Estorsione all’imprenditore antiracket, verdetto per il cugino di Sandokan e tre “compari”

23 Aprile 2024 - 19:04

CAIAZZO – La prima sezione del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, presieduta da Sergio Enea (a latere i giudici Giuseppe Zullo e Norma Cardullo) ha assolto, perché il fatto non sussiste Luigi Schiavone, cugino del boss dei Casalesi, Francesco Schiavone Sandokan, Michele Altarelli (difeso dall’avv. Mario Corsiero), Tommaso Grandinetti, Giuseppe D’Anna.

I quattro erano accusati di usura aggravata ed estorsione ai danni dell’imprenditore antiracket Roberto Battaglia e di sua madre Rita Fraia.

La presunta richiesta estorsiva sarebbe nata da un debito, di natura usuraia, contratto da Battaglia. Gli strozzini, pur di riavere indietro soldi e lauti interessi, si rivolsero a Luigi Schiavone. Nel corso del dibattimento sono però emerse molte contraddizioni nelle parole di Battaglia.

La strana vendita del palazzo di corso Trieste

Per quanto concerne Michele Altarelli, Battaglia aveva denunciato che nel settembre 1998, trovandosi in una situazione di grave crisi di impresa, per cui le banche gli avevano chiuso le linee di credito, aveva promesso di vendere al prezzo di 350.000.000 di lire ad Altarelli Michele l’immobile di proprietà della sua famiglia, sito in C.so Trieste di Caserta, adibito ad agenzia di viaggi in esclusiva con ALITALIA.

L’Altarelli, in tale occasione, gli versava la somma di lire 100.000.000 e, siccome la promessa di vendita non era andata a buon fine, questi aveva preteso la restituzione di lire 421.000.000, che il Battaglia gli avrebbe restituito nel periodo 1998-2001.

Nel luglio del 2008, nonostante il Battaglia avesse restituito l’ingente somma, di qui la ritenuta sussistenza del reato di usura aggravata dallo stato di bisogno e dall’attività di imprenditore della vittima, Altarelli pretendeva, attraverso l’intervento di Danna Giuseppe e di Schiavone Luigi, il pagamento di ulteriori assegni che Battaglia gli aveva, in realtà, pagato, ma non gli erano stati restituiti. Trovandosi in tale situazione, Battaglia denunciava tutto alle Forze dell’Ordine che, dopo avere predisposto un servizio finalizzato all’accertamento della verità, traevano in arresto Danna Giuseppe e Schiavone Luigi in flagranza del reato di estorsione, aggravata dal metodo mafioso, essedo lo Schiavone proveniente da Casal di Principe e dichiaratosi appartenente a tale clan.

Successivamente, nel corso del dibattimento, prolungatosi per decine di udienze, è stato dimostrato che Battaglia, costituitosi parte civile, insieme alla madre, difesi dall’avv. Gianluca Giordano, aveva riferito tutte cose che non avevano alcun fondamento, e nemmeno era stato capace di produrre documentazione bancaria per accertare la veridicità di quanto da lui affermato.

Anche le minacce che sarebbero state rivolte contro di lui da Schiavone Luigi e Danna Giuseppe non solo non sono state dimostrate, ma siccome i colloqui erano registrati, si appurava che esse non erano mai state pronunciate dai due.

Il PM non era dello stesso avviso ed aveva richiesto la condanna di Altarelli Michele alla pena di anni otto di reclusione, ritenendolo il promotore di tutta l’attività criminale in esame, mentre per Grandinetti, Schiavone e Danna era stata richiesta la condanna ad anni sette di reclusione.

Dopo le discussioni dei difensori degli imputati, il Tribunale di S. Maria C.V. ha pronunciato sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, in relazione al reato di usura, mentre, relativamente al reato di estorsione aggravata dal metodo mafioso, vi è stata la derubricazione in esercizio arbitrario delle proprie ragioni, escludendo la sussistenza di questa aggravante.