vieni, Signore… Marana ta (Nota 1). Ma gli anni passano, il Signore non viene e non manca l’ironia: Dov’è la promessa della tua venuta? Tutto rimane come all’inizio (2Pt 3,4). Bene, Luca scrive in questo contesto: la risurrezione di Gesù segna l’inizio del Regno ma non la fine della storia. Niente calcoli o futurologia: la fine del mondo è nota solo a Dio. All’uomo spetta solo l’impegno della testimonianza.

Gesù è salito al cielo. Cosa significano queste parole? Tutti i popoli, con la parola cielo, intendono la dimora di Dio; anche nel Vangelo leggiamo: Gloria a Dio nell’alto dei cieli; anche noi diciamo: Padre nostro che sei nei cieli, oppure: E’ andato in cielo. Oggi, con lo sviluppo della scienza e della tecnica, dopo i viaggi degli astronauti nello spazio, questo linguaggio è entrato in crisi. Noi sappiamo bene che Dio è in cielo, in terra, in ogni luogo: egli è onnipresente. Che Dio sia nei cieli significa solo che Dio abita in una luce inaccessibile, che è infinitamente diverso da noi. Il cielo non è uno spazio o un luogo ma è uno stato di grazia, è il Paradiso, è Dio stesso. Sicché andare in cielo … andare in paradiso significa stare con Dio e con il suo Figlio. Non si tratta di un movimento spaziale, astronautico, astrofisico, ma di una ascensione, di una estensione di amore: Gesù, proprio perché è salito, può raggiungere e salvare sempre tutti: Mi è stato dato ogni potere. Ecco perché l’ascensione è una festa: mentre prima Gesù-uomo, per le necessarie leggi spazio-temporali, poteva essere presente solo in Palestina, parlare a pochi, guarire pochi … ora invece Gesù-risorto e asceso può raggiungere tutti grazie alla sua ubiquitante capacità salvifica. Dobbiamo smettere di parlare e ragionare in termini di geografia astronomica, e iniziare a riconoscere questo Dio presente dappertutto: Io sono con voi tutti i giorni. Ecco, oggi ci viene affidata la terra, questa nostra Madre Terra da umanizzare e divinizzare. Che diventi un ambiente divino, come si augurava il teologo e scienziato Teilhard de Chardin. Oggi nasce la Chiesa in cammino, oggi nasce la nostra missione nel cantiere del mondo. BUONA VITA!

(Nota 1) Dato che nei manoscritti manca lo spazio fra le due parole, l’espressione può anche essere letta come מרן אתא: Maran atâ; l’espressione ha quindi un significato doppio: alcuni traducono Il Signore è venuto o viene; altri: Signore, vieni! Troviamo questa invocazione in 1Cor 16,22 e in Apocalisse 22,20.

 

Don Franco Galeone, nella foto, sacerdote salesiano, ha studiato teologia a Gerusalemme. Ha insegnato Grammatica ebraica negli Istituti di Scienze Religiose. Studia, prega e diffonde la parola di Dio nella lingua originale.