Il CLAN DEI CASALESI è libero e continua a comandare. Carmine Schiavone, cugino di ‘o petillo, Antonio, fratello di Sandokan e il ristorante La Contessa

3 Dicembre 2019 - 12:42

CASERTA – In questi mesi abbiamo colpevolmente sottovalutato l’esigenza cronistica seria di approfondire meglio i contenuti dell’ordinanza sulle relazioni tra imprenditori, camorra e via discorrendo che aveva nel noto ristorante per cerimonie La Contessa ad un punto nevralgico in cui questi interessi si confrontavano in vere e proprie riunioni e in cui la camorra, se non c’era, aleggiava.

E’ fondamentale perchè tra i 20 indagati ben 15 sono della provincia di Caserta e sono collegati a vario titolo agli interessi del clan dei casalesi.

Come ci piace fare per una questione metodologica e per permettere a chi segue (e non sono pochi) con puntualità le puntate dei nostri focus, partiamo dagli elementi fondamentali, cioè dalle contestazioni che avevano indotto il pm della dda a chiedere una serie di misure cautelari abbastanza gravi, sfumatesi poi nelle decisioni di un gip che aveva proceduto solamente all’emissione di misure a carico di Orlando Vicigrado amministratore del Consorzio Stabile Appalti Grandi Opere (Consorzio Ago) a cui fu applicato il divieto temporaneo di esercitare l’attività d’impresa per 6 mesi e all’architetto Salvatore Merola di Curti, sospeso per 6 mesi dalla professione.

Sono 9 i cpai di imputazione e ovviamente daremo una particolare attenzione alle contestazioni che toccano i casertani, non trascurando però il fondamento del ragionamento della dda. Cercheremo di capire anche perchè il gip del tribunale di Napoli Ludovica Mancini

non ha condiviso la struttura accusatoria, rigettando sostanzialmente tutte le richieste.

L’unico tra gli indagati a cui viene contestato dalla dda l’articolo 426 bis, associazione per delinquere, è Carmine Schiavone. Si tratta del nipote di Eliseo Schiavone, detenuto nel carcere di Prato, padre di un pezzo da 90 del clan dei casalesi del primo decennio di questo secolo cioè Vincenzo Schiavone detto ‘o petillo che ha firmato insieme ad altri esponenti del clan, uno dei delitti più noti cioè il duplice omicidio, avvenuto in pieno giorno, in via dei Romani, in una zona densamente abitata di Santa Maria Capua Vetere del boss Sebastiano Caterino e del nipote che con lui viaggiava, Umberto De Falco.

Secondo il capo d’accusa, Carmine Schiavone provvedeva a cambiare assegni di illecita provenienza per finanziare le casse del clan. Svolgeva anche attività imprenditoriale attraverso società a lui riconducibili e, dopo le interdittive antimafia, con altrettante società, sempre a lui riconducibili, gli permettevano di partecipare, tramite prestanome, a varie gare d’appalto, anche attraverso l’intervento del clan al quale corrispondeva dei proventi, come avvenuto per i lavori del centro Polifunzionale presso il comune di Portico.

 

QUI SOTTO IL TESTO INTEGRALE DELLO STRALCIO DELL’ORDINANZA