Il clan dei Casalesi entra anche negli appalti dell’Università di Pisa. Ecco perché domina l’economia della nostra provincia, di mezza regione e in molte parti d’Italia
30 Luglio 2025 - 14:03

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E’ la solita Mira Costruzioni di Ernesto Falanga, che conservava un mitra e due bunker nella casa della famiglia Zagaria e per questo arrestato e condannato. E non finisce qui, perché ne abbiamo trovata un’altra di cui scriveremo presto. Subappalto al comune di Caserta, invitata ad una gara della guardia di finanza, doppio appalto da 3 milioni di Agrorinasce. E ora anche dei lavori in uno degli atenei più prestigiosi d’Italia
CASERTA (g.g./l.v.r.) – Abbiamo deciso di seguire le vicende della società Mira Costruzioni, intestata al 21enne Antonio Falanga, figlio di Ernesto Adriano Falanga, arrestato e condannato per il possesso di un mitra e di due bunker nell’abitazione in cui risiedono, a Casapesenna, di proprietà della famiglia di Michele Zagaria, superboss del clan dei Casalesi, per un motivo molto semplice.
A nostro avviso, si tratta di una cartina al tornasole di quanto gli interessi della camorra casertana siano all’interno di dinamiche legali, dell’economia che si nutre di appalti e aggiudicazioni pubbliche. E il caso di Mira Costruzioni è emerso grazie ad un’operazione ispettiva sulle armi e sul bunker, con i carabinieri che hanno scoperto quel poco in casa Falanga. Quindi, quante altre Mira ci sono nella zona dell’agro Aversano, salve solo perché non ancora colpite – chissà se lo saranno mai – da azioni dei militari? Secondo chi vi scrive, un sacco.
Il subappalto dei lavori a San Clemente dell’amministrazione comunale di Caserta, poi sciolta per infiltrazione camorristica, il caso del doppio appalto da 3 milioni di Agrorinasce, poi saltato per beghe interne con il Consorzio Grade, tecnicamente il soggetto economico aggiudicatario, e non per scelta della struttura che gestisce beni confiscati alla criminalità, l’invito alla gara fatto alla Mira dal comando regionale campano della Guardia di Finanza,
Uno Stato che, stava per consegnare alla Mira anche il via libera dell’autorizzazione all’ingresso della white list, tramite la prefettura di Milano, città dove, forse non a caso, forse per sfruttare la minore conoscenza dei funzionari meneghini di certe dinamiche dell’agro Aversano, la Mira Costruzioni aveva installato la sua sede, in un ufficio di rappresentanza, puramente formale, in via Macchi.
Abbiamo trovato, nella nostra ricerca del pregresso di questa società, anche la loro brochure informativa. E qui è emersa un’altra operazione con la pubblica amministrazione che desta grande preoccupazione.
Infatti, dichiara la Mira nel suo depliant informativo, di aver lavorato all’interno del Polo didattico Ex Guidotti, in una commessa gestita dall’Università di Pisa. Secondo quanto abbiamo scoperto, si tratterebbe di lavori, aggiudicati nel 2015, da oltre un milione e mezzo di euro, cifra poi aumentata con una perizia di variante, i cui numeri esatti, al momento, non siamo riusciti a scoprire.
E’ probabile che la società dei Falanga che, nel frattempo, non è più nell’elenco dei richiedenti di certificato di non infiltrazione camorristica della prefettura di Milano, non sappiamo se per una scelta autonoma o se invitati all’uscita, diciamo così, dall’ufficio territoriale del Governo; dicevamo, è probabile che abbia lavorato offrendo un subappalto o comunque un altro tipo di contratto di lavoro con la società aggiudicataria di quei lavori, segnalata da Mira quale suo cliente: la ITI Impresa Generale dell’imprenditore Andrea Mazzini, con sede a Modena, una provincia dove si è attestato la diffusione ed il radicamento della camorra e dove è stato attivo Giuseppe Diana, alias Pepp o’Biond.
Seppur dobbiamo subito dire che non abbiamo alcuna per connettere Mazzini al Diana, si tratta del fratello di Raffaele Diana, marito di Maria Amato, ovvero colei che è stata in passato titolare della Mira Costruzioni.
Giuseppe e Raffaele Diana sono stati assolti relativamente all’inchiesta della DDA di Firenze sull’uso dei soldi del clan Zagaria in Toscana e in Emilia, ma Peppe O’ Biond in passato è stato condannato in primo grado a 6 anni per aver aiutato la latitanza del boss Michele Zagaria.
Chiaramente, restiamo a disposizione dell’Università di Pisa e della ITI qualora volessero esprimere la loro versione dei fatti.
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