Santillo, missione compiuta: 246 km fino a Sparta con il pettorale 357
1 Ottobre 2025 - 10:00

Dalla fascia “Free Palestine” al rito dei primi 2,2 km: l’ultramaratoneta di Marcianise firma la sua impresa alla Spartathlon 2025
MARCIANISE (Pietro De Biasio) – Alla “Spartathlon” non ci si iscrive per caso. È un traguardo selettivo, per pochi. Una delle prove più dure che esistano nell’universo dell’ultramaratona: 246 chilometri da Atene a Sparta, 75 cancelli orari, 36 ore di tempo massimo. Una corsa che rievoca l’impresa di Fidippide, il messaggero greco che duemilacinquecento anni fa partì dalla capitale per chiedere aiuto agli spartani prima della battaglia di Maratona.
Quest’anno, alla partenza sotto l’Acropoli, tra i 400 atleti selezionati, c’era anche Vincenzo Santillo, 45 anni, ultramaratoneta di Marcianise, pettorale 357. Non un numero casuale, ma il sigillo di una carriera, il simbolo di una costruzione lunga, meticolosa, fatta di gare estreme, chilometri infiniti e notti di allenamento in silenzio prima di andare a lavorare. La sua avventura infatti inizia molto prima della partenza ufficiale.
La preparazione di Santillo non si è limitata a chilometri di corsa: è stata costruzione metodica della resistenza, gestione del sonno, adattamento a terreni diversi e allenamento mentale. Le ultramaratone precedenti, dalla “Badwater” nella Death Valley alla “Race Across Apulia”, hanno temprato il corpo e insegnato a conoscere i propri limiti. Ogni gara è stata un tassello, un mattoncino che lo ha portato fin qui. La giornata di Santillo non è iniziata ad Atene, ma a casa, in provincia di Caserta.
Il rito «Alle 4.45 ero già fuori al cimitero tra Capodrise e Recale. Ho parcheggiato la macchina e, come agli inizi, ho percorso i miei 2,2 km camminando, dal cimitero fino alla Fontanella. Ho voluto rifarlo prima di partire, perché da lì è cominciato tutto. Quando ho iniziato pesavo cento chili e quei due chilometri sembravano un’impresa. Se da quei primi passi sono arrivato fin qui, allora anche i 246 km possono diventare possibili». Un dettaglio che dice molto: la Spartathlon non si affronta soltanto con le gambe, ma con la memoria di ciò che si è stati.
Ricordarsi da dove si viene è ciò che ti dà la forza di affrontare l’impossibile. Santillo corre con un simbolo che va oltre la prestazione: sul braccio porta un fazzoletto con la scritta “Free Free Palestine”, donatogli da Gennaro Falcone di Arzano. Non è un accessorio: è un messaggio che lo accompagna passo dopo passo, da Atene fino a Sparta, contro il silenzio e l’indifferenza. «Ogni passo sarà un pensiero rivolto a chi lotta per la vita e per la libertà», racconta Santillo. «È un motivo in più per arrivare fino al traguardo.
Ogni passo è per chi non ha voce». La Spartathlon 2025 si è trasformata in un viaggio interiore ed esteriore che ha chiuso in 32 ore e 49 minuti, un tempo che non racconta solo una classifica, ma una conquista: quella di aver corso ascoltando il corpo, senza mai forzare, adattandosi ai terreni mutevoli tra asfalto, sterrato e salite. «Ho scelto di correre con calma, risparmiando energie per i momenti chiave. Non ho inseguito il cronometro, ho inseguito la serenità». Ma la Spartathlon non perdona.
Pianure interminabili, vigneti assolati, uliveti antichi, poi la salita al Monte Partenio, 1200 metri d’altitudine. «Il momento più duro è stato nella notte, durante l’ascesa. Ma una volta arrivato in cima è stato come rinascere: lì è iniziata una nuova vita dentro la gara». Il tratto più duro è arrivato nella notte, tra pioggia e vento, salendo il Monte Partenio. Un atleta esperto lo sa: si può sempre migliorare. Ma Santillo non rinnega nulla: «Forse curerei solo qualche dettaglio tecnico, ma l’approccio generale lo rifarei uguale: correre con il sorriso e vivere ogni gara come una festa».
Una volta arrivato ai piedi della statua di Leonida, l’ultramaratoneta marcianisano ha provato l’emozione più forte: «Portare con me la bandiera dell’Italia con la scritta di mio figlio è stato il momento più grande, tante cose in tasca e nello zaino – bracciali, calze, chiavi dei cancelli, l’albero della fortuna – è stato come consegnare non solo me stesso, ma anche tutti i simboli e le persone che mi hanno accompagnato. Ho sentito di consegnare qualcosa di più di me stesso: era come chiudere un cerchio». Dopo 246 km, cosa resta? «Una felicità immensa e la consapevolezza che Sparta l’ho vissuta pienamente. Non ci riproverò: per me resterà un capitolo unico e indelebile. È giusto andare avanti verso altre sfide».
Una dichiarazione che spiazza, ma che in realtà rivela una grande lucidità. Alcune gare non vanno ripetute: vanno custodite. C’è chi misura la grandezza con i tempi e chi con le emozioni. L’ultramaratoneta di Marcianise appartiene alla seconda categoria. Il suo 32h49’ vale più di un piazzamento. Vale il coraggio di partire, la forza di resistere, la lucidità di arrivare. Vale la fascia “Free Palestine” portata al braccio, il messaggio trasformato in corsa, la voce data a chi voce non ha. Vale il rito dei 2,2 km rifatti alla vigilia, per ricordare da dove si era cominciato. Vale l’abbraccio ideale con tutti quelli che lo hanno sostenuto: amici, sponsor, familiari.
Perché la Spartathlon non è un viaggio solitario. È una staffetta invisibile, in cui ogni passo contiene altri passi. Ecco perché la storia di Vincenzo Santillo non si esaurisce in un risultato sportivo. È la parabola di un uomo che da cento chili e due chilometri di camminata è arrivato a completare la regina delle ultramaratone. È la prova che la disciplina, unita alla memoria e alla passione, può trasformare l’impossibile in realtà.
È un messaggio che travalica lo sport: non arrenderti, perché ogni passo, anche il più piccolo, ti porta più vicino al tuo obiettivo. Il 27 e 28 settembre 2025 resteranno scolpiti nella sua storia. Non come un trionfo da medaglia, ma come un sigillo personale. Perché Spartathlon non è solo arrivare a Sparta: è arrivarci restando sé stessi. E Santillo, pettorale 357, ci è riuscito.