Alfredo Mantovano prende le difese in aula di Mario Landolfi e ricorda la vicenda del nipote di Carmine Schiavone

16 Ottobre 2018 - 14:16

MONDRAGONE – “Mario Landolfi era uno dei piu’ assidui nel sottoporre al Ministero dell’Interno la necessita’ di fare un contrasto serio alla camorra, per lui il territorio era una preoccupazione costante”. Lo ha dichiarato l’ex sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano, magistrato, da pochi giorni consigliere di Cassazione, sentito come teste, al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, nel processo che vede imputato l’ex ministro della Telecomunicazioni ed esponente di rilievo di An e Pdl Mario Landolfi per corruzione e truffa con l’aggravante mafiosa. Mantovano è amico di vecchia data e collega di partito di Landolfi.

Un altro testimone eccellente convocato dal legale di Landolfi, Michele Sarno, per rafforzare la strategia difensiva; il secondo in pochi mesi dopo il presidente dell’Anac Raffaele Cantone, che pure in aula aveva confermato di aver interloquito piu’ volte, quando era magistrato della Dda di Napoli, con Landolfi, e sempre in relazione alla situazione criminale della citta’ natale del politico, Mondragone, comune dove per anni ha operato il clan La Torre, tra i piu’ violenti e agguerriti. Mantovano riferisce anche delle due occasioni in cui al Comune di Mondragone fu inviata una commissione d’Accesso per verificare eventuali infiltrazioni camorristiche, la prima volta nel 2002, quindi nel 2007; in entrambe le circostanze l’ente non fu sciolto.

Nel 2002 – racconta il magistrato – quando ero sottosegretario incontrai a CASERTA, nel corso della cerimonia per l’avvio dell’anno accademico della Scuola della Polizia di Stato, l’allora prefetto Carlo Schilardi, che mi parlo’ degli accertamenti antimafia in corso a Mondragone, ma mi disse che si stava facendo un lavoro inutile, o meglio che non sarebbe approdato a nulla“.

Mantovano ha poi ricordato la vicenda del nipote del primo pentito dei Casalesi Carmine Schiavone (morto qualche anno fa), sul cui affidamento era nata una contesa tra il nonno collaboratore, che lo voleva, e la famiglia della madre, morta qualche anno prima; sulla questione intervenne con un’interrogazione datata 2000 proprio l’ex ministro. “Ricordo l’interrogazione di Landolfi – dice Mantovano – ma della vicenda mi occupai l’anno dopo quando divenni Sottosegretario“.

Il bimbo, minore, proprio grazie all’interessamento di Mantovano, fu poi affidati agli zii materni, che entrarono nel programma di collaborazione. Mantovano, da sottosegretario dell’Interno nei Governi Berlusconi, prima dal 2001 al 2006 e soprattutto dal 2008 al 2011 quando ci fu la stagione del terrore nel Casertano targata Setola, fu tra i fautori del cosiddetto “modello CASERTA”, ovvero una modalita’ di aggressione alle camorra basata su un assiduo controllo del territorio che ha contribuito a smantellare il clan dei Casalesi, prima l’ala militare e i vertici latitanti, quindi l’area grigia formata dai colletti bianchi. A margine della testimonianza, parlando con un cronista, ha detto che “quel modello lo replicammo anche nel Gargano, ma poi e’ stato abbandonato“.