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CORONAVIRUS. Nella ex villa degli Schiavone-Sandokan, si producono mascherine. Ecco il progetto

23 Aprile 2020 - 10:00

CASAL DI PRINCIPE – Via Bologna, a Casal di Principe, la conoscono tutti: e’ la strada del clan Schiavone. O forse sarebbe meglio dire ‘era’, perche’ ormai, nel paese del casertano dove per anni ha imperato il potere criminale dei casalesi, sono tanti i beni confiscati e rifunzionalizzati per scopi sociali. Anche al civico 16, in una villa di tre piani confiscata alla famiglia di Sandokan, dalla scorsa settimana quattro donne in uscita da percorsi di violenza conducono una battaglia silenziosa, producendo mascherine, grazie all’aiuto di una giovane sarta esperta. La battaglia contro il coronavirus, certo, ma anche contro la violenza di genere che le ha costrette per anni a nascondersi in casa rifugio, e contro le mafie, spesso al Sud tra i principali nemici, anche delle donne maltrattate.

Il progetto nasce grazie alla caparbia volonta’ delle operatrici della cooperativa sociale Eva, che in Campania gestisce cinque centri antiviolenza e tre case rifugio, tra cui Casa Lorena, Casa delle donne contro la violenza. Di fronte all’emergenza sanitaria da Covid-19 non si sono tirate indietro e, con un piccolo budget di donazioni, hanno deciso di convertire ‘Seta e moda’, progetto finalizzato alla produzione di pregiati copricapo e foulard in seta destinati alle donne ammalate di cancro al seno, in ‘Mascherine contro la violenza’, grazie al quale la rete dei 253 centri antiviolenza (cav) mappati dall’Istat in Italia sara’ rifornita gratuitamente di dispositivi di protezione imprescindibili per la quotidianita’ di servizi che non si sono mai fermati.

Un’iniziativa che ha ricevuto il plauso della ministra per le Pari Opportunita’, Elena Bonetti, e sara’ possibile portare a termine solo attraverso le donazioni di aziende, reti e singoli cittadini che parteciperanno alla raccolta fondi lanciata proprio oggi dalle associazioni promotrici con una campagna di comunicazione.

DA ‘SETA E MODA’ A ‘MASCHERINE CONTRO LA VIOLENZA’ – Oltre a ‘Le Ghiottonerie di Casa Lorena’ – laboratorio di catering, produzione di confetture e pasticceria allestito in un bene confiscato alla camorra dove lavorano altre donne in uscita dalla violenza sostenute dalla Coop Eva – “avevamo gia’ in corso d’opera una nuova progettualita’ in un altro bene confiscato”, spiega all’agenzia di stampa Dire Lella Palladino, sociologa e attivista della Cooperativa Eva, gia’ presidente della rete D.i.Re di cui la coop campana fa parte. “Un progetto- continua- finanziato dalla Regione Campania nell’ambito dei fondi europei per la buona gestione dei beni confiscati, realizzato in rete con un partenariato importante”, composto anche “da un’associazione di donne ammalate di cancro al seno. Era una progettualita’ orientata alla valorizzazione della soggettivita’ e della forza delle donne, sia in uscita dalla violenza che in uscita dalla malattia- sottolinea Palladino- e andava a posizionarsi nella fascia di mercato dell’extra lusso, dei grandi marchi”. Ma questo “avveniva in un altro mondo, prima dell’emergenza sanitaria- osserva la sociologa- Ci siamo, quindi, chieste come questo progetto lo avremmo potuto mai realizzare dovendo fare lo startup e il lancio in questa fase e immediatamente abbiamo reagito riconvertendo tutto in produzione di mascherine”. E la scommessa e’ stata vinta proprio grazie all’entusiasmo dei partner: associazione CO2 Crisis Opportunity Onlus, associazione daSud, consorzio Agrorinasce e Rete San Leucio Textile, che “ci ha dato l’opportunita’ di entrare nella sua rete di partenariato”, in cui c’e’ anche un’impresa tessile “che produce materiali per abbigliamento sportivo in tessuto idrorepellente certificato, in grado di trattenere le goccioline di saliva in entrata e in uscita”.

MASCHERINE DI QUALITÀ, ‘ALTRUISTE’ E ‘EGOISTE’ – Mascherine semplici, di colore azzurro, allo stesso tempo ‘altruiste’ ed ‘egoiste’, perche’ proteggono chi la indossa e l’altro, che possono essere riutilizzate fino a dieci volte dopo una sanificazione “a 40 gradi in amuchina”. Ben 500 quelle prodotte in un solo giorno, il 16 di aprile. “Un piccolo miracolo- lo definisce Palladino- per donne che sono partite da una settimana riciclando competenze, con qualcuna che sapeva cucire e qualcuna no”, nell’ottica di una produzione che vuole essere di eccellenza. “Le seterie di San Leucio, per la loro lunga storia di produzione, tengono moltissimo alla qualita’- ricorda la sociologa- quindi anche le mascherine per loro vanno fatte perfettamente”. E il know how che ha dato il via alla produzione e’ arrivato proprio dai maestri casertani della pregiata fibra naturale ottenuta dai bachi, che hanno insegnato alle donne come cucire le mascherine.

DALLE CASE RIFUGIO AL LABORATORIO SARTORIALE – Le novelle sarte “hanno un’eta’ variabile, dai 25 ai 60 anni- racconta Palladino- Ad eccezione della sarta esperta, sono tutte uscite dalle nostre case rifugio, tutte sono passate in un lungo percorso di ristrutturazione e empowerment. E adesso vivono da sole, sono autonome, ma hanno bisogno del nostro, anzi, del loro lavoro”. C’e’ chi taglia la stoffa, chi la stira e fa le pieghe, chi le rifinisce e mette l’elastico, chi taglia i fili, otto ore per quattro giorni a settimana. Una routine che potrebbe essere rivista “perche’ abbiamo ordinato una macchina per velocizzare il lavoro e, quindi, abbatteremo i tempi, accorciando la giornata”, anche per andare incontro alle esigenze delle donne. Tre di loro, infatti, “hanno bambini in affido esclusivo, quindi il problema e’ sempre lo stesso: la conciliazione dei tempi, considerando anche che tutti i servizi educativi sono sospesi”.

PRODURRE SOSTENIBILE VERSO LA RICONVERSIONE – Quando la campagna di raccolta fondi – che andra’ a coprire principalmente i costi di spedizione ai cav di tutta Italia – sara’ terminata “tenderemo alla sostenibilita’- fa sapere l’ex presidente di D.i.Re- Ma il prezzo di questo prodotto tende a stare sotto l’euro e si pone il problema di coprire il costo del lavoro, che e’ inabbattibile secondo il contratto collettivo nazionale che noi applichiamo. Per questo- continua- utilizzeremo le risorse del Por Campania e, fintanto che sara’ possibile, le donazioni che arriveranno”. E se l’obiettivo principale e’ e restera’ il sostegno delle donne in uscita dalla violenza, per il futuro il progetto “evolvera’ come avevamo previsto” e ci sara’ “la riconversione da mascherine a foulard, sempre in un’ottica della sostenibilita’ d’impresa” riassunta nel motto della Coop Eva ‘E’ un’impresa dire NO alla violenza’.

SIMBOLO DI LOTTA A VIOLENZA MASCHILE, MAFIE E VIRUS – ‘Mascherine contro la violenza’, conclude Palladino, “e’ simbolicamente la possibilita’ di contrastare contestualmente la violenza maschile contro le donne, che e’ sempre la nostra priorita’, le mafie, che e’ fondamentale e parallela, e la terza temporanea, che e’ il virus. In questo circolo virtuoso, speriamo di generare qualcosa di simbolicamente significativo da un punto di vista politico, ma anche una risposta immediata pratica ad una serie di bisogni che la crisi ha rivelato ma che esistevano gia’ prima”