Ex vigile urbano, già condannato a due anni, per calunnia, salvato dalla prescrizione
1 Dicembre 2024 - 11:52
La Corte di Appello di Napoli aveva rigettato il suo ricorso ma ha dovuto poi sancire il non luogo a procedere obbligando però l’ormai ex imputato a rifondere
BELLONA – Ambrogio Bencivenga ex vigile urbano di Bellona era stato condannato in primo grado alla pena di due anni di reclusione, per il reato di calunnia consumato ai danni di Mario Maratta, difeso per tutto il procedimento dal compianto avvocato Pietro Romano, cittadino del centro caleno. La Corte d’ Appello, a cui aveva fatto ricorso l’imputato, attraverso il suo difensore Felice Bianco, non ha potuto procedere ad emettere un verdetto di secondo grado in quanto, dal conteggio temporale dei tempi di questo procedimento è emerso lo sfondamento dei termini di prescrizione. Di qui, il non luogo a procedere che, ricordiamo, non va confuso con l’assoluzione. La Corte d’Appello, del resto entrando nel merito della vicenda, aveva respinto il ricorso presentato dall’ex vigile urbano ma, come detto, ciò non si è potuto tradurre in una sentenza, ma solamente nella decisione di attribuire all’imputato il peso delle spese processuali sopportate dalla parte offesa.
La vicenda nasce nel novembre del 2013 con una denuncia anonima alla procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, in merito alla realizzazione da parte di Mario Maratta di opere edilizie prive di qualsivoglia autorizzazione urbanistica ambientale in violazione, secondo il denunciante, delle norme in materia di salute e sicurezza sui lavoro.
Con consulenza grafica si accertava che la firma dell’apparente mittente Luigi di Rienzo era in realtà stata apposta da Ambrogio Bencivenga in rapporti di conflittualità con Maratta sfociati in procedimenti penali a carico del primo.
A seguito dei controlli non emergevano illeciti edilizi commessi dalla parte offesa che in realtà con l’aiuto del fratello stava solamente ritinteggiando le pareti della facciata esterna e sistemando un tubo dell’acqua, lavori che non richiedevano titoli abilitativi. Sulla base di tali elementi il giudice di primo grado riteneva raggiunta la prova della colpevolezza di Bencivenga per il reato di calunnia ritenendo che l’esposto anonimo proveniva dall’imputato come attestato dagli esiti dell’accertamento tecnico; che alcun reato di quelli denunciati era stato commesso e che il dolo era desumibile da antichi rapporti di astio tra i due, dal carattere anonimo dello scritto funzionale a celare l’identità dell’autore, oltre alla mancata allegazione di documenti che attestasse l’esistenza e la natura dei lavori.