L’EDITORIALE CON FOTO. Pazzesco: hanno defecato in un’aula del tribunale di S.MARIA C.V. Quella roba è il simbolo perfetto di questa terra di scrutatori non votanti

22 Novembre 2019 - 11:50

di Gianluigi Guarino

In casi come questi risulterebbe comodo, molto comodo, utilizzare il lessico e la sintassi del manuale del “buon giornalista” che si colloca rispetto ad un fatto, richiamandosi a quelle che sarebbero le buone regole della cronaca. Noi, purtroppo, siamo dei disadattati che mettiamo a disposizione ogni nostra energia nelle ragioni non strumentalizzate dalla retorica e da una militanza storica e pelosa, di una legalità testimoniata con sobria severità, con attitudine montanara, senza soffrire di fobie, rispetto ai pericoli che corriamo del resto ogni giorno, da anni, di chi costruisce liberamente un suo pensiero e lo esprime senza filtrarlo al setaccio del conformismo.

Sarebbe comodo scrivere un bell’articolo, una bella omelia, magari una messa cantata, stile Il Mattino. Una roba del tipo “Lo scrutatore non votante”, bella e illuminante canzone del cantautore Samuele Bersani (CLICCA QUI PER ASCOLTARLA).

Esecrabile episodio capitato in un’aula del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, dove qualche ignoto ha defecato stanotte. Sul posto la polizia, i carabinieri, la scientifica, il nucleo specializzato contro la guerra batteriologica per i rilievi del caso.” Ma noi non siamo nati per la comodità e nè cerchiamo il ristoro di una legittimazione formale e poi anche materiale da parte delle istituzioni di questa provincia che, essendo purtroppo tristemente allineate alla vulgata perbenista e conformista, preferiscono parlare solo con le agenzie attive per la conservazione del sistema e dello status quo, riconoscendo e legittimando, consolidando ulteriormente il contenuto tossico del senso comune praticato dal popolo degli scrutatori non votanti, quelli che “conoscono

tutti i nomi delle piante per poi tagliarle con la sega elettrica.

Fatto sintomatico di una difficoltà culturale a comprendere che la partita della legalità, in questo territorio, si gioca attraverso una forma di liberazione, promuovendo azioni che possano sconvolgere, rivoluzionare il sistema, incidendo nella mentalità e colpendo la crosta culturale del senso comune imperante in chi, questi luoghi, abita.

Per cui, quella roba lì non la dobbiamo definire feci e non dobbiamo dire defecare, ma la dobbiamo chiamare cacca, merda e dobbiamo parlare di cagata.

Questo non perchè noi di CasertaCe vogliamo ritagliarci uno spazio di visibilità attraverso la pratica di un anticonformismo lessicale, attraverso la militanza da bastian contrari, di scrutatori votanti, sempre e comunque. Se questo fosse il nostro obiettivo, diventeremmo più conformisti del Mattino e della filosofia che questo giornale rappresenta e difende con i denti, conservando e tutelando quella mentalità, quell’impronta culturale alla base di tutti i guai di questa provincia, e mi fermo alla provincia, solo perchè questo è il nostro perimetro di azione.

In poche parole, noi usiamo parole forti, perchè questa terra in cui viviamo e lavoriamo, almeno, pensiamo di farlo, è così debole culturalmente da aver bisogno, ogni volta, dello strumento, tutto sommato facile, didascalico, della provocazione per far leggere le nostre idee. Da un’altra parte, in un’altra terra, scrivere defecare sarebbe stato più che sufficiente e nè sarebbe servita questa riflessione desolata. Noi non abbiamo idea se a compiere il gesto sia stato un pazzo estemporaneo, fuori dalle proprie facoltà mentali, se si tratti di un atto premeditato, preparato, magari anche dalla criminalità organizzata, oppure se ad “operare” sia stato un ignaro cane, capitato lì per caso, perchè entrare in un tribunale, peraltro da anni presidiato dall’esercito, non credo sia una cosa molto agevole.

Vandalismo estremo, intimidazione o minaccia che sia, quella cacca, al cospetto della quale il povero giudice Meccariello si è trovato stamattina, riunisce le categorie interpretative riguardanti la matrice del fatto reale, cronistico e diventa, scusateci per la battuta, una sorta di mastice che simboleggia un modo di pensare ampiamente diffuso in questa terra. Perchè qui, a Caserta e  provincia, l’etica della cittadinanza, la fede nel valore delle leggi e nei valori da cui queste discendono, è patrimonio di pochi. Nel senso che tutti lo dicono, ma in realtà c’è un 80% di popolazione indigena, ignorante di andata e di ritorno, al di la dei titoli di studio che può, più o meno sfoggiare, che quando parla di camorristi, di delinquenti mettendo a confronto le loro vite, le loro trame con l’attività delle forze dell’ordine e della magistratura inquirente e requirente, sono, non indulgenti, ma addirittura misericordiosi nei confronti di chi pratica l’antistato, vivendo costantemente fuori dal perimetro della legge.

Un 80% che ammicca culturalmente alla delinquenza, al fuorilegge e che, contemporaneamente, trova nello stato che si identifica con le forze dell’ordine e l’autorità giudiziaria, dei riferimenti da cui diffidare, da maneggiare con cura, da criticare sotto banco, magari dopo aver partecipato a un bel convegno sulla legalità delle chiacchiere, e dopo aver esercitato le buone, commendevoli maniere dello scrutatore non votante.

Riteniamo di non esagerare e di non scadere in un eccesso interpretativo di tipo sociologico della cacca mattutina in tribunale. Non lo è, perchè noi di CasertaCe siamo ogni giorno in prima linea, raccontando la sceneggiata unica e unitaria che in questa provincia viene inscenata quotidianamente e, durante la quale, i sindaci, che, riteniamo, con buona ragione, di poter prendere come riferimento emblematico, la mattina truccano una gara d’appalto e il pomeriggio partecipano ad un convegno con un prefetto o con un magistrato. La verità cioè la matrice reale, il senso della vita di quel sindaco, è rappresentato da quello che fa la mattina, quando, col suo dirigente, tarocca la gara d’appalto e non dalla sua partecipazione ad un convegno sulla legalità in cui fa solo finta di ascoltare, prima di intervenire, elargendo le solite filastrocche delle sedicenti persone perbene.

Quel sindaco, che è tale in quanto c’è stato un popolo che lo ha eletto, quando vede una divisa, si irrigidisce e poi, di nascosto, si libera dalle proprie tensioni, sputando a terra. E allora, perchè dovremmo mai scrivere feci o raccontare di una defecazione. Questa terra è merda ed è ben rappresentata da questa fotografia, scattata stamattina, che fa capire bene quale sia il suo punto di vista sulle guardie, sui ladri, sulla legge e sull’impaccio che questa può rappresentare per l’attuazione di una liberalizzazione completa dei reati, attraverso la cancellazione dei codici.