OSPEDALE DI CASERTA. Ecco perché il rinvio del contratto integrativo aziendale fa mattanza dei diritti del Comparto

25 Marzo 2019 - 17:07

CASERTA (G.G.) – Continua la tensione tra la direzione strategica dell’azienda ospedaliera Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta, formata dal direttore generale Mario Ferrante, dal direttore sanitario Antonietta Siciliano e dall’amministrativo Gaetano Gubitosa, che di Ferrante è conterraneo.

La questione è sempre quella molto seria di un contratto integrativo non ancora partito a circa 10 mesi di distanza dalla firma del contratto collettivo nazionale del cosiddetto comparto di infermieri, Oss e tecnici vari.

In realtà la Regione Campania ha deliberato i fondi per tutte le aziende, chiamate a ridurre da 3 a 2 le aree dei servizi che corrispondono poi a delle categorie specifiche di lavoratori.

Operazione realizzata: via Santa Lucia ha accantonato i soldi sia per le funzioni previste dall’articolo 80 dell’appena citato contratto collettivo nazionale (straordinario reso necessario dal disagio legato alla carenza di personale, posizioni organizzative, coordinamenti-capisala e indennità specifiche professionali) e anche dall’articolo 81 (che prevede i finanziamenti per la fascia retributiva superiore, collegata in funzione dell’anzianità di servizio e tutta la struttura della produttività).

Quindi, i soldi ci sono e sono a disposizione anche per l’ospedale di Caserta da una data vicina a quella del 12 marzo.

Il direttore generale Ferrante promise ai sindacati, cioè alla Cgil, Cisl, Uil, Nursing Up e Fsi che, dal momento in cui la disponibilità dei fondi fosse divenuta ufficiale, avrebbe convocato quasi istantaneamente il tavolo tecnico con i sindacati per giungere, in pochissimo tempo, alla firma di uno strumento importante, fondamentale, che rappresenta, tutto sommato, la ragion d’essere del solenne strumento del Ccnl.

Stiamo parlando del contratto integrativo aziendale, cioè quel combinato di diritti e doveri, di prestazioni e obbligazioni che, nel rispetto della cornice e dei volumi di spesa possibili, stabiliti nel contratto collettivo, cioè in sede di contrattazione nazionale con il governo, stabilisce le modalità dell’organizzazione del lavoro all’interno di un’azienda partendo dalle modalità attraverso cui i dipendenti devono vedersi riconoscere i loro diritti economici, con gli stipendi ordinari a cui si affiancano altre forme di gratificazione legate a trattamenti straordinari o a premi di produttività.

Ah, dimenticavamo la cosa più importante. Nell’Italia subissata dal debito pubblico, la firma di un nuovo contratto collettivo nazionale di lavoro è diventata un evento straordinario.

E siccome in questa struttura normativa sono comprese anche le modalità attraverso cui un lavoratore si vede rivalutare, incrementare, il proprio trattamento economico di base, in funzione dell’anzianità di servizio, è chiaro che, dopo che gli infermieri e gli altri lavoratori del comparto aspettano ormai da 11 anni l’attuazione meccanismo della fascia retributiva superiore, si capisce che la premura dei sindacati nei confronti del direttore generale non è legata a un capriccio, ad un ghiribizzo, ma semplicemente ad una esigenza di carattere generale, fondamentale, strutturale, che tocca uno dei diritti solenni e solennizzati dallo statuto dei lavoratori.

Ecco perché non convince il traccheggio della direzione strategica. Perché rappresenta un errore parlare al proprio carattere e farsi stimolare in maniera errata dai suoi limiti.

Perché se qui la cosa viene ridotta alla lesa maestà di Ferrante, al dispettuccio di risposta nei confronti dei non allineati Nicola Cristiani (fatto storico), Capaccio, Rosa Nuzzo, eccetera, la direzione non tira una fregatura ai segretari provinciali, ma a centinaia e centinaia di lavoratori del comparto che oggi, anno 2019, continuano a incassare lo stesso stipendio base che prendevano nel 2008.

E questo, lo scrive un liberale non un socialista, non è giusto, perché con i diritti non bisogna esagerare, quando la rivendicazione di questi non è accompagnata da una riflessione sui doveri, ma c’è pure un limite a questo.

E 11 anni sono 11 anni.

Rispetto a questa impostazione del ragionamento che vuole sgomberare il campo da ogni forma di personalismo, facendo rimanere centrali solo l’essenza e la sostanza della rivendicazione, è chiaro che non possiamo non considerare un male assoluto, una lesione gravissima alla credibilità del mondo sindacale, l’atteggiamento di una sigla come la Fials, impegnata, come succede da qualche giorno, ad attendere con il suo storico dominus Salvatore Stabile, che Mario Ferrante arrivi in ospedale per poterlo tampinare e confabularci.

E questo perché Salvatore Stabile non ha mai costituito un vero sindacato, ma una semplice associazione di lobbying.

Un club in cui si entra non con la mentalità del lavoratore concentrato sul riconoscimento dei diritti collettivi, che poi, in quota parte, diventano diritti individuali, ma esattamente il contrario: non è un caso che la Fials, insieme al sindacato Usb (una decina di iscritti e non firmatario di contratti), scrivano che loro sono pienamente d’accordo con quello che, in questo copione, svolge la funzione del padrone.

Perché dando ragione a Ferrante e dunque aiutandolo a raggiungere un obiettivo divenuto quasi una ossessione, cioè quello di chiudere la partita con i capisala nominati da Annunziata, come se questo fosse l’unico atto illegittimo di tutta la storia dell’ospedale, sperano fondatamente di ottenere qualche posto di coordinatore.

Solo successivamente poi eventualmente si parlerà del contratto integrativo.

Seguite il ragionamento un attimo perché almeno capite qualcosa dopo dieci anni che scriviamo: se Stabile pone al centro della sua strategia il collateralismo, l’inciucio con il padrone, nel caso specifico la direzione strategica, sacrificando all’inciucio gli interessi collettivi anche dei suoi lavoratori, vuol dire che lui dei diritti sindacali e dell’identità stessa di queste organizzazioni, riconosciute dalla Costituzione come tali e non in altro modo, lui non se ne è mai fregato un tubo.

D’altronde, per capire la filosofia della Fials, basta contare i figli e i nipoti suoi e di suo fratello Peppe Stabile, che ovviamente dice di volersi candidare di nuovo a sindaco di Aversa, generi, nuore, eccetera, fatti assumere neppure fuori provincia, men che meno fuori regione, ma ad Aversa, a 50 metri da casa, perché questo sia da monito a tutti rispetto al discrimine del potere, all’identità di chi, se vuole, come un antico feudatario, può concedere ad una famiglia di sbarcare il lunario.

Ecco perché tutte le altre sigle dovrebbero, a questo punto, chiedere udienza al presidente della Regione De Luca, per spiegare queste gravi distorsioni, che vanno a ledere di fatto i diritti di rappresentanza dei lavoratori, attraverso un comportamento antisindacale variamente connotato.

Ma avranno, soprattutto i confederali Cgil, Cisl e Uil, le palle di fare una cosa del genere, di fronte al problema che qualcuno poi potrebbe ricordare a Nicola Cristiani che, seppur in maniera meno clamorosa,rispetto agli Stabile, ha utilizzato la sua funzione per sistemar parenti?

Secondo noi questi attributi non ce li hanno.

Mai saremmo più felici e soddisfatti se il corso delle vicende smentisse questa nostra previsione.